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LA CHIESA CATARA
DI BAGNOLO SAN VITO
di Vittorio Sabbadini

L'ALBA DEL TERZO MILLENNIO
Il Cristianesimo, all'alba del terzo millennio, è la religione largamente dominante e tradizionale nel mondo occidentale. Si riscontra però, da parecchi anni, il frequente ricorso, specie tra i ceti medi e le giovani generazioni, alla scelta di nuove sette o chiese fondate da leaders religiosi, soprattutto negli USA e poi giunte da noi: Bambini di Dio, Testimoni di Geova, Scientologia o Dianetica, il Tempio del Sole, oppure mistici o guru orientali : Meditazione trascendentale creata dall'indù Maharishi, la setta degli Arancioni di Rajneesh, gli Hare Krishna, i Moonisti del profeta coreano Sun Myung Moon e centinaia di altre sette di guarigione o anche suicide, costituenti comunità esoteriche ed iniziatiche con spiccati caratteri di elitismo asociale. Sono forse le nuove eresie? C'è una diffusa corsa verso la “nuova religione” che risolverà tutti i mali individuali, insegnerà la nuova verità, donerà al seguace la piena “autorealizzazione”, salvandolo da ansie, da turbe psichiche, dal senso di frustrazione e di insignificanza in cui vive. Forse vuole essere una risposta ad uno stato di malessere generico e diffuso, causato dalla crisi esistenziale ; crisi che è prodotta dagli squilibri del processo di trasformazione culturale che oggi travolge la sfera dei valori che prima tenevano in equilibrio i rapporti fra uomo e mondo. Oggi ci sono forti contraddizioni tra un progresso tecnico- scientifico avveniristico e una frustrante disattenzione, un vero abbandono nei confronti dell'uomo. E il disagio della civiltà occidentale ovvero civiltà industriale, è aggravato dalle distorsioni di uno sviluppo che cresce continuamente in certe zone del pianeta a spese di altre zone umane e culturali. Come nel Medioevo. Ci sono nuovi nazionalismi, nuovi razzismi ed odi etnici e religiosi, come nel Medioevo, inoltre c'è squilibrio tra le richieste dell'uomo e le offerte deludenti della scienza e delle istituzioni. Nell'era elettronica l'Uomo reclama il recupero di una dimensione religiosa, intesa come ricerca di una medicina più affidabile, come rimedio al male sottile che ci insidia più o meno tutti. “L'uomo ha sempre bisogno di un altro tempo oltre a quello in cui vive. La vita dura come un fiammifero: si accende, brucia ed è finita. E' evidente che si ha bisogno di consolarsi con un altro tempo. Ma per questo non c'è solo il tempo del cristianesimo, ci sono tutti tempi religiosi”.



L'ALBA DEL PRIMO MILLENNIO
L'alba del primo millennio di Cristianesimo, ci mostra un uomo che “ viveva in un mondo proprio differente dal nostro.. e il cristianesimo occidentale assomigliava ad una città assediata; a sud l'espansione musulmana, a nord i Normanni, ad est l'altro grande impero cristiano, Bisanzio”. Questo uomo, aveva paura del Male, che identificava in una figura mostruosa e terribile, il Diavolo, nella cui esistenza credeva come a quella di Dio, e aveva bisogno di consolarsi e credere in potenze superiori, come la Chiesa o l'Imperatore, che lo potessero salvare dalla fame, dalla malattia, dalla guerra, “ Salva me, Domine, a fame, a malo, a bello” . Non sempre queste Istituzioni erano degne di fede e il loro comportamento era morale. Soprattutto la perdita di fiducia nella Chiesa, generava profonde crisi in quelle masse disperate, sfruttate e stremate dal punto di vista economico, dalle cattive stagioni, dal pagamento della decima e delle corvèes, “ di coltivazione, trasporti, fornitura di modesti prodotti dell'industria casalinga”. E nella corruzione quasi generale, mancando il Pastore, si mettevano a seguire colui che in quel momento interpretava i loro desideri, la loro voglia di emancipazione e di libertà. Chi nasceva nobile e ricco accedeva a tutti quei privilegi e immunità che rendeva la sua famiglia potente e da temere. Chi nasceva dal popolo e povero era destinato ad una vita di stenti, di fame e di fatica e di soprusi di ogni genere che lo portavano ad opporsi, a cercare di non pagare le decime, ad organizzarsi in forme di lavoro associato per sfuggire all'esosità delle Corporazioni. E poichè nella Chiesa non trovava sostegno, Essa esortava gli sventurati a sopportare con rassegnazione la propria disgrazia, perchè manifestazione della volontà di Dio, si rivolgeva ad una Chiesa parallela e segreta che conviveva con quella ufficiale, la Chiesa eretica. I suoi Pastori erano uomini e donne che vivevano di elemosina, senza domicilio fisso, che “ seguivano nudi il Cristo nudo “ così come viveva la stragrande maggioranza della popolazione.
La povertà vergognosa poneva il problema della dignità umana, e i preti eretici compresero questo dramma e andarono verso il povero direttamente, considerandolo una persona, ma così fece poi anche San Francesco.
Quali furono le cause del diffondersi dell'eresia nelle società occidentali? Presentiamo un breve excursus su queste cause che riguardano il campo dell'economia, delle crisi alimentari, delle lotte e sommosse all'interno delle città settentrionali, della corruzione della Chiesa, che portarono l'eresia ad insediarsi e poi ad espandersi in tutta l'Europa, nei primi secoli dopo il mille.

ECONOMIA
Nell'VIII secolo l'intera Europa avrà forse ospitato 27 milioni di abitanti con 2,7 abitanti per Km quadrato. Agli inizi del XIV secolo gli abitanti erano circa 70 milioni e 7 abitanti per Km quadrato. Dall'VIII al XIV secolo gli abitanti in Europa erano triplicati. Dal 1050 al 1250 circa ci fu un “intenso processo di popolamento che trasformò il volto dell'Europa,..le foreste e i terreni incolti incessantemente ridotti dall'aratro, radure aparte tra gli alberi o le macchie, villaggi interamente nuovi aggrappantisi al suolo vergine”.Per mantenere questo crescente numero di persone ci pensarono i Monaci e i Coloni. Essi crearono nuovi campi e strade e mercati. Nel XIII secolo mangiare e bere abbondantemente è un segno di credito e di ricchezza. Il pane non è più quella rara leccornia che era stata nel X secolo, quando anche i monaci non potevano permetterselo tutti i giorni. Adesso anche il povero può aspirare al suo pezzo di pane. Lo stesso vale per il vino, di qualità discreta. Nei documenti mantovani viene sempre, nella investitura del feudo, nominato il terreno coltivato a vigneto, oltre a quello prativo e arativo. Pane e vino si sono diffusi perchè le bonifiche e le distruzioni forestali hanno aumentato lo sfruttamento delle aree di coltura, incrementate dalle innovazioni tecniche del torchio e del mulino, dall'incremento dei trasporti, frutto della costruzione di strade e di una fitta rete di mercati. Nell'XI e XII secolo in famiglie benestanti l'alimentazione consiste in pappe e passati. La carne è riservata agli aristocratici che cacciano la selvaggina. I contadini la mangiano poche volte all'anno, soprattutto nel giorno della macellazione del maiale, e così è stato, per la nostra gente, fino a cinquant'anni fa.
Altri giorni mangiavano prodotti del latte e vegetali; se la prevalenza dell'alimentazione erano vegetali, bisognava mangiarne molti per saziarsi. Il ricco non si nutriva meglio del povero, ma di più. A corte erano preferite le spezie e le salse e i vini pregiati.
LE CRISI ALIMENTARI
La crisi alimentare in Europa era stata resa palese nel 1095 da papa Urbano II nel Concilio di Clermont. La sovrapopolazione vive “ su di una terra che fornisce appena il sostentamento a coloro che la coltivano”. La prima crociata darà il miraggio di un bottino. In quell'anno la siccità durò da marzo a settembre e aveva portato carestia ed epidemia in tutto il Nord Europa. Nel 1099 si presentava una situazione catastrofica. Durante la semina, ci furono inondazioni che fecero ammalare il grano, e in primavera ci fu proliferazione di insetti. Tornavano i Crociati dall'Oriente, che aveva assorbito parte della massa dei bisognosi, e portarono con sè la lebbra. Nel 1115, nel giorno dei funerali di Matilde di Canossa presso il monastero di San Benedetto di Polirone, i monaci sfamarono ben 4000 poveri. Nel 1122 nuovi segni di calamità in Portogallo che si propagò nel 1124 in Germania sotto forma di carestia ed epidemia. Nel 1142-43 una nuova serie di calamità colpì l'Europa. E si diffuse in Germania. Di questi anni è la lettera, che riportiamo più avanti, di Evervino di Steinfeld a San Bernardo sugli eretici di Colonia. Ci furono trombe d'aria, piogge abbondanti e clima freddo d'estate. Nel 1161-62 altra carestia in Francia, nei Paesi Bassi, in Germania, che si protrasse fino al 1166. Un numero incalcolabile di persone morì di fame. I monasteri non riuscivano più a sfamare con le elemosine queste masse di affamati. Verso il 1186 la siccità aveva compromesso i raccolti della Pianura Padana e nel 1190 eccezionali piogge rovinarono i raccolti. Il prezzo del grano decuplicò e salì di prezzo l'orzo e il sale. La fame in quel tempo stremò l'Europa. La carestia si protrasse fino al 1198, anno che vide inondazioni, intemperie e raccolti tardivi. Nel 1223 a Mantova ci fu un grande terremoto che distrusse un “ numero infinito di case, di torri e i monti crollarono”, mentre “nell'anno 1259 in tutta la Lombardia ci fu una grande mortalità di persone” e sempre nel mantovano, per tutto il mese di febbraio del 1274, “ci fu un così grande freddo e cadde tanta neve che quasi tutte le viti e i fichi morirono”. Dopo più di un secolo di fame, malattia e miseria la stragrande maggioranza della popolazione europea era povera. “Il Povero” veniva rappresentato nudo, era l'immagine dell'indigenza completa, la magrezza indicava la sua fame, le ulcere attestavano le deformazioni, il bastone indicava le sue deficienze fisiche, il cane accanto rappresentava l'assenza di compagnia umana. Il povero era coperto di stracci, a mala pena protetto da ruvide pelli, la sua abitazione era costituita da una capanna, a stento aveva un pagliericcio per terra e come coperta un telo, una pentolaccia affumicata che serviva a preparare una pietanza raccolta qua e là. Andava sempre a piedi nudi. Inoltre l'indebitamento rappresentava una piaga abituale delle società rurali. Le più fortunate ricorrevano al prestito per acquistare bestiame e attrezzi, e per costruire stalle e granai. Le più numerose erano schiacciate da oneri familiari, e oberate da obblighi immutabili verso i loro signori e in periodi di carestia le conseguenze nefaste dell'indebitamento toccavano il fondo. Da una parte gli obblighi al signore e le conseguenze dei debiti già contratti, dall'altra l'aumento dei prezzi; i creditori erano inesorabili e la giustizia non consentiva dilazioni. Si doveva abbandonare la terra, avviarsi verso l'ignoto, si viveva al di fuori della legge e ai margini della criminalità, si rubava per vivere. “Molti ridotti in condizioni di estrema indigenza presero a vivere contro ogni consuetudine, diventando ladroni e finendo impiccati.” E chi è il “povero” se non il contadino? Umiliato e disprezzato, vergognosamente, nei secoli dei secoli.
L'identificazione del contadino con il povero è ormai un clichè della letteratura. Braccia enormi, membra massicce, gli occhi distanti l'uno dall'altro di una spanna, spalle larghe, petto largo, capelli irsuti, pelle del volto nera come il carbone. Poteva rimanere molti mesi senza lavarsi, su di lui non cadeva acqua che quella piovana. Il povero dei santuari era repellente e maleodorante. Il povero era rapinatore e ladro, e in una società cortese, era senza coraggio, e come armi usava l'astuzia e i colpi bassi; privo di istruzione, si diceva tale l'asino tale il contadino.
Gli eretici stavano accanto alle sofferenze di questa gente, condividevano le stesse privazioni e all'incertezza del domani portavano parole di consolazione, di conforto e di speranza. Ma il Dio dei cristiani mandò allora, San Francesco e San Domenico.
Domenicani e Francescani alloggiavano senza domicilio fisso, anche in una capanna. Francesco aveva compreso che era necessario, prima di tutto, andare verso il povero direttamente, considerandolo una persona. Come avevano già fatto i movimenti eretici, così fecero gli Ordini mendicanti, ponendo i loro insediamenti ad una certa distanza dal centro urbano, in un sobborgo a mala pena urbanizzato. Così cercò di fare Zambonino de Rufino, nel mantovano. In un documento del 23 maggio 1223, Zambonino, ricco proprietario terriero, presente il vescovo Enrico Delle Carceri ( 1192- 1227, veronese, principe dell'impero, podestà di Mantova, quasi sempre assente), nel Capitolo del monastero di San Marco di Mantova, offriva tutti i suoi possedimenti siti in Camposomario, nel comune di Roncoferraro, per la fondazione di un monastero in luogo imprecisato. “Questi signori mantovani tentavano la fondazione di monasteri in campagna; ciò potrebbe corrispondere all'idea della vita monacale antica, separata dal mondo; ma potrebbe corrispondere anche alla necessità di fissare nuove forze di lavoro nella campagna, abbandonata dai servi della gleba emancipati.” A differenza dei Catari che vivevano con la povera gente, i frati di questi conventi vivevano ritirati dal mondo e rari erano i contatti fuori del monastero. Infatti in documenti del 24 marzo e 7 aprile 1250 riguardanti la fondazione di un monastero a Romanore, queste erano le disposizioni: dovevano vivere nel monastero, dotato di 100 biolche di terra, 15 religiosi, tre paia di buoi, 150 pecore e 20 agnelli, polli, galline e maiali a sufficienza, un'asina e 5 servi. Si potevano risparmiare fino a 10 libbre e ci si poteva indebitare fino a 50 libbre. Tutta la proprietà del monastero doveva essere circondata da un fossato largo 5 braccia e poi da una siepe o strada, in modo da conservare i monaci dallo “ strepitu saeculari” ( dalle tentazioni del mondo). I monaci potevano passeggiare entro questo circuito mentre i conversi per tutto il fondo. Solo due procuratori potevano avere la licenza di uscire dal monastero, mentre gli altri lo potevano fare solo tre volte e per necessità. Nessuno poteva entrare nel monastero senza permesso. Le donne erano assolutamente escluse. Se questa era la loro Regola, erano religiosi che non potevano certo fare apostolato in mezzo alla gente delle città, o delle campagne, dove la povertà covava sotto il regno del denaro, nè combattere gli eretici. Invece gli Ordini mendicanti si integrarono nel tessuto sociale urbano, andando a cercarvi i modelli della povertà più acuta per offrire ai più diseredati il conforto di una reintegrazione.
C'era un rovesciamento in confronto a quei monaci, individualmente poveri e collettivamente ricchi che fuggivano dalle città, “sentine di tutti i peccati”, per darsi alla contemplazione e alla preghiera, mentre adesso i religiosi, individualmente e comunitariamente poveri, andavano in città per incontrare ricchi e poveri, con una preferenza particolare per questi ultimi.
Nel XIII secolo le città furono colpite dalla carestia, dal rincaro della vita, dalle sommosse. “ Le città dell'Italia del nord verso il finire del XII e durante il XIII secolo, cominciarono una lotta lunga e sanguinosa tra borghesi, cittadini, e popolani, contro la classe aristocratica al potere. Brescia ( 1196), Piacenza, Milano, Cremona ( 1198), Reggio Emilia ( 1200), Vicenza (1206), Piacenza (1250), Parma (1255), Bologna (1256), Milano (1258), Siena (1262), Firenze (1266), Venezia (1268)”.
CORRUZIONE DELLA CHIESA
La corruzione profonda del clero verso la fine dell'XI secolo finì per sollevare l'opinione pubblica. Nella dottrina la chiesa manteneva un ideale di santità, nella pratica si smentiva. La corruzione del clero non si distingueva per niente da quella che regnava in tutti gli strati della società feudale e che favoriva l'estremo imbarbarimento dei costumi.” Ma i laici anche i più viziosi, sentivano la contraddizione che esisteva tra la morale ufficialmente insegnata e la vita reale di coloro che l'insegnavano”.
Elezione di papa Benedetto IX
In Italia nel 1033, alla morte di papa Giovanni XIX, venne eletto papa Teofilatto dei conti di Tuscolo, col nome di Benedetto IX. Aveva dodici anni ! Dopo due anni fu costretto a lasciare Roma a causa della potente famiglia dei Crescenzi che voleva riprendere il potere nella capitale della cristianità. L'adolescente papa si rifugiò in Toscana, presso Bonifacio di Canossa, ad attendere l'aiuto dell'imperatore Corrado II. Il 1 maggio 1045 rinunciò al soglio di Pietro.” La tiara fu comprata da Gregorio VI, simoniaco. Si faceva mercato degli uffici ecclesiastici. Il clero era avido di ricchezze, di potenza, e di fasto.”
Il papa Gregorio VII ( Ildebrando Aldobrandeschi, 30 giugno 1073 - 25 maggio 1085) durante il suo pontificato combattè la corruzione della Chiesa. Tra i sostenitori della Riforma gregoriana, oltre alla contessa Matilde di Canossa, ci fu Giovanni, abate di Fècamp, ( 990- 1078). Leggiamo in una sua lettera lo sconforto e il dolore che prova nel constatare la dilagante corruzione dei prelati :
“Le chiese hanno perduto la loro gloria, ecco il mio dolore: le loro guide le pasce il vento! Ecco le pietre del santuario gettate a terra e disperse all'angolo di ogni strada: come è cambiato il loro colore splendido, come si è annerita più dei carboni la fulva bellezza dell'oro! Lo zaffiro è abbandonato sotto la polvere, la gemma è insozzata...Il clero ed il popolo, i sacerdoti ed i monaci, non hanno più nulla che li distingua, nulla nelle loro azioni, nulla nel modo di vivere. Tutti hanno traviato, sono tutti divenuti inutili: più nessuno fa il bene...Hanno lasciato la retta via per correre dietro all'avarizia.....Si vede crescere una cupidigia feroce ed una ambizione astuta e hanno preso vigore a tal punto che, proprio in coloro che dovrebbero essere morti al mondo, in questi la gloria del mondo è più viva. Un'attività secolare pressochè enorme è entrata nel monastero, ed il luogo sacro, che doveva essere un porto di salvezza per chi cercava rifugio, ora è diventato senza dubbio un mare di perdizione”.
IV Concilio Laterano
Il papa Innocenzo III ( Lotario Conti, 22 febbraio 1198- 16 luglio 1216) nel IV Concilio Laterano, tenuto dall'11 al 30 novembre 1215, si scagliò contro la corruzione con queste parole :
“..Percuotete.. senza distinzione di fratello o d'amico ma percuotete in modo da sanare; uccidete in modo da rendere la vita. E cominciate dal mio santuario; poichè è tempo, come dice l'Apostolo, che il giudizio cominci dalla casa di Dio. Infatti tutto ciò che è corrotto nel popolo viene principalmente dal clero. Il prete che pecca fa peccare il popolo; quando i laici vedono che i preti si abbandonano agli eccessi, essi vi si precipitano sul loro esempio. Ripresi, dicono per scusarsi: il figlio fa quanto vede fare dal padre e al discepolo basta essere come il suo maestro. Di là vengono i mali nel popolo cristiano. Muore la fede, è sfigurata la religione, confusa la libertà, calpestata la giustizia, pullulano gli eretici, insolenti diventano gli scismatici, crudeli e perfidi prevalgono i figli di Agar”.
Politica finanziaria della Santa Sede
“ ..Una crisi molto grave per le sue conseguenze ebbe quale punto di partenza la politica finanziaria della Santa Sede. Si trattava di trarre importanti risorse finanziarie dalla Cristianità, o con le tassazioni sulle chiese, o riservando le cariche ecclesiastiche ala Santa Sede, che percepiva delle imposizioni in occasione delle collazioni..Innocenzo IV ( 1243-1254) fu il principale artefice di tale sistema.. In linea generale si può affermare che in tutta la Cristianità la fiscalità pontificia divenne per molte anime una causa di scandalo”.
Monastero di San Benedetto in Polirone.
“..Ora non più astinenze dalla carne, dal vino e dai servi; non più il lavoro fine a se stesso, mezzo di mortificazione, di raccoglimento e di onesto vivere. Onde s'infiltra presto nell'anima de' monaci anche il veleno di basse passioni, e il desiderio di quei piaceri mondani che dovevano essere obliati oltre la soglia del chiostro. Resi infine quasi vergognosi della virtù e spregiatori d'ogni studio, se ne vivono nell'ozio infingardo dal quale non si rimuovono che per darsi a biasimevoli pratiche e a turpi sollazzi”.
L'ERESIA CATARA
All'alba dell'anno mille le eresie che erano nate in X secoli di Cristianesimo furono moltissime. L'eresia che si diffuse in Europa dall'XI al XIV secolo e che ebbe un grande seguito di fedeli, fu quella Catara. Il catarismo fu “ una eresia che nei suoi molteplici volti, ha tentato di offrire alle nuove masse dell'Europa dopo il Mille, una fede di consolazione esistenziale”.
Nel Medioevo anche il territorio mantovano fu partecipe dei fenomeni ereticali. Bagnolo San Vito, in provincia di Mantova, fu una sede vescovile catara ad iniziare dall'anno 1180. Questa sètta era detta “ Bagnolense. “ I fenomeni ereticali non sono atteggiamenti aberranti di sconsiderati o
ribelli ma espressione essi pure di una fede vissuta con intensità profonda ed intima”.
LE ORIGINI
La religione dei Catari o dei Puri proveniva dall'Oriente. Erano detti Manichei, ma tutte le eresie dell'XI secolo comparse in Europa Occidentale sono state dette manichee; era un modo di dire “ eretico “. Ma quale è la definizione di eresia?
“Uno dei più grandi maestri della filosofia e teologia scolastica, Pietro Lombardo, morto nel 1160, suggerisce alcuni pensieri che possono essere così tradotti in contenuti moderni: Eresia è una ostinata capacità di pensare e di agire in modo diverso dagli altri normali cittadini. Essa non consiste in testi sacri, ma nel senso che la mente dà a quanto legge. E' trionfo di una mentalità indipendente, esaltazione di una intellettualità individuale che sa opporsi alla fede comune, alla ideologìa dominante, ai valori etici della prassi generale. Eresia, che è azione di libera scelta, viene da parole concatenate non nell'ordine voluto da chi controlla la società, è disordine rispetto all'ordine costituito”. Eresia è quindi sovversione, eversione e allora l'eretico è sottoposto dalle autorità alla morte civile, al bando dalla società, alla privazione di tutti i beni, alla distruzione della propria casa, ad essere bruciato vivo. Il papa si arroga il diritto di essere il guardiano della salute morale pubblica in tutta l'Europa cristiana e si considera Signore che non solo ha il potere di aprire o chiudere le porte del cielo a chiunque, ma ha anche la facoltà, almeno in teoria, di destituire imperatori, re, principi nel caso che disubbidiscano, sempre secondo il suo parere, alla legge di Cristo. Ora questa immensa potenza ha paura della libera parola amministrata dai predicatori eretici, della lettura nelle famiglie di testi della Sacra Srittura, tradotti nella lingua parlata del popolo.”
IL BOGOMILISMO
La Grande Bulgaria, negli anni tra il 927 e il 969, era governata dallo zar Pietro. Il popolo era grandemente oppresso e ci furono rivolte di contadini. Erano masse affamate, costrette a vivere in condizioni di grande sofferenza. Portavoce di questa protesta fu un prete, Bogomil. “Bog” in slavo vuol dire “Dio” e “Mil” equivale ad “amato”, perciò “Amato da Dio”. Il prete Cosma scrisse tra il 969 e il 972 un “Trattato contro i Bogomili”. La loro zona di predicazione fu la Bulgaria Orientale e la Macedonia. Bogomil elaborò una nuova dottrina secondo la quale Dio era signore del solo mondo spirituale e invisibile, mentre tutto il mondo materiale, con la sua cattiveria e malvagità, era il dominio di Satana, Principe del Male. Secondo l'antico testo bogomilo “ Le argomentazioni di Giovanni”, Satana era stato in principio, un Angelo.
“Egli stava nelle virtù dei cieli
e presso il trono del Padre
invisibile ordinatore di tutte le cose.
Discendeva dai cieli fino all'Inferno
ed ascendeva fino al trono di Dio,
invisibile Padre,
e custodiva quelle glorie
che erano sopra tutti i cieli.
E pensò di voler porre il suo trono
al di sopra delle nubi e
di essere simile all'Altissimo”.
Satana corruppe gli Angeli che erano a guardia delle realtà materiali, l'aria, l'acqua, la terra e il fuoco. Dio, adirato, lo punì. Gli sottrasse l'amministrazione dei cieli. Satana chiese a Dio ed ottenne per sette giorni di fare quello che volesse. Satana mise in ordine il mondo materiale e poi creò l'uomo.
“Da ultimo Satana pensò di far l'uomo
per averlo suo servo,
e prese del limo della terra
e fece l'uomo simile a sè
ed ordinò all'Angelo del secondo cielo
di entrare nel corpo di fango.
Poi prese il fango
e fece un altro corpo,
in forma di donna
ed ordinò all'Angelo del primo cielo
di entrarvi.
E gli Angeli piansero molto
vedendosi imprigionati
dentro una forma mortale,
nella diversità dei loro sessi.”
Adamo ed Eva imparano l'atto sessuale per mezzo del Serpente e così generarono altri uomini “ figli del Serpente e del Diavolo”, perpetuando così di secolo in secolo, il regno di Satana. L'uomo era frutto di un disegno diabolico e non divino. Allora Dio mandò in questo mondo diabolico un Angelo, che aveva aspetto umano, Maria. Costei accolse in sè il Cristo, dando l'impressione di una nascita reale. Cristo sulla terra insegnò il suo Battesimo nello Spirito Santo. Quello del Battista era diabolico, perchè si serviva dell'acqua, elemento materiale. I miracoli erano apparenze e la croce era odiata e disprezzata e non da adorare, perchè lì, gli Ebrei, avevano ucciso il figlio di Dio. I Bogomili nelle loro case dovevano recitare il Pater Noster quattro volte al dì e quattro volte la notte; era l'unica preghiera ammessa perchè insegnata da Cristo stesso. I fedeli dovevano confessare pubblicamente i loro peccati e veniva loro posto sul capo il Vangelo, mentre i presenti invocavano lo Spirito Santo e recitavano il Pater. I fedeli destinati al sacerdozio venivano addottrinati e sottoposti ad ulteriori prove di vera fede. Poi durante l'ordinazione, i presenti sputavano sul neofita a simboleggiare il disprezzo per il vecchio uomo e l'odio per il demone che ci dimorava. Tutti poi mettevano la mano sul suo capo, attuando così il Battesimo spirituale. Disprezzavano gli altri cristiani, il cui clero teneva una cattiva condotta. Sul piano sociale erano dei ribelli all'ordine costituito. “Insegnano ai loro aderenti a non sottomettersi alle autorità, oltraggiano i ricchi, odiano gli imperatori, insultano i signori, ritengono che Dio rifiuti coloro che lavorano per l'imperatore e raccomandano ad ogni servo di non lavorare per il suo padrone”.
Nel 1199 il Bogomilismo divenne religione di Stato in Serbia, Bosnia e Dalmazia, per scomparire verso la fine del XV secolo, in seguito alla conquista turca. Ci fu allora un passaggio in massa della nobiltà bosniaca alla fede musulmana. I Bogomili erano chiamati anche Fundaiti, cioè “ portatori di bisaccia”, vagabondi. Questi vagabondi, e anche le loro idee, verso l'XI secolo arrivarono in Europa Occidentale, contribuendo in modo determinante alla nascita del Catarismo.
BOGOMILI
Eretici che principiarono verso la fine del sec. XI e nel principio del XII e seguitavano gli errori di un certo medico, il quale copertosi con un abito da monaco girava il mondo per insegnare li suoi errori. Dopo aver fatto questo mestiere per più di 50 anni fu preso finalmente in Costantinopoli dove l'imperatore Alessio Comneno il Vecchio lo fece bruciare verso il 1118. Cesario di Heisterbach nel suo quinto libro cap. 2 dice che i Bogomili, discepoli di questo Basilio ammettevano i due principi, tutte l'altre bestemmie dei manichei e che bestemmiavano il corpo e il sangue di Nostro Signor Gesù Cristo, che dice di sapere benissimo, non già per averla udita dire ma per aver conversato sovente con loro nella cattedrale di Metz. Avaria Comnena nel suo primo libro racconta che i Bogomili riducevano il mistero dell'incarnazione di Cristo ad un fantasma, che insegnavano delle impurità che il rossore non le permetteva di raccontare.....
DIFFUSIONE DEL CATARISMO
IN FRANCIA: “..Queste eresie non hanno un contenuto teologico, ma morale, prendono le mosse non dalla filosofia speculativa, ma dal Vangelo; sono formulate non da teologi o filosofi, ma da laici, di poche lettere o analfabeti ( idiotae et sine litteris )”.
Leotardo, contadino analfabeta, nell'anno 1004, abitante nel villaggio di Vertus, nella Champagne, fu punto da uno sciame d'api quando era nei campi. Fuori di sé per il dolore si precipitò a casa e prese la moglie a pugni e calci e la scacciò; corse in chiesa e spezzò l'immagine del Cristo e il crocifisso. Tutti lo consideravano pazzo per il dolore. Invece Leotardo si mise a dire che le api lo avevano illuminato, le api nel medioevo erano il simbolo della sapienza, e che le sue azioni corrispondevano alla norma evangelica. Leotardo fu presto seguito da numerosi seguaci, lieti di seguire il Cristo nello spirito del Vangelo. Ma il vescovo della diocesi lo chiamò e il contadino non fu in grado di giustificarsi. Fu dichiarato pazzo e fu abbandonato dai suoi seguaci. Leotardo, trovatosi solo, si gettò in un pozzo.
Questa è la prima apparizione in occidente di una setta eretica. C'è un improvviso entusiasmo che scatena comportamenti insensati, fa presa sulle anime semplici che cercano un modello vivente a cui ispirarsi. Poi tutto svanisce appena viene contrapposto un esempio convincente, fondato su argomentazioni razionali.
Sorsero eresie anche di tipo diverso, ad opera di chierici e nobili. Essi conducevano vita in comune in piccoli gruppi e facevano proselitismo con molta prudenza. Restavano per decenni indisturbati, ma quando venivano scoperti affrontavano la morte con letizia.
A Orleans nel 1022 avvenne un processo per crimine di eresia. Furono condannati due preti e undici partigiani al rogo, con l'accusa di manicheismo. La regina Costanza, moglie di Roberto di Francia e figlia del conte di Tolosa, Guillaume Taillefer III, confessò di essere una credente di quell'eresia .

IN ITALIA
Gerardo di Monforte ( Piemonte )
Nell'anno 1028 venne scoperto un gruppo di eretici a Monforte. L'arcivescovo di Milano, Ariberto, fece condurre da Monforte, l'eretico Gerardo, per essere interrogato sui contenuti dell'eresia in cui tanto credeva :
Gerardo : “...Rendo immense grazie a Dio Padre Onnipotente, al Figlio e allo Spirito Santo, perché voi tanto diligentemente procurate d'interrogarmi, e colui che dall'inizio vi conobbe nei lombi di Adamo, conceda che per lui viviate e per lui moriate, e che regnando con lui nei secoli dei secoli siate nella gloria. Vi farò sapere, qualunque sia l'animo con cui me lo chiediate, la mia vita e la fede dei miei fratelli. Lodiamo soprattutto la verginità; chi, invece, l'ha persa, può osservare la castità perpetua, col permesso del nostro superiore. Nessuno di noi ha rapporti intimi con la propria moglie, ma se la tiene amorosamente come madre o sorella.
Non ci nutriamo mai di carne; preghiamo senza interruzione e digiuniamo continuamente; i nostri superiori, a turno, pregano sempre, giorno e notte, affinché non passi ora senza orazioni. Abbiamo ogni nostra proprietà in comune. Nessuno di noi finisce la vita senza tormenti, onde possiamo sfuggire i tormenti eterni. Crediamo e confessiamo il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Crediamo di poter essere legati o sciolti da coloro che hanno la potestà di legare e di sciogliere. Ci atteniamo al Vecchio Testamento e al Nuovo e ai Sacri Canoni, che leggiamo ogni giorno...”
Tutte queste cose diceva Gerardo, che a tutti i presenti apparivano grandi e terribili...
Ariberto: “Perché vi sposate se poi non procreate figli?”
Gerardo: “Se tutto il genere umano si congiungesse in modo da non sentire la corruzione, esso si riprodurrebbe senza coito, come le api.”
Ariberto: “A chi spetta l'assoluzione dei vostri peccati? Agli apostoli, al vescovo o al sacerdote?”
Gerardo: “Abbiamo un papa, non quello romano, che ogni giorno visita i nostri fratelli dispersi per il mondo, e quando Dio ce lo concede, allora con somma devozione ci è donata l'assoluzione dei nostri peccati.”
Ariberto: “La vostra vita in che modo finisce nei tormenti?”
Gerardo: “Se noi moriamo per le torture inflitte da uomini malvagi, siamo felici; se poi talvolta la morte viene secondo natura, chi ci è vicino, prima di esalare l'anima, in qualche modo ci uccide...”
Ed il vescovo Ariberto mandò moltissimi soldati a Monforte e li catturò tutti, prese anche la contessa di quel castello, che credeva in questa eresia. Condotti a Milano, per molti giorni per mezzo dei suoi sacerdoti, Ariberto si adoperò per reintegrarli nella fede cattolica. Si doleva moltissimo, temendo che le genti d'Italia fossero contaminate da questa eresia. Fu acceso un rogo straordinario e di fronte agli eretici fu alzata la croce del Signore. Ariberto fece questa legge: che fossero salvi tutti quegli eretici che, deposta ogni perfidia, avessero adorato la croce e confessata la fede che professa tutto il mondo, altrimenti fossero bruciati vivi dalle fiamme. E ciò fu fatto. Alcuni eretici venuti alla croce del Signore e confessata la fede cattolica, furono salvati; e gli altri, con le mani messe davanti al volto, si gettarono nelle fiamme e miseramente morirono ridotti in misere ceneri.

 

SECONDA PARTE

IN GERMANIA
Colonia, anno 1143.
Nell'anno 1143, Evervino di Steinfeld, premonstratense, scrive a Bernardo di Chiaravalle per informarlo di fatti eccezionali accaduti nella città di Colonia e gli chiede consiglio su come comportarsi nei riguardi degli eretici scoperti.
Questa è la loro eresia. Essi dicono che la chiesa è soltanto presso loro, al punto che essi seguono con coerenza le orme del Cristo e rimangono i veri imitatori della vita apostolica, perché non cercano le cose che sono del mondo, non possedendo case, ne' campi, nè proprietà: così come Cristo non fu padrone di niente, neanche ai suoi discepoli è concesso di averne. “Voi invece - ci dicono - aggiungete casa a casa e campo a campo e cercate le cose che sono di questo mondo, così che anche coloro che sono ritenuti tra voi i più perfetti, come i monaci e i canonici regolari, benché non posseggano queste cose in proprio ma in comune, tuttavia possiedono tutte queste cose”. Di se stessi dicono “noi poveri del Cristo, senza una sede stabile, fuggenti di città in città, come agnelli in mezzo ai lupi, sopportiamo la persecuzione come gli apostoli e i martiri: conducendo una vita santa e durissima nel digiuno e nella astinenza, perseverando giorno e notte in preghiera e lavori, e da questi ricerchiamo unicamente il necessario per vivere. Noi sopportiamo ciò poiché non siamo del mondo: voi invece che amate il mondo, avete pace con il mondo, perché siete del mondo. Pseudo apostoli, adulteratori della parola di Cristo, che hanno ricercato i propri interessi, hanno fatto uscire dalla retta via voi e i vostri padri. Noi e i nostri padri, generati apostoli, siamo rimasti nella grazia del Cristo e vi resteremo fino alla fine dei secoli. Per fare una distinzione tra noi e voi, il Cristo disse: “Dai loro frutti li riconoscerete”. I nostri frutti consistono nel seguire le vestigia del Cristo”. Nei loro cibi vietano ogni genere di latte... e di tutto ciò che è generato dal coito... Non si curano del nostro battesimo, condannano le nozze... Negano che sull'altare ci sia il corpo di Cristo, non hanno fede nel battesimo dei bambini... non confidano nei suffragi dei santi: aggiungono che i digiuni e le altre penitenze che sono fatte in remissione dei peccati non siano necessarie ai giusti e neanche ai peccatori “perché in qualunque momento il peccatore si pentirà, gli saranno rimessi tutti i peccati”... Non credono nel purgatorio dopo la morte... E pure disprezzano le preghiere dei fedeli o i sacrifici per i defunti. Conoscerai anche, o mio signore, che quelli che sono tornati alla chiesa, ci dissero che gli eretici sono una grandissima moltitudine sparsa in quasi ogni parte della terra e che tra loro vi sono parecchi dei nostri chierici e monaci... Sta bene in Dio.


Colonia, anno 1163.
Nell'anno 1163 gli eretici furono condotti fuori della città di Colonia e posti insieme sul rogo, accanto al cimitero degli ebrei... vi era tra loro una fanciulla, bella di aspetto, ma eretica, sottratta al rogo grazie all'intercessione di alcuni uomini i quali promisero che o sarebbe stata riconsegnata al marito, oppure, se questa eventualità fosse sembrata più opportuna, sarebbe stata collocata in un monastero. Ella si disse d'accordo, ma solo a parole: infatti, ...sfuggì dalle loro mani e coperto il volto con la veste, si gettò nelle fiamme.
I CATARI
La parola “cataro” appare per la prima volta tra il 1152 e il 1156 nei “Sermones contra Catharos” ( Sermoni contro i Catari ) di Ecberto di Schonau. Egli dice : Cathari, id est puri ( I Catari, cioè i Puri ). Alano di Lilla dà una etimologìa denigratoria :” Catharus da Catus, gatto, perchè nei loro riti segreti baciano il sedere di un gatto”. I Catari invece erano soliti chiamarsi Christiani o Boni Christiani o anche Buoni Uomini. Due scritti eresiologici del XIII secolo ci parlano delle origini del movimento cataro in Italia, l'Anonimo “De heresi Catharorum” ( Sull'eresia dei Catari), scritto verso il 1210 e il “Tractatus de hereticis” ( Trattato sugli eretici) di Anselmo d'Alessandria, scritto verso il 1270.
Anselmo dice che alcuni Francesi giunti a Costantinopoli per conquistarla, verso il 1147, al tempo della seconda crociata, si sarebbero convertiti ad una eresia, formando una comunità con a capo un “ vescovo dei Latini”. Era un ramo del Bogomilismo importato a Costantinopoli dell'ordine di Bulgaria. I Francesi tornati a casa, si misero a predicare e a moltiplicarsi; fu nominato il vescovo di Francia e, poichè erano stati convertiti a Costantinopoli dai Bulgari, in tutta la Francia gli eretici furono detti “Bulgari”. “ I Catari hanno avuto origine in Bulgaria, che prima si chiamava Mesia. Pertanto Bulgari o Burgari e in gallico Boulgres, sordido e disonesto nome che ancora persevera in Francia”. L'eresia si diffuse tra gli Occitani. Furono creati quattro vescovi, di Carcassonne, di Albi, di Tolosa e di Agen.
I L DOGMA
I Catari erano dualisti. Sostenevano che il Dio buono non è onnipotente, il Male conduce una grande guerra per contendergli la vittoria. Il mondo materiale non è stato creato da Dio, è interamente opera di Satana. Il mondo è diabolico, manifestazione del Male. L'uomo era considerato pure lui di origine diabolica, in quanto creatura di carne. Il Diavolo era però incapace di creare la vita. Chiese a Dio di aiutarlo e di infondere un'anima nel corpo umano fatto di creta. Dio, per bontà, immise una particella di Spirito nel corpo umano. Con vari inganni Satana riuscì a tenerla prigioniera. Adamo ed Eva furono spinti dal Demonio a quell'unione carnale che avrebbe sancito la loro immersione nella materia. Lo Spirito soffiato da Dio nel corpo, con la procreazione, si moltiplica e si suddivide all'infinito. Il mondo materiale, per i Catari, è il livello più basso della realtà, più irrimediabilmente lontano da Dio. Il Demonio è il Dio dell'Antico Testamento, Sabaoth, rozzo imitatore del Dio Buono, incapace di creare ma grande seduttore di anime, che porta prigioniere sulla Terra. Le introduce nella Materia che è loro estranea, e vivono in un'immensa sofferenza perchè separate dal Dio Buono col quale vivevano in beatitudine e a cui anelano di ritornare.
C'erano delle sètte catare che credevano nella trasmigrazione di queste anime da un corpo all'altro, in continue successioni di nascite e di morte. Ciò si ricollegava alla dottrina induista del Karma o reincarnazione. Altre sètte credevano che ogni nuova nascita facesse scendere dal cielo uno di quegli Angeli sedotti da Sabaoth, per entrare nel carcere del corpo; di qui l'orrore dei Catari per la procreazione. Ammettevano la ricompensa postuma per chi avesse condotto una vita onesta. Costui si sarebbe reincarnato in un corpo più favorevole al suo progresso spirituale. Chi trascorreva la sua vita nel crimine, si sarebbe reincarnato in un animale. Nessuna anima comunque avrebbe potuto ritornare al Dio Buono senza la discesa sulla Terra del Messia. Il Dio Buono è gioia e purezza. Egli sa che delle anime celesti si sono separate da lui e vorrebbe ricondurle in cielo. Ma Dio non può avere nessun contatto con la Materia creata dal Principe del Male. A Dio serviva un Messia, un Mediatore, ed inviò Gesù, che secondo i Catari, fu il più perfetto degli Angeli o il secondo figlio, essendo Satana il primo. Gesù scese nel mondo impuro della Materia, per pietà, verso quelle anime cui doveva insegnare il cammino del ritorno in cielo. Ma Gesù non aveva corpo, ma solo l'apparenza, non si incarnò ma si velò, egli fu una visione. I nemici di Dio credettero che Gesù avesse sofferto e fosse morto sulla croce, ma il suo corpo non era fatto di materia e dunque non poteva soffrire nè morire nè risuscitare. Aveva insegnato agli Apostoli la via della salvezza ed era risalito in cielo. La Chiesa che aveva lasciato in Terra possedeva lo Spirito Santo consolatore delle anime esiliate. Ma il Demonio era riuscito a distruggere e sostituire la chiesa di Cristo con un'altra falsa chiesa che aveva preso il nome di “cristiana”. La autentica chiesa cristiana , quella che possedeva lo Spirito Santo, era quella catara. La chiesa di Roma era la Bestia, la prostituta di Babilonia e chiunque le obbedisse non era salvo. La chiesa di Satana faceva credere agli uomini che dei gesti meccanici potessero condurre alla salvezza. L'acqua del battesimo e il pane dell'ostia fatti di materia impura non potevano possedere lo Spirito Santo. La Croce non poteva essere venerata ma anzi odiata, perchè strumento di umiliazione del Cristo. Inoltre la Chiesa cattolica considerava sacre le immagini e le reliquie, frammenti d'ossa in decomposizione o pezzi di legno o di stoffa che abili truffatori facevano passare per resti di corpi di santi uomini. Chi si inchinava di fronte a tali oggetti per adorarli, diventava un idolatra. La Vergine non fu la madre di Gesù perchè non avendo mai avuto un corpo non poteva nascere; ella fu un Angelo che aveva assunto le fattezze di una donna. La Vergine era un simbolo e cioè la Chiesa che accoglie la parola di Dio. Il dualismo cataro aveva due modi di interpretare la creazione del mondo e il peccato originale : c'era un dualismo assoluto e un dualismo mitigato.
DUALISMO ASSOLUTO: il Dio buono ha creato solo esseri spirituali, invisibili e puri, mentre il Dio malvagio ha creato la materia e il mondo visibile, causa del male fisico e morale. Il Dio malvagio si è introdotto nel mondo celeste e ha sedotto queste anime e le ha portate con sè sulla terra. Per trattenerle si è stabilito nei corpi e le ha incatenate alla sensualità. Il Dio buono ha acconsentito a ciò, alla carcerazione, perchè le anime colpevoli fossero punite del loro errore. La terra è dunque un luogo di penitenza. Le anime, in virtù della loro originale natura, devono tornare al cielo, ma esse si attardano nei loro peccati e anche nel periodo di purificazione che devono subire. E' per abbreviare questo periodo che il Dio buono inviò sulla terra suo figlio Gesù, la sua creatura più perfetta. La forma corporea sotto la quale apparve agli uomini non fu reale, perchè lui non voleva aver nulla in comune con l'opera del principe malvagio. Anche gli atti compiuti non furono che apparenze, solo la rappresentazione simbolica della realtà. Per ottenere la liberazione dell' anima occorreva affiliarsi alla chiesa dei Catari cioè dei puri o purificatori. Alla morte le anime non purificate entravano in altri corpi e continuavano questa migrazione prolungata fino a che non fossero entrate nella comunione dei puri. Era un dualismo radicale che non ammetteva nessun incontro tra il Dio del Bene e il Dio del Male.
DUALISMO MITIGATO: riportava la totalità degli esseri a un solo Dio loro creatore unico, spiegava in maniera mitologica la coesistenza del Bene e del Male. Originariamente Dio aveva due figli, Satanael e Gesù; il primo, che era il primogenito, era stato investito del governo del cielo e del potere creatore. L'orgoglio lo rovinò, aspirava a detronizzare il padre e associò altri Spiriti alla rivolta. Satanael fu cacciato dal cielo, egli creò l'uomo e la donna, la sedusse e diventò padre di Caino e Abele. Dio, per pietà, aveva dato un'anima alla creatura umana e non permise che il potere di Satanael restasse illimitato. Gli tolse la facoltà creatrice ma gli lasciò il governo della Terra, con la speranza che gli uomini, grazie al principio divino costitutivo delle loro anime, sarebbero sfuggite al potere satanico. E poichè ciò tardava troppo, inviò il suo secondo figlio, Gesù, sotto l'apparenza d'un corpo umano. E' sotto questa forma che risuscitò subito la persona di Maria, dopo essere penetrato nel suo orecchio sotto forma di un raggio di luce, fatto tollerato dalla Chiesa romana e frequente nelle antiche pitture, in quanto la luce rappresentava la Concezione. Compì la sua opera redentrice trionfando su Satanael, che perse il governo del mondo, ma conservò il potere di nuocere. Secondo questo sistema, si ammette che c'è sempre qualche relazione tra Satanael e Dio; questo punto di vista mitigato si apriva alla speranza del ritorno di tutti gli esseri spirituali, di Satanael stesso, nel vasto seno del padre di tutti. I due sistemi rifiutavano l'Antico Testamento, che cosideravano dettato dal genio del Male, Jehovah non era che una finzione di questo Dio malvagio, e la legge ebraica era il mezzo fallace di eternare il suo potere. Credevano di trovare nei profeti e nei salmi delle ispirazioni del Dio di bontà che voleva preparare la redenzione. Riconoscevano l'autorità del Nuovo Testamento, ma il libro preferito è il quarto Vangelo. Onoravano un vangelo apocrifo attribuito all'apostolo Giovanni e che doveva essere venuto dall'Oriente, come pure una Apocalisse, anch'essa orientale, intitolata “Visione d'Isaia”.
Il peccato consisteva prima di tutto nell'amore delle creature materiali; la creazione visibile era opera del principe del male. Dunque tutta inclinazione sensuale, tutta bramosia di beni materiali; era condannato il possesso della ricchezza, la menzogna interessata, a meno che non si trattasse di sfuggire alla persecuzione, ingannando il grande ingannatore infernale, la guerra; era proibita l'uccisione degli animali eccetto i rettili, il consumo di latte e carne erano interdetti. Gli animali erano o potevano essere delle persone un tempo umane che non avevano finito la loro metempsicosi; era lecito nutrirsi di pesce. Tutti gli esseri nati da copulazione carnale avevano una origine impura. Anche il matrimonio era considerato illecito. Serviva solo ad aumentare il numero degli schiavi di Satana. La santità catara era possibile solo col celibato e si vedevano degli sposi separarsi di comune accordo per votarsi interamente alla purificazione delle loro anime.
GLI ORDINI CATARI
Presso i Catari quattro erano gli Ordini o gradi. Il primo si chiamava Vescovo, il secondo Figlio maggiore, il terzo Figlio minore, il quarto Diacono e poi c'erano i credenti. Si sostituivano in caso di morte o assenza. “Alla morte del vescovo, il figlio minore ordinava vescovo il figlio maggiore il quale ordinava il figlio minore in maggiore.” Importante era l'imposizione delle mani che dava l'investitura o il consolamentum ai moribondi; con questo atto il vescovo conferiva la grazia e infondeva lo Spirito Santo, che però perdeva se avesse peccato con una donna. Quest'accusa fu usata spesso dai rappresentanti ufficiali delle diverse dottrine catare per annullare l'autorità spirituale di un vescovo.
FESTIVITA' CATARE
I Catari non avevano nessuna festività. Anselmo d'Alessandria dice che i Bagnolesi non riconoscevano alcuna domenica nè celebravano ricorrenze di nessun santo. Durante l'anno avevano tre quaresime: dalla festa di San Brizio, 13 novembre, fino a Natale; dalla prima domenica di quadragesima fino alla Pasqua; dalla festa di Pentecoste fino alla ricorrenza degli Apostoli Pietro e Paolo, quest'ultima detta settimana santa.
CERIMONIA DEL CONSOLAMENTUM
E' battesimo, cresima, sacerdozio ed estrema unzione. Il fedele doveva fare un lungo periodo di iniziazione. Restava uno o due anni in una casa di Perfetti e doveva dare prova della vocazione. Se giudicato degno, veniva presentato alla comunità. Si preparava alla consacrazione con digiuni, veglie e tante preghiere. Il giorno della cerimonia veniva introdotto nella sala comune. Poteva essere una casa privata ; in città c'erano molte case consacrate al culto, all'insegnamento e alla cura dei malati, perchè i Perfetti lasciavano tutto alla chiesa. Le pareti erano dipinte a calce, spoglie, qualche banco, un tavolo con tovaglia bianca e sopra il Vangelo. Su un altro tavolo, una brocca e una bacinella per la lavanda delle mani. Molti i ceri accesi, perchè rappresentavano le fiamme dello Spirito Santo, disceso sugli Apostoli nella Pentecoste. Il fedele era condotto ai ministri del culto, vestito con una lunga tonaca nera, simbolo del distacco dal mondo. Il Perfetto e due assistenti si lavavano le mani per poter toccare il testo sacro. Iniziava la cerimonia. L'officiante spiegava al neofita i doni della religione e gli obblighi ai quali si sottometteva. Poi recitava il Pater commentandone ogni frase, e si ripeteva insieme, “ Padre Santo, Dio giusto dei buoni spiriti, tu che mai ti inganni, nè menti o dubiti, nel timore di provare la morte nel mondo del dio straniero, poichè noi non siamo del mondo nè il mondo è nostro, donaci di conoscere quel che tu conosci e di amare quel che tu ami...” futuro Perfetto doveva abiurare la fede cattolica, e prosternandosi tre volte chiedeva di essere accolto nella nuova chiesa. Doveva darsi a Dio e al Vangelo. Prometteva di non mangiare carne, uova e altri alimenti di origine animale, di astenersi da ogni commercio carnale, di non mentire nè giurare, di non rinunciare alla fede per paura della morte. Confessava pubblicamente i suoi peccati e ne chiedeva perdono. Ricevuta l'assoluzione, rinnovava l'impegno ed era pronto a ricevere lo Spirito. Il Perfetto poneva sul capo il Vangelo e insieme ai suoi assistenti imponeva le mani su di lui pregando Dio di inviargli lo Spirito Santo. In quel momento il neofita si trasformava in una creatura nuova, egli nasceva” allo Spirito”. I presenti recitavano il Pater noster ad alta voce, l'officiante leggeva i primi 17 versetti del Vangelo di Giovanni : “In pricipio era il Verbo...”, poi recitava ancora il Pater. Il nuovo eletto riceveva il bacio della pace dall'officiante e poi dai suoi assistenti. Egli a sua volta dava il bacio al più vicino dei fedeli che assistevano alla cerimonia e questo bacio si trasmetteva tra tutti i presenti, se era una donna, l'officiante toccava una spalla della nuova Perfetta con il Vangelo e il gomito con il gomito. D'ora in avanti il nuovo”consolato” avrebbe portato l'abito nero dei fratelli che non avrebbe più dismesso. Poi con le persecuzioni, gli uomini tenevano intorno al collo un cordone, le donne lo tenevano alla cintola, sotto gli abiti. Petrus Vallecernensis nella sua Historia Albigensium ( Storia degli Albigesi) ci tramanda il rito dei Catari di Gallia. Così lo descrive. “ Nella cerimonia sacrilega il vescovo diceva: Amico, se vuoi essere dei nostri, è necessario che tu rinunci a tutta la fede che tieni nella chiesa di Roma”. Rispondeva : “ Rinuncio”. “ Dunque ricevi lo Spirito Santo dai buoni uomini”. Allora gli soffiava sette volte in bocca, poi gli diceva: “ Rinunci alla Croce che il sacerdote ti fece sul petto, nel battesimo, sulle spalle, sulla testa con l'olio?”. Rispondeva:” Rinuncio”. “ Credi che quell'acqua sia stata necessaria alla tua salvezza?”. “ Non credo!”. “ Rinunci allora a quello che il sacerdote ti ha dato con il Battesimo?”. Rispondeva:” Rinuncio”. Allora tutti imponevano le mani, lo abbracciavano, gli mettevano addosso una veste nera e da quel momento era uno di loro. Il nuovo consolato lasciava tutti i suoi beni alla comunità e si dava alla vita errante, alla preghiera, alla predicazione, alle opere di carità. Il vescovo locale assegnava al nuovo Perfetto un compagno, scelto tra gli altri Perfetti, il socius o socia se donna. Vestiti di nero, coi capelli lunghi, con la carnagione pallida, pieni di austerità dei costumi, andavano nel mondo pronti a morire con gioia per la loro fede, e si guadagnarono una diffusa fama di bontà.
COMPOSIZIONE SOCIALE DEGLI AMBIENTI CATARI
Tra i credenti e i perfetti non si trova nessun contadino. Tra i lavoratori della città si trovano sarti, fabbri, conciatori, fabbricanti di borse, mugnai, tavernieri, osti, conciatori, pellicciai, carrettieri, venditori ambulanti. Sono in genere artigiani che hanno una bottega, pochi i lavoratori salariati. Numerosi sono i Catari che appartengono all'alta borghesia cittadina: propietari di beni immobili in campagna, di terreni e immobili in città, mercanti, imprenditori e banchieri. Molte erano le accuse agli Inquisitori di perseguire gli eretici al fine di confiscarne i beni, di cui 2/3 andavano alla Chiesa e 1/3 al Comune. Spesso le case e i castelli dove si rifugiavano i Catari appartenevano ai patrizi e al ceto gentilizio feudale della città.
IL PERFETTO
“..Andavano i Perfetti per villaggi e campagne nelle città e nei mercati fra accattoni, mercanti, operai e contadini, si insinuavano nelle case, senza che da nessun segno esteriore trasparisse esser essi agnelli e colombe nell'aspetto, nel tono della voce, nelle parole, ma volpi nel cuore a detta dei cattolici. Attaccavano discorso con uomini semplici e con donne; e dapprima parlavano loro di Dio, delle virtù, della vita e della salvazione dell'anima; poi si indugiavano molto sui vizi del clero, sulle loro ricchezze, sul giogo che facevan pesare sul popolo. Toccavano di qualche parte del culto che ingenerava abusi, come la venerazione delle immagini, o che ripugnava al senso comune, come la transustanziazione. Infine entravan di proposito nella parte metafisica e teologica della religione, demolendo i dogmi cattolici e insinuando credenze proprie; dimostrando che la loro chiesa era la vera, non quella di Roma. Se un cataro parlava con un povero diavolo maledicente la sua povertà, cominciava a compassionarlo e incolpava poi i cristiani ricchi, i prelati, i chierici che avrebbero dovuto seguir vita apostolica e sollevare gli umili, perchè nessuno fosse nella miseria, come nessuno vi era nella chiesa primitiva.....Aggiungeva che i prelati e i chierici erano fuori della fede e perseguitavano i giusti, come i sacerdoti giudei, gli Apostoli”.
Il cataro rilevava la corruttela ecclesiatica, il ricordo di una chiesa migliore, la scostumatezza dei chierici, l'opulenza del clero, la negazione della chiesa cattolica e dei dogmi. I Catari trascinavano così verso la loro dottrina quanti già fermentavano di mali umori contro i chierici, e “ si mettevano senza condizioni dalla parte del bene ultramondano cercando di allontanarsi il più possibile dalle cose terrene. Efficace fu l'esempio fornito dalla condotta di vita ascetica praticata dai suoi perfetti e grazie alla quale venivano guadagnati sempre nuovi seguaci”.
Il Perfetto era l'anima vivente della Chiesa catara. Erano puri di costumi e obbligarono la Chiesa
cattolica a combatterli con le loro stesse armi, a predicare a piedi nudi e a vivere di elemosine. Il popolo li soprannominava “ Buoni uomini”, si trattava proprio di uomini buoni. Andavano a due a due a visitare castelli e villaggi in umiltà ed austerità e suscitavano ovunque venerazione. Erano ascoltati per la dolcezza e serietà dei loro discorsi, pregavano e parlavano sempre di Dio. Il prete Cosma, nel suo Trattato, dice :” Non alzano mai la voce, non dicono mai cose sconvenienti, aprono la bocca solo per pronunciare parole pie e sempre pregano pubblicamente..”. I Perfetti erano stimati per le loro opere di carità. Vivevano in povertà, ma usavano le elemosine dei fedeli per darle ai bisognosi. E il popolo che ama la bontà e la compassione sincera, correva da loro che con l'esempio conquistavano i cuori. Osservavano tre Quaresime all'anno, durante le quali digiunavano tre giorni la settimana a pane e acqua, erano emaciati, pallidi, segnati dalle privazioni.
MODALITA' DI DIFFUSIONE DEL CATARISMO
Raniero Sacconi, che fu per diciassette anni vescovo cataro e poi abiurò, così descrive la modalità di diffusione del catarismo tra la gente ad opera degli eretici: “Gli eretici accortamente si studiano come potersi introdurre nella familiarità dei nobili e gran signori, e il in questo modo: offrono ai signori e alle signore da comperare gradite merci, quali sono anelli e cose simili. Smerciatene alcune, se il compratore al venditore domanda : ne avete altre, questi risponde : ne ho di più preziose di queste, pur queste vi venderei se mi faceste sicuro di non palesarmi ai chierici. Datagli sicurezza, soggiunge : ho una gemma così lucente che per essa l'uomo conosce Iddio, ne tengo un'altra che così arde che accende l'amor divino nel cuor di quello che la possiede, e così delle altre gemme segue a parlar in metafora. Dopo recita qualche verso tratto dal Vangelo, il primo di San Luca, il XIII di San Giovanni. Se si avvede che il compratore lo ascolta senza disgusto, passa a recitargli il capitolo XXIII di San Matteo :" Super cathedram Moysi sederunt Scribae et Pharisei " ( Sopra la cattedra di Mosè sedettero gli scribi e i Farisei), e il X di San Marco, nei quali è, appunto, dipinto il carattere degli Scribi e dei Farisei. Interrogato di cui parlino quelle scritture, risponde che parlano dei chierici e dei religiosi. Quindi si apre la strada a far il parallelo tra lo stato della chiesa romana e lo stato delle lor sètte così proseguendo :" I dottori della romana chiesa sono pieni di fasto nel costume e nel vestito, amano i primi posti e d'esser degli uomini chiamati maestri, noi non cerchiamo tali dottori e maestri; di più sono essi incontinenti, ciascun di noi ha la sua moglie e vive con essa castamente; sono essi ricchi ed avari ai quali vien detto:" Guai a voi o ricchi, che qui avete la vostra consolazione, noi quando abbiamo di che vivere e di che coprirci, siamo di ciò contenti", sono essi voluttuosi ai quali vien detto:" Guai a voi che divorate le case delle vedove, noi al contrario in qualunque modo campiamo la vita". Essi fan guerra, conducono armate, comandano che si uccidano i poveri, ai quali vien detto:" Chiunque prenderà in mano il ferro, perirà pel ferro"; noi, al contrario, sosteniamo da loro persecuzione per amore della giustizia; essi mangiano un pane ozioso, niente non operando; noi lavoriamo colle nostre mani, essi vogliono essere i nostri maestri e i soli sapienti; al contrario presso di noi così le donne come gli uomini insegnano, e uno scolaro di sette giorni insegna agli altri.... noi ci adoperiamo perchè sia osservata la dottrina tutta di Gesù Cristo e degli Apostoli, noi dietro all'esempio di Gesù Cristo diciamo al peccatore:" Vattene e non voler più peccare, e con l'imposizione delle mani gli rimettiamo tutti i peccati".

I CATARI IN ITALIA
Nel 1165 un gruppo di Catari francesi si stabilì a Roccavione, 10 Km da Cuneo; il loro vescovo arrivò fino a Napoli. Un notaio francese giunse a Concorezzo, 19 Km da Milano,e conquistò all'eresia il becchino Marco che abitava a Cologno Monzese, 8 Km da Concorezzo. " Post longum tempus quidam notarius de Francia venit in Lombardiam, scilicet in comitatu mediolanensi, in partibus de Concoretio, et invenit unum qui dicebatur Marcus... ( Dopo lungo tempo, un notaio dalla Francia, giunse in Lombardia, nella contea milanese, dalle parti di Concorezzo, e trovò un tale che si chiamava Marco..). Marco convinse all'eresia due suoi amici, il tessitore Giovanni Giudeo e il fabbro Giuseppe; poi a Milano si aggiunse Aldrico di Bando. Si recarono a Napoli dal suddetto vescovo che li catechizzò per un anno, conferì loro il consolamentum e ordinò Marco diacono; questi tornò a Concorezzo e cominciò la diffusione della nuova dottrina in Lombardia, nella Marca Trevisana e in Toscana. Egli aveva aderito al dualismo mitigato bulgaro, l'Ordo Bulgariae, cioè la chiesa bogomila, che era in collegamento con la chiesa di Costantinopoli e quella di Linguadoca e con i nuovi proseliti italiani. Nel 1167 arrivò in Lombardia da Costantinopoli il vescovo Papa Niketas, che professava il dualismo assoluto dell'Ordo Drugunthiae, probabilmente Dragovitza, in Macedonia. Le due confessioni portavano il loro dissidio e il loro impegno di conquista nei paesi occidentali. Il termine Papa equivale a pope, cioè prete, non alla guisa del capo supremo della chiesa cattolica. Niketas offerse il governo e la dignità vescovile al diacono Marco mediante però il rinnovo del consolamentum; Niketas continuò insieme con il nuovo vescovo dei catari italiani, l'opera di conversione al dualismo assoluto fra i Catari della Francia meridionale.

IL CONCILIO CATARO DI SAINT- FELIX DE LAURAGAIS ( O CARAMAN )- prov.TOLOSA Nella storia del catarismo latino assume grande importanza il Concilio di Saint Felix de Lauragais, diocesi di Tolosa, radunato nel maggio 1167. Erano presenti: Roberto di Espernone, vescovo della chiesa di Francia; Marco, della chiesa di Lombardia; Siccardo Cellarius della chiesa di Albi; Bernardo Catalanus, della chiesa di Carcassonne, accompagnati dal figlio maggiore e figlio minore. C'era presente una folla enorme di fedeli della chiesa catara di Tolosa e di altre chiese. Il motivo religioso era la presenza di un uomo di chiesa cataro, venuto dalla penisola balcanica o da Bisanzio, il papa Niceta, detto nel documento, Niquinta. Questi aveva organizzato l'eresia in Italia e di lì lo avevano chiamato i tolosani che erano senza vescovo . Da lui chiesero e ottennero in gran numero il consolamentum, il rito cioè dell'imposizione delle mani. Durante questo Concilio si scontrarono due tendenze di dualismo, quella moderata e quella assoluta. Niceta era per il dualismo assoluto.
"Nel concilio generale di S. Felix de Caraman (Tolosa) del 1167 un certo Niketas venuto da Costantinopoli unificò il catarismo di tipo moderato dei paesi latini nel dualismo assoluto della chiesa o ordine di Dragowitza ( Tracia o Macedonia). Esso si mantenne nella corrente degli Albanesi ( probabilmente da un loro vescovo di nome Albano) con sede centrale Desenzano e professato dai Catari della Francia meridionale, detti Albigesi. Il primitivo dualismo mitigato o monarchico derivato dalla chiesa o ordine di Bulgaria, fu adottato dalla corrente dei Concorrezzesi; questi erano in completo dissidio coi primi a causa della diversa concezione dualistica e derivati dottrinali morali o culturali. Tale dottrina fu accettata anche dalla terza corrente dottrinale dei BAGNOLESI, questi mutuano le loro credenze dalla chiesa o ordine di Sclavonia in Bosnia, condividono il dualismo mitigato dei Concorrezzesi, ma non assumono la loro teoria traducianista circa l'origine delle anime. Le popolazioni della Tracia meridionale lo professavano fin dal 1149. Questi nel 1233 emigrarono in Lombardia e Veneto, a Verona, quando sfuggirono alla reazione cattolica".
Il fatto più importante fu l'incorporazione di tutte le comunità catare nella fede della chiesa di Dragowitsa, che sosteneva il dualismo assoluto; questo passaggio dogmatico dal primitivo dualismo mitigato fu compiuto col rinnovo del rito del consolamentum; Con esso si applicava il principio che la sua validità dipendeva anche dalla verità della dottrina professata dal vescovo o dal perfetto che lo conferiva. Niketas esortò alla concordia e alla pace; egli poteva rallegrarsi d'aver sistemato nell'unità il bogomilismo progredito e il catarismo occidentale, sotto i segni di una dottrina dualistica, che era ormai in dichiarata opposizione con la chiesa cattolica sul piano dogmatico.

LA CHIESA BULGARA " NON CI STA "
La chiesa bulgara passò alla controffensiva contro l'azione missionaria di Niketas e della chiesa di Dragowitsa; il vescovo Marco fu scosso dalle voci che contestavano la purezza dei costumi di Niketas. Testimoni ( veri o falsi?) dicevano che era stato trovato in intimità con una donna, e di conseguenza il peccato invalidava la verità della sua dottrina, la validità quindi delle sue ordinazioni. Marco, dalla Calabria tentò di recarsi in Bulgaria per ricevere l'antica ordinazione; imprigionato nel viaggio di ritorno, assai probabilmente ad Argenta, vicino a Ferrara, fece eleggere un suo successore e ordinò l'amico Giovanni Giudeo; morì fuori prigione, lasciando i seguaci nel dubbio sulla sua sorte spirituale. Una missione della corrente bulgara, venuta d'oltremare con a capo un certo Petriakos, sparse la notizia che il vescovo Simone, predecessore di Niketas, era stato colto in intimità con una donna e aveva compiuto altre cose " contra rationem", cioè contrarie alla verità catara; ne derivava l'invalidità del consolamentum e della ordinazione vescovile, conferiti a Niketas e da questi a Marco. Tale invalidità era sostenuta da un certo Nicola che aspirava ad essere vescovo della Marca Trevisana. Il gruppo toscano elesse un proprio vescovo, Pietro da Firenze. Alle divisioni esistenti tra le varie chiese non rimediò l'arbitrato del vescovo della chiesa di Francia, a cui erano ricorsi i sapientes (teologi) lombardi.

IL CONCILIO CATARO DI MOSIO, provincia di MANTOVA
Fu convocato un congresso di conciliazione a Mosio, in provincia di Mantova. A due passi da Mosio c'era l'abbazia benedettina di Acquanegra sul Chiese, di cui sappiamo essere essa tanto infetta di eresia da dover essere nominata in una Costituzione imperiale del 22 febbraio 1224, come eponimo di una sètta ereticale. La sorte cadde sul candidato del gruppo lombardo, Garatto; tutti s'impegnarono a scegliergli i compagni e a provvederlo di denaro per il viaggio in Bulgaria. Nel frattempo due testimoni sorpresero Garatto in fallo con una donna; per questa sua indegnità, la maggior parte dei catari gli rifiutò obbedienza e la comunità catara italiana si frazionò ulteriormente in sei gruppi o chiese. I sostenitori di Garatto rappresentanti il nucleo milanese originario, con Marco e la prima tradizione del catarismo, gli rimasero fedeli; però Garatto lasciò il posto a Giovanni Giudeo; Il vecchio Giovanni dovette recarsi in Bulgaria per ricevere di nuovo l'ordine e la fede primitiva. Alla sua morte gli succedette un altro collega della prima ora, il fabbro Giuseppe. Dopo la morte di questi ritornò in scena Garatto, la cui colpa non faceva ostacolo alla sua elezione, anzi egli affrontò i secessionisti pretendendo l'osservanza della precedente promessa di obbedienza, ma gli altri avevano già organizzato la loro autonomia, sia gerarchica che dottrinale. L'anonimo autore del "De heresi catharorum" ( Sull'eresia dei Catari) dice che il primitivo catarismo italiano, la "ecclesia Lombardiae" ( La chiesa di Lombardia) si frazionò in sei circoscrizioni, gerarchicamente indipendenti:

 

TERZA PARTE

1) Chiesa di Concorezzo, ( Ordo Bulgariae, dualismo mitigato),
2) Chiesa di Desenzano, ( Ordo Drugunthiae, dualismo assoluto),
3) Chiesa di Bagnolo San Vito, ( Ordo Sclaveniae, dualismo mitigato),
4) Chiesa della Marca trevisana, ( Ordo Sclaveniae, dualismo mitigato),
5) Chiesa di Firenze, ( Ordo Drugunthiae, dualismo assoluto),
6) Chiesa della Valle Spoletana ( Ordo Drugunthiae, dualismo assoluto).

LA CHIESA CATARA DI BAGNOLO
"..Sorta anch'essa dallo scisma che divise i catari d'Italia alla fine del sec. XII, la chiesa catara di Mantova ebbe vescovo, per primo, Caloiohannes, evidentemente greco. Per la sua formazione religiosa egli si rivolse alla chiesa balcanica di Sclavenia, di cui fu in Italia il seguace. Prima sede del suo gruppo fu Mantova, donde il successore, Ottone di Bagnolo, la trasferì a Bagnolo, che diede loro il nome di Bagnolenses, mentre altrove sono chiamati Sclavini, proprio perchè seguivano l'Ordo Sclavenie".
Perchè il vescovo cataro Ottone , verso l'anno 1185, sposta la sede vescovile da Mantova a Bagnolo? Egli era originario di questo borgo e quindi conosceva bene il territorio circostante. Anche Bagnolo, come Mantova, era sul Mincio, id est lacus, che è lago. Il lago Inferiore, formato dal corso del Mincio, giungeva da Mantova fino a Bagnolo e si estendeva, a nord, fino a Formigosa, Barbasso, poi il fiume a Governolo si gettava nel Po di Lirone.
La scelta del lago, (comunità catare vivevano a Desenzano, a Lazise e a Sirmione sul lago di Garda e anche a Como, sull'omonimo lago ) è dettata da una necessità. I perfetti catari si potevano nutrire soltanto di pane, pesce e olio. Bisognava che trovassero luoghi tali da poter fornire quotidianamente e per gruppi di persone piuttosto numerosi, il pesce necessario. Inoltre la richiesta strana di questo cibo avrebbe potuto attirare le attenzioni e i sospetti dell'inquisizione. Ma gli abitanti del lago sono abituati a fare del pesce il loro alimento principale se non giornaliero. E dunque nessun sospetto per il consumo di quel cibo.
Poi la sede del vescovado doveva trovarsi in zona di facile accesso, su strade ben conosciute e frequentate. Per Mantova passava la via Romea cioè l'itinerario dei pellegrini del Nord Europa che si dirigevano in pellegrinaggio verso la capitale della cristianità. Il passaggio del Po a Bagnolo permetteva ai pellegrini di pregare subito presso il monastero di San Benedetto di Polirone ( sul Po di Lirone).
Il Po verso l'anno mille si era aperto un nuovo letto verso nord e aveva raggiunto il Lirone. Il Largione o Lirone era un modesto corso d'acqua che si diramava dall'Oglio sulla riva sinistra e scorreva nel tratto attuale del Po, da Scorzarolo a Sustinente, rendendolo un suo ramo che prese il nome di Polirone. Il corso principale del Po era molto sinuoso e a monte di Luzzara volgeva ad est, risaliva verso Suzzara che toccava a sud, "Sub-Zara", paese posto sotto il fiume Zara, e con nuove anse continuava verso Palidano, Gonzaga e Pegognaga. Presso San Benedetto riceveva le acque dello Zara, e a Sustinente quelle del Lirone; da qui il suo corso si identificava con quello attuale. Dopo aver sostato e pregato a San Benedetto, il viaggio dei pellegrini procedeva per Modena, Bologna, Firenze, Roma.
Il vescovado doveva essere anche centro di vita economica, industriale o commerciale tale da giustificare, senza dare eccessivamente nell'occhio, il continuo andirivieni di persone dalle favelle straniere, normalmente viaggianti sotto l'aspetto di mercanti. La località Forcello di Bagnolo San Vito era abitata fin dal V secolo a. C. . Numerosi i reperti trovati di ceramica orientale, a dimostrazione degli intensi scambi commerciali che sono sempre esistiti nella valle del Po anche con l'Oriente, e da lì, poi, attraverso le vie mercantili, giungerà l'eresia catara?


LA FEDE RELIGIOSA
"Le difficoltà cominciano però quando vogliamo cercare di farci un'idea precisa della fede religiosa dei Bagnolesi, che in loro non sembra aver avuto un aspetto ed un profilo così tipicamente caratteristici come le due chiese di Concorezzo e di Desenzano. Il Tractatus de Hereticis di Anselmo d'Alessandria, che pur essendo assai tardo, ( circa anno 1270), è molto ben informato, ci fa osservare che questo gruppo mancava di un'unità coerente di idee; inoltre non dovette mai avere un certo grande rilievo di pensiero religioso, se i controversisti cattolici che ricordano spessissimo i seguaci di Concorezzo e di Desenzano, considerano assai meno quelli di Bagnolo".All'epoca del Tractatus di Anselmo, i Catari bagnolesi erano divisi in tre tendenze, alcuni aderivano alle idee dei catari di Concorezzo, altri a quelle della chiesa di Desenzano, ed altri ancora tenevano una via di mezzo. Questi ultimi, precisa sempre Anselmo, accettano il dualismo moderato con il mito della creazione e formazione del mondo, ma se ne allontanano a proposito del peccato degli angeli, che è quanto dire sull'origine del male nell'universo. Ponevano infatti una distinzione tra gli angeli che avevano aderito volontariamente a Satana, anzi al dragone, e per questi non c'era possibilità alcuna di salvezza, sono i veri e propri demoni, e gli altri angeli che furono invece trascinati giù dal cielo con la violenza, questi potranno salvarsi. Anzi gli spiriti di due di essi, Adamo ed Eva, chiusi nei corpi rendono possibile la riproduzione ex traducione, di altri spiriti che dovranno ricostruire il numero di quelli che, caduti per volontaria defezione dal cielo, non potranno più tornarvi. E la riproduzione ex traducione è un fenomeno, essi osservavano, perfettamente naturale "come il corpo dal corpo e la pianta dalla pianta, sempre tuttavia per opera del diavolo". In tal modo l'astuzia diabolica, con la quale il diavolo aveva cercato di perpetuare, mediante la riproduzione, la prigionia degli angeli nei corpi, è, in realtà, servita a creare altri spiriti, ai quali si rivolge la salvezza di Cristo. Gesù veniva considerato minore del Padre, non ci vengono però date altre precisazioni, se non che egli ebbe solo apparenza di corpo umano, mentre, in realtà, ne portò uno spirituale dal cielo. Negano quindi la passione, la morte e la resurrezione di Cristo, sostenendo che tutto accadde, certo, ma solo in apparenza.

Bagnolesi : Eretici catari che costituivano in Lombardia nel secolo XIII un gruppo medio tra le due opposte correnti catare degli Albanesi e dei Concorrezesi. Il loro nome proviene da una località lombarda in cui ebbero un centro gerarchico, Bagnolo Mella ( BS) o Bagnolo Cremasco o più probabilmente Bagnolo San Vito ( MN). L'inquisitore Raniero Sacconi ( ca. 1250) computa a 200 i loro professi e dissemina i seguaci tra Mantova, Brescia, Bergamo, Milano e la Romagna, ma anche i membri della chiesa catara della Marca Trevisana, Toscana, Valle Spoletana aderivano alle dottrine Bagnolesi. Dai processi inquisitoriali risulta che, nella seconda metà del secolo XIII, gerarchi ed affiliati di questa setta operavano a Verona, Sirmione, Vicenza, Rimini, Ferrara, Bologna. I Bagnolesi son detti anche Francigenae perchè i membri della chiesa catara della antica Francia emigrati in Lombardia e a Verona, condivisero la loro posizione dottrinale; sono detti Caloiani da un loro vescovo Caloioanus.

BAGNOLENSES SEU BAJOLENSES
Cathari in omnibus ferme cum proxime superioribus consentiebant, nisi quod animas a Deo creatas ante mundi constitutionem credebant, tunc etiam peccasse. Sentiebant vero cum Nazario, Beatam Virginem Angelum fuisse, Christum ipsum non humanam sed angelicam naturam sumpsisse, corpus caeleste habuisse. ( I Catari BAGNOLENSI credevano che le anime fossero state create da Dio prima della creazione del mondo e che allora avessero peccato. Credevano anche, insieme con Nazario, (primo vescovo di Concorezzo) che la Beata Vergine fosse un angelo e che Cristo stesso non avesse assunto la natura umana ma quella angelica, che avesse avuto un corpo celeste.

"...Quanto alla Lombardia tre sette primeggiavano : Catari, Concorezesi, BAGNOLESI. I Catari venivano divisi in due parzialità : alla prima era vescovo Belasmanza veronese, all'altra Giovanni di Lugio, bergamasco. I primi dicevano eterno il mondo, i patriarchi erano ministri del demonio: un angelo aveva portato il corpo di Gesù Cristo nell'utero di Maria senza ch'ella v'avesse parte; solo in apparenza egli era nato, vissuto, morto, risorto. Gli altri tenevano che le creature fossero state formate quali dal buono quali dal tristo principio, ma ab eterno. La creazione, la redenzione, i miracoli erano accaduti in un mondo diverso dal nostro: Dio non essere onnipotente perchè nelle opere sue può venir contrariato dal principio a sè opposto: Cristo aver potuto peccare. I Concoresi ammettono Dio aver creato gli angeli e gli elementi, ma l'angelo ribelle è divenuto demonio, formò l'uomo e questo universo visibile: Cristo fu di natura angelica. I BAGNOLESI facevano le anime create da Dio prima del mondo e allora avessero peccato; la beata Vergine esser un angelo e Cristo avere bensì assunto corpo umano per patire, ma non glorificatolo, anzi depostolo all'ascensione. A tutti costoro opponevasi la setta dei Passagini o Circoncisi; e poichè i Catari ripudiavano il Vecchio Testamento, essi pretendevano avessero validità fin le leggi penali di Mosè, poichè quelli supponevano che Cristo si fosse incarnato solo in apparenza ( Docetismo) essi lo riduceano ad uomo, siccome gli antichi Ario ed Ebione. Fra' Ranerio Saccone che dopo essere stato 17 anni coi Catari li confutò e perseguitò, sicchè poteva averne buona conoscenza, li distingue affatto dai Valdesi, padri degli Albigesi. Sedici loro chiese annovera, delle quali sei in Lombardia: degli Albanesi, che stanno principalmente a Verona e sono 500, dei Concoresi, che fra tutta la Lombardia sommeranno a 1500; dei BAGNOLESI, non più di 200, sparsi a Mantova, a Milano, nella Romagna; 100 nella chiesa della Marca, 100 in quelle di Toscana e di Spoleto; 150 della chiesa di Francia dimorano a Verona e per la Lombardia; 200 delle chiese di Tolosa e di Albi e Carcassonne; 50 di quelle di Latini e Greci a Costantinopoli; 500 delle altre di Sclavonia, Romania, Filadelfia, Bulgaria. Patarini furono detti da " pati " (soffrire) perchè ostentavano penitenza, o dal" pater" che era la loro preghiera. Infiniti nomi indicavano le varie sette: Gazari, Arnaldisti, Giuseppini, Insavattati, Leonisti, Bulgari, Circoncisi, Pubblicani, Comisti, Credenti di Milano, di Concorezzo, di BAGNOLO, Vanni, Fursci, Romulari, Carantani."

ARMANNO PONGILUPO DA FERRARA, BAGNOLENSE
Il 16 dicembre 1269 moriva in Ferrara, in odore di santità, per il popolo e di eresia per gli inquisitori, Armanno, detto Pongilupo, della sètta dei Bagnolesi. Venne sepolto nella cattedrale di Ferrara e i fedeli che andavano a pregare sulla sua tomba venivano miracolati. L'Inquisizione impiegò più di trent'anni, dal 1270 al 1288, prima di arrivare ad una sentenza di colpevolezza di eresia nei riguardi di Pongilupo. Il 22 marzo dell'anno 1301 le ossa di Pongilupo, per ordine di Bonifacio VIII, furono tolte dal sepolcro della cattedrale di Ferrara, e fu eseguita la condanna. Le ossa furono bruciate sul rogo. Il Muratori riporta "l'inquisizione sui miracoli che sono stati compiuti presso il sepolcro di Armanno Ferrarese". La prima inquisizione, per accertare la veridicità dei miracoli verificatisi sulla tomba di Pongilupo, al fine di una eventuale sua santificazione, iniziò il 21 dicembre 1269 : Gavardo di Borgonuovo giurò che la figlia Marchesina di 8 anni, dalla nascita zoppicava da tutte due le gambe. Va alla tomba di Armanno e guarisce.
28 dicembre 1269 : Adelasia, moglie di Andrioli de Pizolbano di Cornacervina giurò che da due anni soffriva agli occhi e per vedere il Santissimo si doveva alzare, con le mani, le palpebre degli occhi. E ieri il miracolo, e poi cita i testimoni.
Nel 1270 seguirono altre due Inquisizioni sui miracoli avvenuti sulla tomba del Pongilupo. Una quarta venne fatta nel 1280 a cui seguì una quinta. Gli inquisitori però sospettavano che Pongilupo fosse eretico. Cominciarono nel 1270 a interrogare persone che lo avevano conosciuto. Cominciò il processo inquisitoriale ed emerse che il Pongilupo era eretico della sètta Bagnolense . E' da questa inquisizione che veniamo a conoscere la successione quasi completa dei vescovi Bagnolesi e i rapporti con eretici mantovani.

Leggiamo dai verbali inquisitori: "Armanno, che con altro nome è detto Pongilupo, nel 1254, disse, sotto giuramento davanti agli inquisitori, che talvolta fece la riverenza a Martino di Campitello, eretico consolato, come erano abituati a fare i credenti degli eretici" . Martino nell'anno 1238 era presente come teste nel palazzo vescovile di Mantova. In carcere a Ferrara, Armanno venne interrogato dall'inquisitore frate Aldovrandino dell'Ordine dei predicatori. " E' un uomo malvagio perchè uccide i buoni uomini e ha fatto scempio del mio corpo", dirà poi alla sua gente, Pongilupo. E sotto tortura, il 30 marzo 1254, abiurò, ma restò sempre della fede catara bagnolese.
Albertino Sogarius, il 10 dicembre 1270 giurò che Martino di Campitello, che fu eretico, gli disse:" Io sono venuto a Ferrara per Pongilupo, che credo il migliore cristiano di questa terra".
Maestro Ferrario, l'8 agosto 1270, giurò che Pongilupo era credente degli eretici e li amava. E lo vide stare con Martino di Campitello, eretico, da tre anni in carcere. E diceva che lo stesso Martino era un buon uomo e che c'erano buoni uomini ,intendendo dei Patarini, che non avrebbero permesso che quelli lo bruciassero, nè altri. Racconta che Pongilupo gli disse che sarebbe andato con Martino, quando lo avrebbero condotto al rogo, fino alla riva del fiume, piangendo.
Manfredino notaio, che fu credente degli eretici, il 30 gennaio 1285, giurò che da 27 anni circa, più di cento volte sentì Pongilupo dire col padre dello stesso teste, che era credente di eretici, dicendo cattive cose dei ministri della chiesa, che erano uomini malvagi, e non seguivano le leggi di Dio, nè era in loro, nè nella fede della chiesa romana, la salvezza; ma erano infamatori di anime, erano lupi rapaci, che perseguitavano i buoni uomini e la chiesa di Dio, intendendo della chiesa degli eretici. Dice di aver udito ciò... al tempo in cui fu bruciato un eretico di nome Martino di Campitello. E mentre lo conducevano al rogo, udì Pongilupo dire a parecchi che ascoltavano:"Vedete, cosa sono queste azioni, bruciare questo vecchio buon uomo. La terra non deve sostenere quelli che fanno tali cose"(p134).
Tancredo che fu credente degli eretici, il 21 ottobre 1271, giurò che al tempo in cui fu bruciato un vecchio eretico, udì Pongilupo dire che era stato bruciato un santo padre. Martino di Campitello fu bruciato sul rogo in riva al fiume Po, a Ferrara, nell'anno 1265, dopo essere stato in carcere per tre anni. Non rinnegò mai la fede dei Bagnolensi.

I VESCOVI BAGNOLESI
Ecclesia de Baiolo o Baiolensium, la chiesa di Bagnolo o dei Bagnolensi si forma verso il 1190 come gruppo di Bosnia. La sede è Mantova. Le fonti danno, negli anni, questa successione di vescovi:
Circa anno 1180 : Kaloian ( Caloioanni o Giovanni il Bello). Il Vignier nel suo libro " Recueil de l'histoire de l'Eglise" pagina 268, parla di un Caloioanni, della corrente catara di Sclavonia, vescovo di Mantova. Aveva come figlio maggiore, Ottone di Bagnolo.
Circa anno 1185 all'anno 1200 : Ottone, (Orto nel "De haeresi"), di Bagnolo, ( filius maior Kaloian) sposta la sede vescovile da Mantova a Bagnolo San Vito. Come figlio maggiore aveva Aldrico " de Gilinguellis".
Circa anno ???? : Andrea ( filius minor Kaloian), testimoniato solo nel Tractatus.
Anno 1258 : Giovanni di Casaloldo.
Chiede notizie di Armanno Pongilupo ad Alberto Graziani. ( Dal processo)".. Maestro Alberto Graziani, che per lungo tempo fu credente degli eretici, il 16 luglio 1288... disse che sono circa 30 anni, essendo il teste a Mantova, che Giovanni di Casaloldo, vescovo della setta degli eretici di Bagnolo, gli chiese come facesse a conoscere Armanno detto Pongilupo. E il Vescovo chiese ciò per il fatto che lo stesso Armanno era amico suo..." Il vescovo Giovanni, dagli atti del processo, risulta essere stato arrestato e abbandonato al braccio secolare in un anno imprecisato, ma anteriore a quello della morte del Pongilupo, che lo ha visitato più volte in Ferrara nelle carceri dell'Inquisizione prima e in quelle del podestà poi, dove gli ha portato il pane fornitogli da una Jacopa ricettatrice di eretici, ossia prima del 1266.
Anno 1258 all'anno 1267 : Hamund di Casaloldo
Hamundus di Casaloldo e Giovanni di Casaloldo, secondo il Savini, non sono la stessa persona.. "Hamundus de Casalialto quem nunc habent ", dice il Trattato, (Hamundus di Casaloldo che ancora hanno), ossia verso il 1270, tempo della redazione dell'opera, e Giovanni sarebbe stato troppo vecchio.
Anno 1267 : Alberto . Figlio maggiore è Michele e figlio minore è Albertino.
( Dal processo) ".... Pongilupo ricevette l'imposizione delle mani in Verona nella casa dei Catari, che tiene il signor Borgogno per conto degli eretici, dal signor Alberto, vescovo della setta di Bagnolo e dal signor Michele che è figlio maggiore nella stessa setta, e dallo stesso Albertino, che era figlio maggiore e visitatore loro nella detta setta in Lombardia".
".. Il fatto che Pongilupo fu della setta predetta ( Bagnolense) è che la moglie dello stesso Pongilupo fu consolata da Michele, che era figlio maggiore nella stessa setta..".
Anno 1273 : Lorenzo di Brescia. Nel processo viene nominato ed è vescovo a Sirmione accanto a Francesco da Pedemonte, (paese vicino a Verona, in Valpolicella), " vescovo di Lombardia", Patriarca di tutto il catarismo occidentale, quale presidente a quanto parrebbe della Santa Sinodo internazionale riunita in Sirmione". Dal 1273 al 1276, Lorenzo fu l'ultimo vescovo bagnolese, anche lui probabilmente catturato dalle truppe di Alberto della Scala e di Pinamonte Bonacolsi, nella retata di Sirmione.

LA DOTTRINA CATARA DEI BAGNOLESI
1- Due sono i princìpi elementari: uno il Bene, l'altro il Male.
2- Il Dio Buono non creò questi corpi visibili.
3- Tutte le cose non sono subordinate soltanto ad un unico Dio.
4- Il Dio buono non è creatore di tutte le cose.
5- Il Dio buono non si adira nè si cruccia.
6- Cristo non è maggiore di tutte le cose.
7- Dio non condannerà in eterno
8- Gli uomini non vanno soltanto in pace o all'inferno
9- Cristo non ebbe le nostre pene
10- Dio non fa nè fece qualcosa di perituro
11- Cristo non si portò dietro la carne dal cielo
12- Cristo non è Dio
13- Cristo non è figlio della beata Maria
14- La beata Maria non fu moglie
15- Cristo non fu vero uomo
16- Cristo non mangia col corpo
17- Cristo non soffrì sulla croce o nella carne
18- Cristo non morì veramente
19- Cristo non risorse, poichè è vero che non morì
20- Cristo non discese agli Inferi
21- Lo Spirito Santo non viene dato nel battesimo con le mani o con l'acqua
22- Giovanni Battista fu malvagio
23- Cristo non fu uomo di carne
24- La resurrezione non è propria dei corpi
25- I bambini non possono essere salvati
26- La legge di Mosè è malvagia e pure i Profeti
27- Gli antichi padri del Vecchio Testamento non si sono salvati
29- Mosè fu malvagio
30- La salvezza non ci fu nè c'è, in nessun modo, attraverso la legge di Mosè
31- Il Dio buono non condusse fuori dall'Egitto il popolo di Israele
32 Dio, padre buono, non è nominato dagli antichi padri
33- Il dio buono non diede la circoncisione
34- Adamo non fu da Dio
35- Non ci fu niente di buono prima dell'avvento di Cristo
36- Tutte le cose visibili non sono da Dio
37- Secondo il Vecchio Testamento il nemico non è da amare
38- Gli angeli che uccisero sono agnelli di cui nel Vangelo
39- Il battesimo con l'acqua è nullo e di nessuna efficacia
40- Non si dà lo Spirito Santo senza l'imposizione delle mani
41- La cattiva vita del prelato nuoce al credente e al sacro
42- I sacerdoti non devono governare il popolo
43- E' chiaro che nella chiesa di Dio non ci devono essere sacerdoti e diaconi malvagi
44- La chiesa non deve possedere niente se non in comune
45- Nessun uomo malvagio può essere vescovo
46- La chiesa immersa nel mondo non è pura nè qui si deve pregare
47- La chiesa non deve perseguitare gli uomini cattivi
48- La chiesa non può scomunicare
49- Nella chiesa non ci devono essere i suddiaconi nè gli accoliti
50- La chiesa non può fare Costituzioni
51- Non devono avvenire le sepolture dei morti
52- E' insignificante l'unzione con l'olio santo
53- E' insignificante il sacramento dell'altare
54- Le elemosine non devono essere date se non ai buoni
55- Non si deve pregare nè cantare all'infuori della preghiera domenicale
56- Il peccato non è dal libero arbitrio
57- Il peccato originale non esiste
58- L'uomo non può pentirsi dopo il peccato
59- Il peccato non può essere fatto se non quello fatto in cielo
60- E' altra cosa l'opera del diavolo dal peccato
61- Non c'è il fuoco del Purgatorio
62- Non c'è l'Inferno
63- Il dio buono vivifica e non uccide
64- Il dio cattivo vivifica e uccide i corpi
65- Il dio che dà la grazia non si vendica dei buoni nè dei cattivi
66- Quel dio che si vendica non dà la grazia
67- Il castigo della punizione non è dal dio buono
68- Il mondo sempre fu e sempre sarà
69- Con la sola fede l'uomo non potrà essere sempre salvato
70- L'uomo non può essere salvato con il padre e con la madre
71- Non ci si deve confessare
72- Il giudizio è stato fatto
73- Il matrimonio è male
74- Tutti non possono essere salvati
75- E' peccato mangiare carne
76- Nessuno è da evitare
77- L'usura non è proibita
78- L'uomo non deve restituire
79- Il giuramento non deve essere fatto
80- Non è lecito ad alcuno di uccidere
81- La vendetta non deve essere fatta
82- L'uomo non è da affidare alla giustizia perchè può essere convertito
83- Il diavolo è potente sulle creature
84- In patria il premio è uguale per tutti
85- L'uomo può dare lo Spirito Santo
86- Lo Spirito Santo e lo spirito Paraclito non sono uguali
87- L'anima non è dentro l'uomo
88- Non si deve radere il capo
Verso la fine del XII secolo la Chiesa cattolica si rese conto che il fenomeno eretico si era diffuso e stabilizzato in Europa. E il papa Lucio III cercò di porvi rimedio radunando un Concilio.
NASCITA DELL'INQUISIZIONE
Il papa Lucio III ( Ubaldo Allucingoli, 6 settembre 1181- 25 settembre 1185) nel Concilio di Verona dell'anno 1184, presente l'imperatore Federico Barbarossa, condannò gli eretici, che erano molto numerosi nel veronese e, in generale, nell'Italia del Nord. In questo Concilio” si stabilirono le prime linee della inquisizione sulla “eretica pravità”. Decretò che qualsiasi persona si esprimesse o anche pensasse in modo contrario alla dottrina cattolica, sarebbe stata scomunicata dalla Chiesa e debitamente punita dalle autorità secolari. I vescovi avevano ordine di cercare, dal latino “ inquirere”, gli eretici. Fu l'inizio di quella che venne chiamata Inquisizione episcopale, cioè posta sotto l'autorità dei vescovi cattolici. Ma i vescovi non erano troppo zelanti nello scoprire i dissidenti. Quindi successivamente diversi papi inviarono legati pontifici che, con l'aiuto di monaci cistercensi, furono autorizzati ad effettuare proprie indagini nell'ambito dell'eresia. Così per qualche tempo ci furono due Inquisizioni parallele, dette Inquisizione episcopale ( del Vescovo) e Inquisizione dei legati ( ambasciatori del Papa), quest'ultima più severa della prima. Per papa Innocenzo III non fu sufficiente neppure questa Inquisizione più rigorosa. Nel 1209 indisse una crociata contro gli eretici della Francia meridionale. Si trattava dei Catari e dato che erano particolarmente numerosi nella città di Albi, la crociata fu detta degli Albigesi. La “ guerra santa” contro gli Albigesi finì nel 1229. Le cronache parlano di distruzioni, massacri, roghi e più di cinquecentomila morti. Una delle più fiorenti civiltà dell'Occidente cristiano fu completamente distrutta. Le armate del Nord della Francia, sotto la guida del re Luigi IX, conquistarono le fiorenti e ricche campagne del Sud ed estesero fino al Mediterraneo il regno di Francia. Il papa Gregorio IX (Ugolino Conti, 21 marzo 1227- 22 agosto 1241) dette nuovo impulso all'Inquisizione. Stabilì che in ogni parrocchia ci fossero degli inquisitori permanenti, incluso un sacerdote. Nel 1231 emise una legge in virtù della quale gli eretici impenitenti sarebbero stati condannati al rogo e i penitenti al carcere perpetuo. Nel 1233, Gregorio IX, esonerò i vescovi dalla responsabilità di cercare gli eretici. Il papa istituì l'inquisizione monastica. “ E' nel 1233 che nasce l'Inquisizione domenicana, che ebbe la sua sede principale a Bologna”. Gli Inquisitori quindi erano scelti tra i nuovi Ordini monastici dei Domenicani e dei Francescani. Infatti, dopo la guerra contro gli Albigesi, il papa Innocenzo III e San Domenico, erano consapevoli che, nonostante le stragi degli eretici albigesi, ne sarebbero rimasti sempre un gran numero e che probabilmente sarebbero nate nuove eresie. Pertanto doveva esserci un tribunale formato da gente unicamente dedita alla ricerca degli eretici e che dovevano avere il solo fine di procurare loro la punizione. Bisognava che fossero alle dirette dipendenze della Curia romana, soprattutto gente che ben conoscesse la legge e che facesse solo il mestiere di inquisitore. Dovevano perquisire gli eretici, non dovevano avere nessuna parentela o relazione o legame con nessuno al fine di non avere alcun riguardo per nessuno. Dovevano essere duri, spietati, inflessibili, senza compassione e pietà perchè bisognava istituire un tribunale così rigoroso e severo come mai si era sentito parlare. Dovevano essere zelanti per la religione e interessati enormemente alla rovina degli eretici. Secondo Innocenzo III i vescovi e i loro ufficiali non erano molto solleciti contro gli eretici. Ecco perchè si rivolse all'ordine di San Domenico e di San Francesco, da poco istituiti, per queste qualità: avevano per la Curia romana un sommo rispetto, erano amanti della solitudine e vivevano ritirati dal mondo. La povertà dei loro abiti, dei loro monasteri, soprattutto la mendicità e la umiliazione pubblica alla quale erano obbligati, la rinuncia generale che facevano alla loro famiglia, l'austerità della Regola, l'istruzione nella Scolastica e nella conoscenza del nuovo Diritto Canonico, dava loro la competenza per assumere la carica di Inquisitore. Avevano in più un interesse particolare alla rovina degli eretici, predicavano senza posa contro di loro, non risparmiavano nulla per screditarli nella considerazione della gente. All'inizio gli inquisitori lavorarono per convertire gli eretici, attraverso la predicazione e l'insegnamento, a esortare i Principi e i Magistrati a 'punire con il supplizio coloro che si ostinavano nel loro errore, a informarsi del numero e della qualità degli eretici, dello zelo dei Principi e dei Magistrati cattolici nel perseguirli, della cura e diligenza dei vescovi, e dei loro ufficiali a fare le perquisizioni. Essi inviavano queste informazioni a Roma direttamente al giudizio del Papa. E' da queste informazioni, da queste ricerche che il nome di inquisitore ha preso la sua origine. Poi si aumentò la loro autorità accordando il potere di dare l'indulgenza, di bandire e comandare delle crociate, di infervorare il popolo e i Principi per condurli all'estirpazione degli eretici. Si agì in questo modo per circa 50 anni, fin verso il 1250. Nel 1244 Federico II aumentò di molto la loro autorità con quattro Editti emanati a Pavia. Teneva direttamente sotto la sua protezione gli inquisitori, attribuiva agli ecclesiastici la conoscenza del crimine d'eresia, lasciando ai giudici secolari l'incarico di fare il processo agli eretici, dopo che erano stati giudicati eretici dagli ecclesiastici. Ordinavano la pena del fuoco per gli eretici ostinati e la prigione a vita per quelli che si pentivano. Le leggi di Federico II ( Roma 1220, Catania 1224, Cremona 1232) così favorevoli agli inquisitori e così contraria agli eretici, fu di pochissimo effeto per parecchi anni. Innocenzo III fu tutore di Federico II, poi Onorio III, poi Gregorio IX che lo scomunicò e fece sollevare contro di lui tutta la Lombardia e una parte della Germania e bandì una crociata come si sarebbe potuto fare contro un Principe infedele o eretico. Ma Federico vinse i suoi nemici. Gregorio IX morì, Celestino IV visse così poco che non ebbe tempo di riprendere la contesa. Il soglio di Pietro restò vacante per due anni, poi fu eletto il cardinale Sinibaldo col nome di Innocenzo IV. La lotta riprese, nessuno dei due, Papato e Impero, erano disponibili a cedere una parte della loro autorità. Il papa si ritirò, pressato dalla potenza di Federico II, a Lione, e convocò un Concilio per trattare la scomunica e la deposizione dell'imperatore. Federico cercò l'accordo, avrebbe fatto la promessa crociata in Terrasanta, ma fu scomunicato lo stesso. Una parte della Germania si sollevò, con a capo Enrico Landgravio di Turingia. Ma Corrado, figlio di Federico II, lo sconfisse e uccise. Il successore Guglielmo d'Olanda fu incessantemente combattuto da Corrado, ma la morte di Federico II, nel 1250, fece abbandonare a Corrado la Germania, per tornare nel regno di Napoli e di Sicilia. Alla sua morte seguì un interregno di circa 20 anni. Seguirono delle sanguinose guerre civili. Intanto che il papa e l'imperatore si facevano la guerra, gli eretici ne approfittarono. I progressi che fecero in poco tempo, sorpresero il papa Innocenzo IV, che era il più interessato di tutti al problema. Istituì allora, riprendendo il disegno dell'inquisizione, un tribunale perpetuo e indipendente, per combattere unicamente il crimine d'eresia.
Durante l'interregno il papa pretese tutti i diritti che aveva l'imperatore, la cui mancanza lo metteva in grado di agire in Lombardia, era l'arbitro assoluto di tutti gli affari d'Italia. Innocenzo IV era molto abile e approfittò di una simile situazione. I domenicani e i francescani si rivelarono servizievoli, coraggiosi. Ma i vescovi si opposero all'inquisizione perchè la cattura degli eretici apparteneva loro di diritto, solamente loro erano i giudici degli eretici, non potevano esserlo dei monaci di fresca nascita, che non possedevano la loro autorità nè i mezzi di farla valere; facevano presente che era stato loro fatto torto quando i monaci erano stati sottratti alla loro giurisdizione, alla quale tutti i Canoni della Chiesa li sottometteva, senza renderli giudici del loro gregge, inoltre non avevano intenzione di consentire l'istituzione di questo tipo di tribunale, ricordando che il rispetto per la Santa Sede era grande ma non inferiore al rispetto che spettava anche al vescovo, dato che il principale interesse del papa doveva consistere nella stretta unione con gli altri vescovi. L'altro ostacolo era che l'inquisizione, così come era stata progettata, si scontrava con l'autorità dei giudici laici, incaricati di fare il processo agli eretici, autorità che era stata loro confermata dalle ultime Ordinanze di Federico II.
L'imperatore aveva aumentato il potere degli inquisitori, ma aveva ordinato che i Magistrati procedessero alla condanna e all'esecuzione degli eretici, sulla base del rapporto degli inquisitori. I Principi dovevano mantenere ai loro Magistrati l'autorità conferita loro dall'imperatore e non potevano accettare che l'autorità sovrana di dare la vita o la morte passasse agli inquisitori. Il Papa trovò due espedienti. I vescovi saranno giudici degli eretici congiuntamente con gli inquisitori, e il processo sarebbe stato nullo senza la loro partecipazione; i vescovi potevano assistere al giudizio tutte le volte che lo avessero voluto, ma l'autorità sarebbe stata tutta nelle mani degli inquisitori. I vescovi si contentassero del nome di giudici. In seguito i vescovi abbandonarono la giurisdizione agli inquisitori così che poterono agire in tutta libertà, con dipendenza assoluta dalla Curia di Roma. I Principi e i Magistrati da cui dipendevano non si opposero al papa, che era il padrone assoluto dell'Italia. Si lasciò ai Magistrati il diritto di scegliere gli Ufficiali subalterni degli inquisitori, che dovevano servirsi soltanto di loro, potevano dare un giudice aggiunto agli inquisitori, quando andavano a fare visita nei luoghi della giurisdizione dei Magistrati, e potevano attribuire alle finanze pubbliche un terzo delle confische dei condannati. Altra difficoltà era di trovare i mezzi per sopperire alle spese degli inquisitori e degli Ufficiali subalterni, alla guardia della prigione, agli alimenti dei prigionieri, all'esecuzione delle sentenze e a tutto ciò che era necessario all'onore dell'inquisizione, per servire ai fini che si erano proposti e ai risultati che si intendeva raggiungere. Le comunità dovevano sopperire agli inquisitori e pagare a costoro tutte le spese, in cambio si sarebbe loro lasciata una parte delle ammende e delle confische. I Domenicani furono inviati nelle province per applicare i nuovi statuti e per dare l'incarico agli inquisitori nella Lombardia, in Romagna e nella Marca di Ancona. Gli statuti furono accolti passivamente. Il papa approfittò di questa congiuntura e indirizzò una bolla ai Magistrati, ai Rettori e alle Comunità delle città dove l'inquisizione era stata istituita. La Bolla si componeva di 31 Capitoli che erano dei regolamenti per il funzionamento dell'inquisizione. Il papa ci aggiungeva due ordini: Senza alcun indugio i Regolamenti sarebbero stati registrati in tutte le cancellerie pubbliche, per essere osservati, ci potevano essere delle opposizioni, ma solo il papa ne avrebbe giudicato la validità; inoltre dava il potere agli inquisitori d'interdire i luoghi e di scomunicare le persone che si rifiutavano di conformarsi a questi Regolamenti. Il papa aveva molta autorità ma solamente in quelle tre province, perchè non avevano un sovrano all'infuori di lui, o che essendo dei feudi dell'impero, l'interregno gli faceva prendere il posto del feudatario e le città di quelle province erano indipendenti le une dalle altre e si governavano con leggi particolari ed erano talmente deboli da non poter resistere alla potenza del papa d'allora. Il papa successore Alessandro IV ( 1259) sette anni dopo, fu obbligato a rivedere la Bolla. Sei anni dopo Clemente IV anch'egli dovette rinnovare ( 1265).
Le opposizioni erano fondate sulla eccessiva severità degli inquisitori che era insopportabile Le lagnanze erano accompagnate da una dichiarazione precisa delle città e delle comunità di non voler più pagare le spese per il mantenimento dell'inquisizione, dei suoi Ufficiali e per altre spese senza le quali questo tribunale non poteva essere mantenuto. Erano proteste fondate sull'impotenza di fornire parecchie contribuzioni e si aggiungevano a ciò le spese che le Comunità erano state obbligate a sostenere per le lotte della Santa Sede contro gli imperatori. Queste guerre avevano esaurito il tesoro pubblico e per mantenere i nuovi venuti erano necessarie nuove tasse, e c'era il rischio di far rivoltare le genti contro gli inquisitori, o forse anche contro i loro Magistrati. I papi intervennero dichiarando che in avvenire i luoghi dove l'inquisizione sarebbe stata ricevuta, non avrebbero più dovuto sopperire al sostentamento e le esazioni degli inquisitori sarebbero cessate. Fu dato ai vescovi un po' più di potere nelle procedure dell'inquisizione. La curia romana ebbe due vantaggi da questa condiscendenza e cioè gli inquisitori non dipendendo più dal popolo per la loro sussistenza, furono più amati e inoltre l'inquisizione fu accolta in Lombardia senza opposizione e così pure nella Romagna, nella Marca d'Ancona, in Toscana, nello Stato di Genova e generalmente in tutta Italia, tranne il regno di Napoli e lo Stato di Venezia. Il regno di Napoli dipendeva dal re di Spagna e l'inquisizione spagnola pure. Qualche volta gli inquisitori romani sono stati inviati a Napoli per giudicare del crimine d'eresia, ma sono casi rari, questi commissari non potevano fare alcuna procedura senza aver ottenuto il permesso del Vicerè. L'inquisizione in Germania non si stabilì, perchè la gente si oppose con una fermezza che obbligò la curia ad abbandonare l'impresa.

LA CRUDELTA'
La società medievale aveva un rapporto quasi giornaliero con atti di crudeltà e ferocia. La gente andava numerosa ad assistere in piazza allo “spettacolo” di una o più escuzioni a morte. Più le esecuzioni erano efferate, più era indice, per il signore feudale, di potenza e autorità, sia che fosse laico o ecclesiatico, Imperatore o Papa. Vogliamo riportare alcune cronache del XIII secolo per mostrare quanto nella mentalità di quel tempo l'idea di tortura, carcere, condanna a morte tramite supplizio di un condannato, fosse legata, appunto, al modo di far intendere ai sudditi, i concetti di autorità, potenza, terrore, ubbidienza. Un personaggio “crudele” fu Ezzelino da Romano, signore della Marca trevigiana. Seguiamo le cronache per farci un'idea della crudeltà del tempo, non dissimile dai recenti campi di concentramento.
“Nel mese di luglio dell'anno 1252 a Padova, per far piacere ad Ezzelino, furono escogitati diversi generi di tormenti in modo da aggiungere dolore al dolore. I poveretti, dopo lungo carcere, se non morivano, erano portati nella piazza della città e lì crudelmente detroncati. I figli dei nobili e dei magnati venivano prima accecati e poi messi in carcere, indi venivano loro tagliati i genitali”.
“Nel carcere di Cittadella di Padova le pene erano intollerabili, e furono raccontate da chi miracolosamente scampò. Quivi pianti e stridor di denti, quivi dolore e ululati, qui continue tenebre, vermi, fetore e angustie, sete e fame, freddo, gemiti e sospiri inauditi; alcuni morivano di fame e altri di sete, altri ancora mangiavano parti del corpo essiccato del familiare o dell'amico”.
“A Verona, nel 1253, fu fatta in un sol giorno una orribile strage. Furono uccisi nella piazza parecchi nobili, alcuni corpi furono trainati per la città e crudelmente squartati, altri corpi furono trasportati a Padova e in piazza furono tagliati a pezzi e poi bruciati. Sempre nello stesso anno a Verona molti prigionieri furono decapitati, altri lacerati, trascinati per terra, altri bruciati, accecati, castrati. Anche a Padova il 17 settembre 1253 molti milites, borghesi e popolani furono crudelmente lacerati con la frusta, fatti a pezzi e poi bruciati”.
“Nel 1255 per molte contrade di Padova molti fanciulli furono accecati e dopo quindici giorni vennero castrati in carcere e furono in numero di trentacinque
La dottrina catara intendeva il dolore come sofferenza, martirio, violenza contro la vita fisica, era ciò che dava valore e significato alla morte, il dolore era mezzo di redenzione, strumento di salvezza, “lo scopo della vita doveva essere la continua preparazione alla morte, che non era temuta nè odiata dal cataro, ma ardentemente desiderata , come il termine del doloroso pellegrinaggio”. Improvvisamente, sorse un altro movimento religioso, che trovava nel darsi dolore un senso di espiazione e quindi di purezza, i Flagellanti.
“Il 30 novembre 1260, Asquino, decano di Aquileia, venne a Cividale ( del Friuli) con dei penitenti nudi che si sferzavano, e gli abitanti, circa 500, cominciarono pure a verberarsi, e così fu per tutto il Friuli, nei castelli, nei paesi e fu fatto per venti giorni. L'inizio della flagellazione ha avuto inizio a Perugia. E tanto di giorno quanto di notte, sia dentro le chiese che fuori, velati il capo e la persona per non essere riconosciuti, scoperti il dorso e le spalle fino alla cintola, si flagellavano a sangue, gemendo, e avanzavano pregando il Signore. Le donne sposate si riunivano nelle chiese, la sera, e facevano lo stesso, e alcune si flagellavano di nascosto in casa propria.”uivi dolore e ululati, qui qu Sarebbe interessante capire dalla scienza psichiatrica questo fenomeno di pazzia collettiva e contagiosa che percorse l'Italia del nord.
Presentiamo ora alcuni documenti relativi alla tortura inflitta dall'Inquisizione nelle carceri, agli eretici catturati. Si trattava di un manuale ad uso degli Inquisitori, che potevano scegliere vari tipi di tortura per il condannato, e poichè alla seduta assisteva un segretario, aveva già la traccia per fare il verbale:
“Modo di battere con la bacchetta i fanciulli, che però trapassino il nono anno della loro età.”
Allora i Signori, visto ecc., per ottenere la verità dal Costituto, non potendosi da lui aver in altro modo e d'altronde non essendo assolutamente in grado il Costituto, per la sua giovane età, di sopportare il torcimento di membra, decretarono che fosse battuto con la bacchetta... Pertanto ordinarono che il Costituto fosse condotto nel luogo dei tormenti, lì fosse spogliato e gli fossero
legate le mani alla corda davanti al viso, per essere colpito con la bacchetta. Vi fu condotto e
spogliato.. fu più volte benevolmente ammonito dai Signori a dire la verità... Allora i Signori, poichè il Costituto persisteva nella sua ostinazione, ordinarono che fosse picchiato con la bacchetta dall'inserviente. Essendo colpito, incominciò a gridare:” Ohimè” ecc. Interrogato ecc., rispose ecc. E più volte ammonito ecc., rispose ecc. Allora i Signori, poichè il Costituto, dopo tante e tante battute, non voleva dir nulla e poichè non si poteva ottenere da lui niente altro, ordinarono che fosse sciolto, rivestito e condotto alla sua cella, dopo che era stato così, nel tormento, per la durata di ecc.”
“ Modo di dare il tormento del fuoco”
Allora i Signori, visto ecc., poichè il Costituto non poteva essere sottoposto al tormento della fune, per il fatto che chiaramente era privo di un braccio, o aveva un braccio rotto ecc., decretarono che fosse sottoposto al tormento del fuoco; facendo istanza in tal senso ecc.
E pertanto ordinarono che lì il Costituto fosse condotto al luogo dei tormenti e sottoposto alla tortura del fuoco e da esso tormentato.
Condotto dunque alla tortura del fuoco, più volte fu ammonito dai Signori, con benignità, di dire liberamente la verità: senza aspettare di essere afflitto da quel tormento già detto! Rispose ecc. Allora i Signori, vedendo che quello non voleva dire la verità, ordinarono che fosse sottoposto al tormento del fuoco. Allora, sottoposto al tormento, egli, con i piedi nudi spalmati di lardo di maiale e tenuti fermi in ceppi vicino a un bel fuocherello ardente, dopo esserci stato per lo spazio di tempo ecc., all'inizio restò zitto sotto quella tortura, poi cominciò a gridare ad alta voce: “Ohimè” ecc. E vedendo che sentiva un gran male, i Signori ordinarono che fosse messa una tavola davanti ai piedi del Costituto, con l'intenzione ecc. La tavola fu messa. Il Costituto fu interrogato dai Signori. Chiestogli di dire la verità circa ecc., rispose ecc. La tavola fu tolta. Il Costituto allora incominciò a gridare a gran voce dicendo ecc. Allora i Signori ordinarono che fosse di nuovo messa la tavola davanti ai piedi, con l'intenzione però ecc. Allora i Signori vedendo che persisteva nella negativa e non voleva dire altro, ordinarono che fosse tolto da quel tormento e ricondotto alla sua cella, dopo che era stato sottoposto a tortura..
“Modo di dare il tormento della stanghetta”
...E pertanto i Signori ordinarono che fosse condotto al luogo della tortura.. e fatto prostrare a terra, gli si denudò il tallone del piede destro e lo si strinse tra due tasselli di ferro concavi. Quando l'inserviente li compresse con la stanghetta, il Costituto cominciò a gridare ecc.... Interrogato se abbia bestemmiato ecc.. E poi, non confessando il reo, si terminerà l'esamina in questo modo: E dopo essere stato sotto questo tormento per la durata di ecc., i Signori ordinarono che il Costituto fosse liberato e rimandato alla sua cella.”

 

QUARTA PARTE


LEGGI CONTRO GLI ERETICI
“ Ma nel secolo XIII per le città della Lombardia sommamente crebbe il veleno dei Patarini o sieno Manichei, di modo che contra d'essi il vescovo di Ferrara implorò il braccio di Ottone IV Augusto. Il suo decreto... fu esso fatto in Ferrara il 25 marzo 1210 dove egli sottopone al bando imperiale “ tutti gli eretici dimoranti in Ferrara, Patarini o Catari o in qualunque altro nome si chiamino..”. In tante altre città i Catari avevano diffuso il loro veleno, a Mantova, Verona, Bergamo, Vicenza ed aveva infettata la terra di Sirmione e questa mala pianta avea stese le radici per la Romagna e s'era particolarmente assodata in Rimini”. La legge contro gli eretici promulgata a Roma da Federico II, il 14 marzo 1220, non ebbe pratica applicazione. “Federico II ( con questa legge ) comandò che gli eretici fossero banditi da ogni città e paese e condannati ad “ infamia perpetua”. La legge imperiale fu obbedita anche dai Comuni, onde dagli Statuti bresciani, al libro II, rubrica IX, venne prescritto di “ espellere i Catari e tutti gli altri eretici “; ed in Pisa si elessero “ ufficiali incaricati di inquisire gli eretici “, e furono stabilite pene gravissime che dovevano a questi applicarsi. E' quindi probabile che si fosse operato ugualmente anche a Mantova perchè allora qui pure c'erano eretici.” Onorio III, ( Cencio Savelli, papa dal 24 luglio 1216 al 18 marzo 1226) succeduto ad Innocenzo III, ( Lotario Conti, papa dal 22 febbraio 1198 al 16 luglio 1216) preparava la quinta crociata. Federico II si era impegnato a parteciparvi, e in cambio venne nominato imperatore. Avrebbe dovuto pacificare la Lombardia e il Veneto, regioni infestate dagli eretici. Il papa mandò in queste regioni San Domenico e il cardinale Ugolino Conti che il 21 marzo 1227 sarà eletto papa con il nome di Gregorio IX. Dal 18 al 21 luglio dell'anno 1221 il cardinale Ugolino fu a Mantova. Il podestà era Salinguerra Torelli di Ferrara, ghibellino e nemico degli Estensi.
Il 21 luglio il podestà ordinò a tutti gli eretici di uscire dalla città di Mantova entro otto giorni. Secondo la legge ci si poteva impadronire poi dei loro beni e distruggere le case. Ma il bando si rivelò inutile in quanto il 3 settembre veniva ripetuto con multa di cento lire imperiali per i trasgressori. Le leggi contro gli eretici fallirono perchè i ghibellini erano tiepidi verso gli eretici, prima di tutti lo stesso imperatore Federico II. Ai mantovani inoltre non piaceva un'alleanza tra papa e imperatore in quanto erano molto gelosi della loro autonomia. Mantova stava vivendo un periodo di sviluppo economico e sociale; si stava consolidando un nuovo ceto di lavoratori e di artigiani che con simpatia guardava agli eretici.
GUIDOTTO DA CORREGGIO VESCOVO DI MANTOVA
Nell'anno 1231 venne nominato vescovo di Mantova Guidotto da Correggio, canonico di Bologna, e nello stesso anno il papa Gregorio IX emanò gli Statuti della Santa Sede contro gli eretici. Imponeva ai vescovi di inserirli nelle leggi comunali. Cominciò la caccia agli eretici nel mantovano. Guidotto si farà aiutare dai domenicani di Bologna nella persona di Moneta da Cremona. Questi “dopo aver studiato all'università di Bologna, entrò nell'ordine dei Predicatori nel giorno di Santo Stefano dell'anno 1218. Nel suo letto aveva dormito San Domenico quando morì a Bologna il 6 agosto 1221. Fu coadiutore di Rolando da Cremona nella fondazione del convento cremonese nell'anno 1228. Rolando fu a Parigi dal 1228 fin sul finire del 1230. Nel 1231 era a Tolosa a predicare. “ Un giorno questo nostro fratello, predicando, disse nel suo sermone, che gli eretici vivevano in città, facevano i loro concili e seminavano l'eresia. Udendo ciò, i cittadini furono molto turbati e scossi. Allora i consoli della città chiamarono il priore in municipio riferendogli ciò che aveva detto il frate e ordinarono che non predicasse più quelle cose o avrebbe avuto grandi mali, se avesse detto che gli eretici abitavano nella loro città, in quanto era certo che nessun cittadino era eretico. I frati furono così minacciati. Allora Maestro Rolando avendo udito ciò dal priore, disse : “ Allora è necessario che noi più e più predichiamo contro gli eretici e i loro credenti”. E così fece. Tempo prima era morto nel borgo un tal Giovanni Pietro Donato di San Saturnino, canonico, sepolto nel chiostro, che prima era stato eretico, senza che i canonici lo sapessero. Udì ciò Maestro Rolando e venne colà con i frati e i chierici. Lo fecero tirar fuori dalla tomba e fu poi bruciato. Nello stesso tempo morì nel borgo un certo eretico di nome Galvano Magno, archimandrita dei Valdesi. Ciò non fu nascosto al maestro Rolando, che lo riferì pubblicamente nel sermone. E convocati i frati, il clero e qualche popolano, andarono alla casa dove l'eretico era morto e la distrussero dalle fondamenta e fecero di quel luogo un letamaio; poi disseppellirono il detto Galvano dal cimitero di Villanova, dove era stato sepolto, e trassero il suo corpo per la città con grande processione, e lo bruciarono in un luogo fuori della città. Ciò a lode di Nostro Signore Gesù Cristo fu fatto e in onore della chiesa cattolica romana, nostra madre. Era l'anno 1231”.
Nell'anno 1233 giunsero a Mantova i frati Predicatori da Bologna con frate Moneta. Agli stessi fu concessa la chiesa di Santa Lucia, il giorno di domenica 31 luglio, su richiesta di frate Moneta priore dei frati Predicatori. Circa l'anno 1241 era intento a comporre “Adversus Catharos et Valdenses” ( Contro i Catari e i Valdesi). Sempre nell'anno 1233 Moneta è teste, presso la cappella del Comune di Mantova, nella nomina di Pietro a rettore del monastero di Santa Maria del Gradaro. Poi il 18 novembre 1240 è ancora teste e così pure l'11 febbraio 1241 e il 16 maggio 1242 ,” in praesentia fratris Monetae de Cremona O. P.”. Ma qualche anno prima, il 6 luglio 1231, è presente a Mantova nel vescovado, come teste, frate Bonaventura dell'Ordine dei Predicatori, al processo contro l'imputato di eresia, Uberto di Solferino; inoltre il 9 dicembre 1231 frate Rodolfo Confalonieri da Medole, dei padri predicatori, confuta nelle mani di Guidotto, vescovo di Mantova, un feudo vescovile e il 27 agosto e il 6 settembre 1232, magistro Jacobo de Placentia dell'Ordine dei Minori, figura come teste presso il vescovado di Mantova. La presenza a Mantova degli Ordini Mendicanti c'è dunque dal 1231 e scoprono subito degli eretici, ma le sentenze sono miti. Istituiscono quasi subito, data la presenza di un cacciatore di Catari nella persona di Zaffardo degli Adelardi, ( Cfr. docc. in appendice) un'organizzazione di inquisizione vescovile. Quando Moneta arriva a Mantova, la macchina inquisitoriale è già ben avviata.
ERETICI A MANTOVA NEL SECOLO XIII
Uberto di Solferino
Il giorno 6 luglio 1231, alla presenza del signor Giovanni di Gonzaga, preposito mantovano, di mastro Bernardo parmense, del signor Filippo di Saviola, canonico mantovano, del signor Ugone, cappellano del vescovo Guidotto, per grazia di Dio, eletto di Mantova, di frate Bonaventura dell'Ordine dei Predicatori e di altri. Nel palazzo del Vescovado di Mantova. Quivi Uberto del fu Gualtirolo di Solferino, alla presenza del vescovo, essendo infamato di eresia, giurò di stare ai mandati della Chiesa e di osservarne tutti i precetti e specialmente di non uscire dalla città e diocesi di Mantova. Se qualche volta sarà trovato colpevole o sospettato di aver agito contro la fede o articoli di fede, giurò di stare alla volontà del vescovo e pagare la pena che avrà voluto da lui esigere.
Nello stesso giorno e palazzo, alla presenza del signor Ugone, cappellano del vescovo, del giudice Bonamente, del notaio Zanino de Persellanis e di altri testi. Il vescovo ordinò ad Uberto, sotto giuramento, che tutte le volte che gli sarà chiesto dal vescovo o dai suoi nunzi per il fatto di eresia di cui era stato infamato, si presenterà a lui per rispettare del tutto i suoi precetti. Il vescovo inoltre ordinò ad Uberto che d'ora in poi osservi e debba osservare la fede cattolica che segue la Chiesa romana e che non abbia nessun rapporto o amicizia con gli eretici e che non darà od offrirà loro nè consiglio o aiuto tramite sè o altri sia in pubblico che in privato, e se contro questi ordini sarà stato trovato ad agire, dovrà pagare una pena di 200 soldi di Mantova, che promise di consegnare al vescovo insieme con il pegno dei suoi beni. E promise al vescovo, per contratto, di prestare attenzione ed osservare tutti questi mandati; come fideiussori di questa promessa, si presentarono Bellebono, che abita a Portanova, il notaio Milleto, che abita in contrada San Giacomo, e Bonaventurino de Adelardi, promettendo al vescovo, per contratto, di aver cura che Uberto osservi tutti i mandati e se non li osserverà e rispetterà, promisero di pagare la pena al vescovo, così che l'uno e l'altro siano tenuti in solido a pagare per le cose suddette e specialmente la pena.
Donna Bona di Dalmazia
Il giorno 23 gennaio 1232, nel vescovado di Mantova, alla presenza di Ugone, cappellano del vescovo, di Guglielmo Visdomini, di Alberto Flacazovi, testi. Quivi il signor Giacomino di Boccamaggiore promise al signor Guidotto, per grazia di Dio vescovo di Mantova, di consegnargli entro il terzo giorno dalla richiesta, donna Bona, che fu di Dalmazia, ed è infamata di eresia e si trovava a Mantova ammalata, sotto pena di 500 lire di Mantova. L'eretica era stata catturata da Zaffardo de Adelardi, cacciatore di Catari. Il quale, in quello stesso giorno, alla presenza di Alioto de Olivis e Giacomo de Sighizis e di suo figlio Venerio, consegnò a Giacomino l'eretica. La donna si trovava nella torre dei signori Adelardi e di essa si fece la consegna.
Presbitero Alberto di San Michele di Campitello
Il giorno 11 ottobre 1232, alla presenza dei signori, presbitero Jacobo e Filippo di Saviola, canonici mantovani, Maestro Girardo e altri testi. Nel palazzo del vescovado di Mantova. Quivi il presbitero Alberto, della chiesa di San Michele di Campitello, giurò di stare ai mandati di Guidotto, per grazia di Dio vescovo di Mantova, e di ubbidirgli, soprattutto perchè fu presente alla sepoltura di un tal signor Alberto di Belforte, che fu usuraio e difensore e fautore di eretici e che non era del vescovado di Mantova, come il suddetto signor vescovo asseriva. Poi il signor vescovo ordinò al presbitero Al(berto), sotto il vincolo del giuramento, che entro otto giorni gli presenterà due fideiussori.
Il giorno 16 ottobre 1232, alla presenza dei signori, presbitero Jacobo, canonico mantovano, presbitero Girardo, presbitero de Arzagho, Giovanni Bono notaio de Righizo e altri testi. Nel palazzo del vescovado di Mantova. Quivi avendo il presbitero Alberto della chiesa di San Michele di Campitello, giurato di stare ai mandati del signor Guidotto, per grazia di Dio vescovo di Mantova, e di ubbidirgli soprattutto perchè era intervenuto alla sepoltura di un tal signor Alberto di Belforte, che fu usuraio e difensore e fautore di eretici e che non era del vescovado di Mantova come asseriva il signor vescovo, e che per ciò era tenuto a dargli due buoni fideiussori nei termini che gli erano stati fissati, come appare in un pubblico strumento compilato dal sottoscritto notaio. Oddolino campsore e Martino Ravacollo di San Michele rinunciando ad ogni loro diritto e aiuto episcopale del signor Adriano, e a qualsiasi altra cosa, sentendosi obbligati a pagare in solido, promisero al signor vescovo che lo esigeva, che avrebbero agito e avuto cura che il presbitero Alberto avrebbe osservato tutte le cose suddette. Diversamente per sè promisero di stare attenti ( che ciò avvenisse) sotto pena di 25 soldi di Mantova e sotto pena del doppio e di dare con diritto di pegno tutti i loro beni al vescovo, e poi il vescovo predetto ordinò al presbitero Alberto affichè esibisse da qui a 15 giorni, nelle mani del suo camerario, un pegno di 15 soldi di Mantova e se non avesse ubbidito, comandò che pagassero i suoi fideiussori.
Welfo de Pizo
Il giorno 15 dicembre 1232, alla presenza dei signori Compagnono e Corradino de Grossolanis, canonici mantovani, di Pizo e Ugone de Pizo, testi. Nella chiesa di Sant'Andrea di Mantova, il signor Azzo de Buffis, canonico mantovano, in nome del vescovo Guidotto, alla presenza di un notaio e altri testi, denuncia al signor Welfo de Pizo di giurare i mandati della chiesa e del vescovo, dichiarando di essere fautore di eretici e che al signor Mantovano, figlio suo, morto di spada, perchè era fama che fosse fautore di eretici, il vescovo voleva negare la sepoltura ecclesiastica. Perciò il signor Welfo giurò di obbedire ai mandati della chiesa e del vescovo, che non difenderà più, nè favorirà nè ospiterà nelle proprie case gli eretici, nè darà loro consiglio, aiuto o favore sotto pena di 100 lire di Mantova.
PRETI CON DONNE A MANTOVA
Il vescovo Guidotto cercò di porre ordine nelle pievi. Molti erano i preti che avevano una
situazione finanziaria difficile e tenevano delle donne presso di sè. A capo della chiesa di San Celestino di Roncorlando ( Pegognaga ) c'era il presbitero Manfredo coadiuvato dal chierico Girardo. Il 25 maggio 1232 furono convocati nel palazzo del vescovado di Mantova, per essere interrogati sulla situazione patrimoniale e morale della suddetta chiesa. Manfredo illustrò la situazione debitoria e creditizia della chiesa. Poi gli fu chiesto se avesse una moglie o un'amante o se era infamato d'eresia. Rispose che prima di essere chierico aveva una moglie legittima e da lei aveva avuto tre figli tutt'ora viventi, due dei quali sono presso la sua chiesa per servizio e il terzo figlio lavora su alcune terre della chiesa al fitto di un terzo. Toccò poi al chierico Gerardo. Questi disse di essere figlio di un presbitero di nome Rainerio e per tutto il tempo in cui il padre rimase in vita, stette presso la chiesa di Santa Maria della stessa zona; tenne sua madre per trent'anni presso la chiesa, anche le sue amiche e consanguinee, spesso, ma non continuamente. (.. et suas amicas et consanguineas sepe sed non continue). Poi Gerardo raccontò di tenere una donna nella casa di suo padre e da quella ha avuto cinque figli, dei quali quattro sono ancora vivi; il chierico giurò di averla sempre tenuta e mantenuta e che era moglie di un tale di nome Ubertino de Rainerio. Disse che Pietro Cuco, suo cognato, era da due anni che tagliava tutti gli alberi di proprietà della chiesa, del valore di 40 soldi imperiali e più, e crede che questi soldi non siano stati spesi per l'utilità della chiesa. Inoltre Pietro lavorava cinque biolche di terra della chiesa, i prodotti però se li portava a casa e alla chiesa non dava niente.
Il presbitero Mantuano della chiesa di San Damiano di Mantova, fu interrogato l'8 agosto 1232 nel palazzo del vescovado di Mantova, e si affrettò a dire che aveva una donna presso di sè, ma era una consanguinea, che abitava in una sua casa, e pagava l' affitto, e la teneva presso di sè come donna di servizio. Il vescovo non gli crede e gli ordina di dare gli otto giorni a quella donna, ...et dedit ei licentiam usque ad octo dies, ( di licenziarla entro otto giorni).
A capo della pieve di Barbasso c'era l'archipresbitero Martino coadiuvato dai chierici Aliprandino e Ziliano. Dall'indagine, iniziata nel 1232, il 26 agosto, per riformare in meglio la pieve, questa risultò piena di debiti; inoltre Martino ammise che Ziliano era suo figlio, che aveva sistemato presso la pieve di Barbassolo come chierico. Martino raccontò al vescovo che il chierico Ventura di Villimpenta era un simoniaco in quanto gli aveva offerto del denaro per la sua nomina a chierico, denaro che non aveva preso, ma che prese Bellino, che era chierico di quella chiesa. Il vescovo chiese poi se Aliprandino avesse un'amante. Disse che l'aveva e la teneva presso di sè; era la moglie di un tal Peregrino di Roncoferraro e si congiungeva con lei tutte le volte che ne aveva voglia, e di ciò era pubblica fama. (tenet uxorem Peregrini de Roncoferario et comiscetur cum ea quacumque vult). E udì Aliprandino dire che avrebbe abbandonato la pieve piuttosto che lasciare quella sua amante, di nome Adimplebe. (...audivit etiam ab illo Aliprandino dicente prius dimitteret plebem quam illam suam amaxiam...vocatam Adimpleben). Anche Ziliano, chierico, ha qualche giovincella che ha conosciuto carnalmente in zona di Barbasso, e dopo si è rivolto a qualcun'altra che ora è ingravidata, ed è pubblica notizia. (...et est pregnans de ipso sic publica fama est) e pure il chierico Ventura di Villimpenta tiene presso di sè un'amante; entrambi i preti hanno dei figli, e ciò è di pubblico dominio, (..habent et tenent amaxias publice et ex eis habent filios..).
Alla fine dell'inchiesta, il 30 agosto, alla presenza dei testi, signor Mantovano giudice de Gaimario, Alberto Flacazovi e Bellardino, il vescovo Guidotto depose e sospese da ogni ufficio e beneficio l'archipresbitero Martino e Aliprandino e Ziliano chierici della pieve di Barbasso.
L'eresia si alimentava anche a causa di questi comportamenti laici da parte di ecclesiastici, rappresentanti della chiesa cattolica.
Alcune considerazioni
Uberto era figlio di Gualtirolo di Solferino e aveva possedimenti e case a Castel San Pietro e a Miliario, distante appunto un miglio da Castel San Pietro, paesi non più esistenti, allora situati tra Quistello e Revere. Il giorno 28 novembre dell'anno 1217, il padre Gualtirolo faceva parte dei numerosi membri del Consiglio generale del Comune di Mantova. Alla presenza del podestà di Mantova, Bonifacio conte di San Martino, giurò i patti con i quali i mantovani si impegnavano a sostenere, anche con aiuti militari, gli eredi di Azzo d'Este e la loro parte. L' 8 dicembre 1229 il vescovo di Mantova, Pellizario, investe del suo retto feudo il signor Manuel de Grosolanis di due biolche di terra in Castel San Pietro, mentre, fuori dal castello, viene investito di un casamento che per due lati confina con le proprietà di Gualtirolo. Nel 1230 Gualtirolo viene investito del suo retto feudo dal vescovo Pellizario, al quale fa giuramento di fedeltà.
Il figlio Uberto, che aveva come fratello Lanfranchino, il 3 dicembre 1231, viene investito del suo retto feudo dal vescovo Guidotto da Correggio e per conto anche delle sorelle Prata e Ghisilina, che sono però assenti. Egli inoltre era un miles, un militare, “De castro Sancti Petri, Tedoldus Albionus pro vicinis et dominus Ubertus de Sulfrino pro militibus.”). Era la classe sociale dei più agiati, insieme con il clero, i giudici, avvocati e procuratori. “Questi milites erano stati i fondatori dei comuni cittadini, sorti e moltiplicatisi intorno all'anno 1100 e ne avevano costituito la classe dirigente nel corso del secolo seguente”. Il 12 novembre 1232 il vescovo Guidotto fa una permuta di 15 biolche di terra aratoria e vigneto, con il notaio Alberto Gambarense. Queste terre si trovano distribuite in parecchi luoghi, in territorio di Nuvolato, che un tempo era stato proprietà di Governolo. La proprietà è frazionata in cinque pezze di terra, di cui la seconda giace vicino a Ronco Budelli ( roncare = disboscare) ed ha come confinante da un lato la proprietà del signor Gambarino de Bagnolo. La terza pezza giace a Frassineta ed ha come confinante Zaffardo de Adelardis. E' un cacciatore di Catari , ( vedi doc. ) che ha già catturato l'eretica donna Bona, e Uberto è già stato inquisito per eresia, denunciato forse dal suo nobile compaesano Zaffardo? Il notaio dà in permuta al vescovo 10 biolche di terra giacenti in territorio di Castel San Pietro, divise in cinque pezze. La terza pezza giace in Miliario e da due lati ha come confinante Bonaventurino de Adelardi, che aveva fatto da fideiussore nel processo per eresia ad Uberto. La quarta pezza giace nel detto Miliario e da un lato è confinante con la terra di Uberto de Solferino. Dunque i De Solferino erano grandi proprietari di nobiltà terriera, in buoni rapporti con il Comune e con il vescovo, abitanti a sud di Mantova, ma” infettati di eretica pravità”.
Consideriamo il valore della pena pecuniaria a cui saranno o sono stati condannati a pagare gli eretici mantovani, se non rispetteranno i mandati del vescovo.
Uberto di Solferino avrebbe dovuto pagare, non rispettando i mandati della chiesa, 200 soldi di Mantova. Per questo ha due fideiussori. Non li pagherà. Non doveva “uscire da Mantova e dal suo distretto”, così l'eresia diventava una questione interna del vescovado mantovano, come una malattia infettiva che qui era nata e qui si doveva risolvere. Il processo lo subisce il 16 luglio 1231 e il 3 dicembre 1231 abbiamo visto che viene investito di un feudo vescovile. L'eretico era rientrato nel seno della Chiesa.
Il presbitero Alberto di San Michele di Campitello doveva pagare entro otto giorni, 15 soldi di Mantova , altrimenti avrebbero dovuto pagarli i suoi due fideiussori. E' una cifra modesta in confronto alle altre. Nel documento, per ben due volte viene verbalizzato che l'eretico Alberto “non era del vescovado di Mantova”. A dirlo era il vescovo in persona, e ci teneva a farlo sapere, forse all'Inquisizione, che la sua diocesi era immune dal contagio dell'eretica pravità, infatti gli eretici venivano da fuori della diocesi mantovana.
Donna Bona, anche lei esterna alla diocesi mantovana, era di Dalmazia, regione che, come sopra si è detto, sappiamo essere stata di religione bogomila dal 1199 fin verso la fine del XV secolo, religione che scomparirà per l'arrivo dei Turchi. Il documento dice che l'eretica “fu di Dalmazia” e ci dà la certezza che i Catari mantovani erano in rapporti con il bogomilismo slavo. Inoltre il verbo “ fu “, passato remoto, indica che Bona era da molti anni ormai che viveva a Mantova, e che dei testimoni oculari dovevano averla denunciata al Cacciacataro. In una città come la Mantova del XIII secolo, gli abitanti non dovevano essere numerosi, ma che tra tutti gli abitanti venga notata proprio questa donna e indicata come eretica, senza dubbio, voleva dire che era una donna che doveva girare spesso in mezzo alla gente di città, e doveva essere quindi generalmente conosciuta, inoltre la sua parlata attestava dall'inflessione che era una straniera.
Non sappiamo se donna Bona fosse un vescovo bogomilo, ma certo era persona importante perchè il nome è preceduto dall'appellativo “ donna”, cioè signora di rango superiore, non c'è ancilla, domicella, femina, serva, ecc.. Il vescovo Guidotto dovrà pagare per la consegna un prezzo molto alto, 500 soldi di Mantova, addirittura il 150% più di quello che Gualtirolo doveva pagare allo stesso vescovo, il 500% più di Welfo de Pizo e il 3333% più del presbitero Alberto. Questi confronti attestano che donna Bona doveva essere un personaggio importante all'interno del movimento ereticale e il vescovo ne doveva essere a conoscenza, per pagare una somma così alta.
Welfo de Pizo, se non rispetterà i mandati della chiesa, sarà condannato a pagare 100 lire di Mantova; non ha fideiussori. Ha in casa un figlio morto, Mantovano. E' stato ucciso con un colpo di spada perchè” era noto a tutti che era stato eretico e aiutava e proteggeva gli eretici”. Per ottenere che il figlio, potesse avere una sepoltura ecclesiastica, e quindi il perdono, il padre giura di ubbidire ai mandati del vescovo. Questo atto di sottomissione seguito dall'assoluzione “ per eretica pravità”, era importante perchè in questo modo la famiglia conservava i beni e le prorietà immobiliari, altrimenti passavano di proprietà alla chiesa e al comune. La famiglia De Pizo abitava nel quartiere di San Leonardo, il più adiacente alla città vecchia, con la rispettiva chiesa e quella di San Giovanni, dove abitavano anche i Desenzani, le famiglie dei consiglieri Aldrevandus de Puteo Baroncio, Albertus e Bonellus de Grosa. Seguiamo il Carreri:”.. non so poi che pensare dei Pizo che danno il nome a Torricella del Pizzo e che son ricordati ancora al tempo di Luigi Gonzaga sia di Mantova che del contado di Casalmaggiore e Piadena. Ma saranno del gran ceppo, Lanfranco e Manfredo de Piis che promettono ad Enrico Lamberti certi danari secondo il rogito di Bonromeo,notaio di Mantova, il 3 maggio 1249”. Ma il Torelli invita ad evitare confusione tra i De Pizo e i Pico dei figli di Manfredi, signori di Mirandola che hanno possedimenti nell'oltre Po. In un documento del 4 giugno 1193 si trova un Manfredus Pizo dei figli di Manfredi, in lite con i De Bagnolo e i Gonzaga. Più tardi Roberto de Pizo e Prendipars suo nipote, “ de filiis Manfredi”, l'8 luglio 1245, avevano tenuto a feudo terre vescovili nell'isola di Revere. Dopo l'assassinio del vescovo Guidotto, Welfo de Pizo, fu uno dei consoli che formarono il governo provvisorio della città, insieme con Zanechino de Riva, Ubaldo di Ripalta e Pagano di Saviola. Un Welfo de Pizo, insieme con il fratello Ugolino saranno giustiziati a Mantova, verso la fine di ottobre del 1277, per aver partecipato all'assassinio di Mastino della Scala.
Facciamo un confronto dei documenti.
Guidotto nell'inquisizione sulla pieve di Barbasso, scopre che il presbitero e i chierici avevano debiti, mogli e figli; in cinque giorni di indagini, dal 26 al 30 agosto, licenzia tutti. Il vescovo, invece, nei confronti del presbitero Alberto, sacrilego perchè ha partecipato alla sepoltura di un eretico, in cinque giorni di indagini, dall' 11 al 16 ottobre, lo condanna al pagamento di una piccola multa e non lo depone. Emerge dai documenti un vescovo tiepido nei confronti di un suo prete, visto presente alla sepoltura di un eretico, in quanto “le Costituzioni papali colpivano di scomunica chi avesse seppellito un eretico”, mentre è inflessibile con i preti della pieve di Barbasso, per il fatto di essere un po' spendaccioni e libertini, ma per quel tempo, erano comportamenti non molto dissimili da quelli praticati da parecchi preti cattolici in tutti i paesi europei. Perchè questo diverso modo di giudicare i suoi preti ? Forse perchè, a mio parere, Guidotto sapeva che i preti in odore di eresia erano quelli che si potevano recuperare in quanto desiderosi di condurre una vita cristiana al servizio della chiesa; molti erano stati ( ad esempio Bonaccorso) e saranno ( ad esempio Raniero Sacconi) gli eretici che si convertiranno al cattolicesimo e entreranno a far parte degli Ordini mendicanti, e conoscendo i nomi degli affiliati, li denunceranno all'Inquisizione, affrettando in tal modo la fine dell'eresia. Mentre i preti immersi nel mondo, si erano dati a vivere da laici ed erano ormai inutili alla causa della chiesa. Per quanto riguarda gli usurai, fin “ dall'anno 1179, la Chiesa aveva proibito ufficialmente ai Cristiani l'usura”.
Nell'anno 1233 Guidotto è eletto podestà. E' l'anno della cosiddetta “ Pace di Paquara”, paese
sull'Adige, vicino a Verona. L'ispiratore fu un frate domenicano, fra' Giovanni da Vicenza.
Frà Giovanni da Vicenza, preceduto dalla fama di apostolo della pace, fu accolto con entusiasmo in tutte le città della Marca e dovunque predicò la pace. Comparve a Verona alla metà di luglio del 1233, provenendo da Mantova. Gregorio IX gli aveva affidata una missione pacificatrice. Verso la primavera del 1233, si diffuse da città a città una parola di pace, predicatori popolari, frati dei nuovi ordini religiosi, consigliavano alle arrabbiate fazioni di deporre le armi. Quell'anno, in conseguenza di ciò, fu detto del grande Alleluia, perchè l'alleluia pasquale riusciva più gradito del solito, come annuncio di concordia fra le fazioni politiche. Quando fra Giovanni entrò a Verona, il popolo si mosse ad incontrarlo. Già un decennio prima era venuto San Francesco, ma non lasciò nella storia locale una traccia profonda. Fra Giovanni predicò sulla piazza del mercato. Ezzelino, il podestà Guizzardo da Redaldesco e quindici cavalieri della parte dei Monticoli e dei Quattroventi giurarono la pace con il conte di San Bonifacio, promettendo obbedienza alla chiesa. In seguito a questo le città di Ferrara, Padova, Treviso, Mantova e Brescia restituirono il Carroccio veronese che avevano conquistato in guerra. Come questo fu condotto in città, il frate ascese sopra di esso, e sulla piazza del foro, ( che è l'odierna Piazza Erbe) assunse il nome di duca e di rettore di Verona, per volontà del popolo veronese. Un mese dopo circa, avvenne il grande convegno di Paquara, località accanto all'Adige, vicino alla città, fra Tomba e San Giovanni Lupatoto. Colà, addì 28 agosto 1233 ebbe luogo l'assemblea della città e dei principi, una festa della pace. Erano convenuti prelati di alta posizione sociale, come Bertoldo patriarca di Aquileia, i vescovi di Verona, Brescia, Mantova, Bologna, Modena, Reggio, Treviso, Vicenza e Padova. Poi i principi laici: Azzone d'Este, Ezzelino e Alberico da Romano, i signori Da Camino. Sull'Adige si gettarono due ponti, per dare all'immensa folla lo spazio da distendersi. C'erano le milizie di Mantova, Brescia, Verona, Vicenza, Padova e Treviso coi loro Carrocci. Cavalieri e popolani vennero dalle città e dai villaggi. Un cronista dice che fossero colà quattrocentomila persone. Cittadini guelfi, cavalieri ghibellini, che si erano combattuti fino a qualche giorno prima, qui si scambiavano segni di pace. Fra' Giovanni predicò e comandò la pace a tutti i Lombardi, anzi a tutti gli abitanti d'Italia. Ma tra il momento della sua elevazione al potere e il convegno di Paquara, fra' Giovanni si preoccupò degli eretici che serpeggiavano in Verona, come nel maggior numero delle città confinanti. Addì 21 luglio 1233, fra' Giovanni fece morire sul rogo 60 Patarini, uomini e donne, appartenenti alla clase più elevata della cittadinanza. La fortuna di fra' Giovanni non durò. Dopo Paquara, si recò a Vicenza, ma vi incontrò forte opposizione. Ritornò a Verona, dove lo si trova nel settembre, col titolo di duca e rettore. Federico II si lamentò di quanto era avvenuto. Il papa scrisse al frate per confortarlo paternamente. Finì per abbandonare Verona e si recò a Bologna. Ormai la sua opera pacificatrice era finita, in poche settimane non ne restava che il ricordo “.
Il frate francescano Salimbene degli Adami, nel 1283, nella sua Cronaca, ricorda degli entusiasmi suscitati dal predicatore Giovanni da Vicenza nell'anno 1233, ma lo prende in giro. “..Fra' Giovanni era giunto a tal mattezza e follia per gli onori che gli tributarono e per via che aveva la grazia del predicare, da pensarsi di poter compiere miracoli veri, anche senza Dio. Un giorno che era venuto in una casa di Minori e il barbiere gli aveva rasa la barba, l'ebbe assai a male perchè i frati non gli aveano ricolto i peli de la sua barba, da servare come reliquia”.
Questo è l'elenco dei podestà di Mantova dal 1230 al 1234.
Anno 1230- 31
Podestà Loderengo II. A Verona Rizzardo di San Bonifacio, amico di Mantova, fu preso dal partito dei Montecchi.
Anno 1232
Podestà conte Balbino di Casaloldo. Entra in città il vescovo Guidotto. Costruzione del castello di Serravalle Po, per tenere a bada il castello di Ostiglia costruito da Verona nel 1151.
Anno 1233
Podestà il vescovo Guidotto. Fra Giovanni da Vicenza e la pace di Paquara.
Anno 1234
Podestà Aimerico di Arpinello da Bologna. I conti di Casaloldo fanno pace con i Calarosi.
ASSASSINIO NELLA CATTEDRALE
Il 14 maggio 1235 la potente famiglia eretica mantovana degli Avvocati, con più di 40 colpi di spada uccise il vescovo Guidotto e poi gli furono tagliate le mani. Sull'uscita della sala Capitolare di Sant'Andrea “ contemplo la faccia squarciata di Guidotto e le mani lacere e sanguinanti..” Seguiamo le cronache del tempo:
Anno 1235
E' podestà di Mantova, Giacomo di Melato, da Milano. Lunedì 14 maggio, il vescovo Guidotto viene ucciso dagli Avvocati nel monastero di Sant'Andrea. Nel quartiere di Santo Stefano c'erano il monastero e la chiesa di Sant'Andrea. La famiglia Avvocati era di Sant'Andrea, Oltikerius e Ugucionus de Bosone sono fra i Consiglieri del 1164. Nella piazza di Santo Stefano erano le case della famiglia del consigliere Ravasius. Si può credere che le case degli Avvocati fossero sul fianco della piazza di Sant'Andrea, ove poi sorse il campanile. Gli Avvocati furono espulsi da Mantova e le loro case distrutte. Il papa Gregorio IX, il 5 giugno inviò una lettera al popolo mantovano. Egli parlò di crimine imparentato con l'eresia, fatto da “ uomini infetti di eretica lordura”, aggiungendo che il vescovo aveva “ tagliato le cose che nuoccono”. Dopo l'uccisione del vescovo ci fu una violenta reazione dopo la fuga degli autori dell'atto criminoso; cacciata del podestà, creazione di un governo cittadino d'emergenza, formato dai consoli, li ricordiamo, Giovanni Enrico da Riva, Ubaldo da Rivalta, Pagano di Saviola e Guelfo de Pizo, che abbiamo già trovato implicato in fatti d'eresia. Otto grandi famiglie furono costrette a lasciare la città: Angeli, Avvocati, Poltroni, Calarosi, Desenzani, Visconti, Visdomini, Ravasi. Guidotto nella sua azione di governo spirituale e temporale della comunità mantovana, aveva voluto restaurare la proprietà vescovile, scomunicare i notai se avessero redatto documenti di investitura di vassalli senza il suo consenso, difendere i diritti giurisdizionali nel contado, introdurre i Predicatori in città, inquisire gli eretici, sostenere la politica di Gregorio IX, fare il podestà e avere l'idea di una Chiesa superiore a qualsiasi potere. Per ottenere tutto ciò, si era appoggiato ai vassalli e alla oligarchia cittadina. Ma i vassalli erano decisi ad affermare la loro autonomia dal Papato e dall'Impero. In quel tempo i vassalli allodiavano le terre, liberavano i rustici, volevano conservare il controllo delle proprietà vescovili insieme con la curia dei Pari e il Capitolo della Cattedrale. Guidotto aveva messo in pericolo la loro autonomia e allora lo assassinarono. Ma l'uccisione di un vescovo- podestà è un fatto che sconvolge la comunità mantovana, pur sempre nella sua maggioranza di religione cristiana e legata affettivamente e devotamente al suo Pastore. Ci fu un'insurrezione di popolo che saccheggiò il monastero di Sant'Andrea . I cospiratori, nel loro piano, dovevano essersi preparata una via di fuga e chi poteva essere il loro ispiratore-protettore? A mio parere, la pista dei Catari non era quella giusta; l'assassinio del vescovo fu preso come pretesto dal papa Gregorio IX per incolpare gli eretici, che erano da estirpare, e aizzare la collera del popolo contro di loro. Così come è sempre successo nel corso della storia, chi detiene il potere, incolpa a torto o a ragione, di un fatto riprovevole, la parte avversa, per distruggerla. Fanno testo le persecuzioni contro gli Ebrei o gli Zingari, soprattutto in presenza di gravi crisi economiche. Invece da seguire, secondo me, era la pista che portava ad Ezzelino da Romano, signore della marca Trevigiana e ormai prossimo signore di Verona. Era un feroce avversario del papa e contrario alle pratiche religiose, puntava ad impadronirsi di Mantova. Ucciso il vescovo, significava aprire la strada ad una signoria amica e laica, quindi controllabile. Un'ipotesi questa che viene da una traccia corposa, gli assassini di Guidotto, Uguccione d'Altafoglia Avvocati e i complici, trovarono subito rifugio e asilo proprio presso Ezzelino.

 

QUINTA PARTE


L'assassinio del vescovo Guidotto così è raccontato nei versi dell'Aliprandina, “osia Cronica della città di Mantova di Buonamente Aliprando, cittadino mantovano.”
“..Mil ducent trenta quattro in veritade
gli Agnelli, che parte lor si tenìa
degli Avocati, che fur bandeggiade,
e i conti Casalod pace facìa.
Con Calarosi era grande affare
in piazza di Brolet la concludìa.
Mille ducent trenta cinqu'a non fallare
de lo mese di maggio al vero dire,
un grandissimo mal fu fatto fare.
Lo vescovo Guidot senza fallire
fu morto in Sant'Andrea monastero
da gli Avocati, ch'avean gran patire
Funne fatto grande processo e fero,
si che di Mantova furon cacciati
con suo gran danno e non punto leggiero.
Le case per terra furon gittati;
ancora a li seguaci, che li avìa.
Tutti di Mantoa furon ribellati.
Li seguaci Poltroni si dicìa
Desenzani, Ravasi e Calaroso,
Visconti e Visdomini in compagnia...”
Le nobili famiglie mantovane, rappresentate da 89 persone, erano state chiamate in palazzo vescovile da Guidotto, il 22 giugno 1231, per ricevere il giuramento di fedeltà in quanto suoi vassalli, indi li investe dei loro feudi, facendo loro promettere di stare contro gli eretici. Tra i presenti un Alario de Bagnolo. Le più potenti famiglie mantovane, quattro anni dopo, lo uccideranno.
LEGGI CONTRO GLI ERETICI : MANTOVA
Alla fine del XII secolo in Italia, la lotta dei Comuni contro Federico Barbarossa, con l'appoggio del papa, aveva esautorato ogni autorità cittadina. Il vescovo non aveva in mano il governo della città, il Comune era geloso contro ogni intervento che ne minacciasse l'autonomia. La conseguenza fu che la lotta contro l'eresia, per lungo tempo, nelle città comunali italiane, fu affidata al vescovo, la scoperta dell'eretico e la sua colpevolezza, mentre al Comune era affidata la sua punizione. Il vescovo però, non aveva nessun potere per imporre all'autorità politica cittadina anche solo l'arresto o la messa al bando dell'eretico. L'eresia in Italia ha goduto a lungo di una tranquillità quasi assoluta, fino alla decretale di Innocenzo III del 25 marzo 1198: era cominciata la caccia all'eretico.
Qualche anno dopo la morte di Guidotto, il rispetto delle leggi contro gli eretici, nel comune di Mantova, non doveva essere molto rigido. Infatti il vecovo di Mantova Giacomo della Porta, ( 1237- 1252) di Castell'Arquato, ex canonico della Cattedrale di Piacenza, in una investitura del 6 aprile 1239, faceva obbligo, con giuramento, al vassallo Nicolò de Bagnolo, di prestargli ogni appoggio per cacciare da Mantova e dal suo distretto i Catari.
In una investitura del vescovo di Mantova, Martino, del 16.1.1266, faceva obbligo con giuramento al vassallo dell'episcopato di prestare al vescovo ogni appoggio per cacciare da Mantova la setta dei Cattaros, il che mostra come il Comune di Mantova non fosse troppo rigido osservatore delle costituzioni papali. Tali leggi non si trovano negli statuti bonacolsiani.
Nel 1252 il papa Innocenzo IV ( Sinibaldo Fieschi, 28 giugno 1243- 7 dicembre 1254) elesse Martino di Parma vescovo ( 1252- 1268 ) di Mantova. Aveva l'incarico preciso di “ procurare alla chiesa l'integrità del potere spirituale e temporale e di difenderla dai morsi di lupi rapaci”. Il vescovo impose le Costituzioni di papa Innocenzo III e successori, al Comune. “ Dopo aver convocato il Consiglio cittadino, i capi dei partiti, delle società e dei vessilliferi, le leggi contro gli eretici furono lette nella camera del Consiglio, alla presenza del vescovo e del podestà di Mantova, Tomaso de Pocelengo e furono riconosciute per leggi e statuto del Comune e da essere osservate in perpetuo”. Il che prova come il partito guelfo e la chiesa preponderassero nel Comune di Mantova.
Constitutiones domini Pape contra hereticos
Costituzioni del papa contro gli eretici
Il giorno di mercoledì 17 novembre 1252, indizione X.
La legge è composta di 69 rubriche e comprende le leggi di Papa Innocenzo III e successori, inoltre le leggi dell'imperatore Federico II contro gli eretici. Erano leggi molto severe nei confronti degli eretici e dei loro fautori che, una volta scoperti, erano esclusi completamente dalla vita civile. La legge prescriveva contro gli eretici:
· Che sia tolto loro ogni diritto di difesa e di appello;
· Che siano privati della facoltà di fare testamento;
· Che i loro figli non possano adire alla eredità paterna, salvo il caso in cui questi promettano di non seguire la pravità del padre;
· Che siano distrutte le loro case e confiscati i beni, i quali debbano per una parte pervenire al Comune, per un'altra agli Ufficiali ( dell'inquisizione ) e per una terza al Diocesano da adoperarsi a favore dell'estirpazione dell'eresia;
· Che siano privati dei diritti civili, inquisiti, banditi e scomunicati tutti quelli che loro daranno aiuto.
Incaricati di eseguire le sentenze del Tribunale dell'Inquisizione era il Podestà, come imponeva la Rubrica 57 : Quod Potestas procedat contra hereticos secundum leges Federici Imperatoris, Padue promulgatas. ( Il Podestà proceda contro gli eretici secondo le leggi dell'imperatore Federico ( II ), promulgate a Padova ). Cosa doveva fare degli eretici condannati, il Podestà ? Secondo la rubrica 19, “... ut vivi inspectu hominum comburantur flamarum..” ( affinchè siano bruciati vivi alla presenza del popolo).
· Queste le sètte eretiche : Cataros, Patarenos, Seperovistos, Liconistas, Arnaldistas, Circumcisos, Pasaginos, Josephinos, Gargantenses, Astanenses, Franciscos, BAGNOLES comites Valdenses, Roncarolos, Cominelos, Varinos et Ortolanos cum illis de Aquanigra et omnes Hereticos utriusque sexus quocumque nomine censeantur, perpetue damnamus infamia”. ( Condanniamo per sempre all'infamia tutti gli eretici di entrambi i sessi e con qualunque nome siano chiamati.)
Fu in seguito alla promulgazione di questo Statuto “che si scompaginarono le varie sètte che eransi formate nel mantovano e che Martino di Campitello, della sètta di Bagnolo, nel 1265, fu arso vivo come eretico”. E' in questo periodo che ci fu una fuga in massa di eretici verso Bologna e Sirmione.
In una investitura del 16.1.1266, il vescovo di Mantova, Martino, faceva obbligo con giuramento al vassallo dell'episcopato di prestargli ogni appoggio per cacciare da Mantova la setta dei Cattaros, il che mostra come il Comune di Mantova non fosse troppo rigido osservatore delle costituzioni papali. Tali leggi non si trovano negli statuti bonacolsiani.

CARLO D'ANGIO'
La situazione in Francia .
La crociata contro gli Albigesi iniziata nel 1208 terminò nel 1229 con il trattato di Meaux- Parigi. Il re Luigi IX diventò padrone di tutta la Francia meridionale, con le armi, ma per questo non era ben accetto da quelle popolazioni. Per pacificare quelle terre ricorse ad una accorta politica matrimoniale. Giovanna, figlia dell'ultimo re di Provenza, Raimondo VII di Tolosa, andò sposa al fratello di Luigi IX, Alfonso di Poitiers, nel 1237. Raimondo VII morì nel 1249 e il principe francese diventò conte di Tolosa. Carlo d'Angiò, altro fratello del re, sposò Beatrice, figlia di Raimondo Berengario, conte di Provenza. Il re Luigi IX era diventato parente e padrone di tutta la nobiltà della Provenza. In Italia, fino al 1250, con l'imperatore Federico II, la Chiesa aveva usato estrema prudenza contro gli eretici. Infatti aveva demandato ai vescovi o agli inquisitori o alle autorità laiche la possibilità d'azione contro gli eretici. Anche Corrado IV fu amico e fautore di eretici. Quando Manfredi, nel 1258, si fece eleggere re di Sicilia, a lui si oppose il Papato che chiese l'intervento militare di Carlo d'Angiò. Nel 1266, a Benevento, l'Angioino uccise Manfredi e nel 1268, a Tagliacozzo, sconfisse e poi uccise Corradino. Divenuto padrone dell'Italia meridionale Carlo cambiò la classe dirigente e i preti locali con personale francese di sua fiducia. Aveva l'appoggio sicuro del papato.
IN ITALIA
Nel corso del XIII secolo in Italia mutarono le condizioni sociali. Ci fu un risveglio economico e i mercanti italiani sciamavano in tutta Europa; portavano lane grezze, prestavano denaro e degli italiani diventarono consiglieri del re di Francia. Quando l'attività economica si sviluppa, il benessere, dai più ricchi finisce col raggiungere anche le classi più modeste. Le città si ingrandirono e si abbellirono. Migliorò il tenore di vita. Si affinò la cultura e si diffuse la gioia di vivere. Di fronte a queste mutate condizioni economiche e sociali, la fede catara, che offriva al fedele un mondo maligno pieno di sofferenza e dolore , era sempre meno seguita.
Il sistema guelfo-angioino aveva accelerato la fine della casa sveva nella penisola. I ghibellini uscivano sconfitti insieme con l'impero e in Italia cambiò il padrone. Ora a comandare in Italia erano le truppe francesi, alleate del Papa. Queste mutate condizioni politiche portarono ad un cambiamento di indirizzo anche nel mantovano e nel veronese, sotto il governo di Pinamonte Bonacolsi e Mastino della Scala. Queste regioni erano sempre state piene di eretici e, per ingraziarsi i nuovi padroni, gli Angioini e di riflesso anche il papa Giovanni XXI, Pinamonte e Mastino pensarono di compiere un'impresa tale da dimostrare al re Carlo D'Angiò e al papa la loro fede nella religione cattolica, e quindi di avere da loro un appoggio nel mantenimento del potere locale. Sull'altare della politica e del tornaconto personale sacrificarono l'intera comunità catara bagnolese che si era trasferita a Sirmione, sul lago di Garda.
SIRMIONE
La Cattura.
“Anno 1276. Il 10 gennaio muore Gregorio X ad Arezzo. Il 21 marzo è eletto papa Innocenzo V. Nel mese di aprile Veronesi e Mantovani giurarono i mandati di Rodolfo, re dei Romani, alla presenza di numerose persone di entrambe le città.
Lì 18 agosto 1276. Muore Innocenzo V.
“ Item eodem anno de mense novembris, die jovis XII, eiusdem mensis, episcopus veronensis, una cum dominis Pinamonte de Bonaconsis, Alberto de la Scala et fratre Philippo executore hereticorum, iverunt Sermionum, quod steterat domus ipsorum longissimo tempore, situm in lacu Gardensi, et ceperunt CLXVI inter hereticos et hereticas, et conducti fuerunt Veronam de voluntate et beneplacito domini Mastini, qui tunc erat dominus Veronae.”
“Nello stesso anno, ( 1276 ) nel mese di novembre, giovedì 12, il vescovo di Verona, (frate Timidio), insieme con Pinamonte Bonacolsi, Alberto della Scala e frate Filippo Bonacolsi, giustiziere di eretici, andarono a Sirmione, che era stata residenza eretica per lunghissimo tempo, situato sul lago di Garda, e catturarono 166 tra eretici ed eretiche, e furono portati a Verona per volontà e beneplacito del signor Mastino, che allora era signore di Verona.”
Anno 1277, martedì 26 ottobre. Mastino della Scala, che era stato signore di Verona per lungo tempo, fu ucciso da quelli di Pigocio, davanti al palazzo nuovo del comune di Verona e vicino alla sua casa, e con quelli di Pigocio c'era il signor Isnardo de Scaramellis che ordinò ciò, e in occasione di detta morte, furono presi i signori Gilberto de Becchariis e Isnardo predetto; il mercoledì seguente, di mattina, furono uccisi nella piazza del mercato; poi in occasione di detta morte, furono catturati i signori Bonmassario e Nigrello de Blanchanis, Scaramella de Scaramellis e Danexio suo nipote e parecchi altri della famiglia De Scaramellis e Scaleta de Scalis e molti altri; e tutti furono uccisi dal comune di Verona. E il signor Antonio de Nogarolis fu ucciso con lo stesso signor Mastino e nella predetta occasione fu catturato a Mantova il signor Niccolò de Arlotis, il signor Ugolino de Pizo e suo fratello Guelfo e tutti e tre furono decapitati a Mantova e molti altri degli Arlotti furono uccisi nelle carceri del comune di Mantova. Il signor Giovanni de Bonacolsi era podestà di Verona e il signor Alberto della Scala era podestà di Mantova.”
Dal processo ad Armanno Pongilupo
“..Il signor Nicola, figlio di Asiati di Brescia, il 26 aprile 1285, giurò che sono 8 anni circa che era ufficiale inquisitore, cazzagazaro, (Cacciatore di Catari ) per la chiesa di Verona. Ed essendo stati catturati molti eretici in Sirmione....”
Tra il 1276 e il 1279 Brescia perdette molti castelli, come Manerbe e Bedizzole, per mano di Verona, Alberto della Scala e di Mantova, Pinamonte Bonacolsi, divenuto signore della città approfittando, come dice Dante (Inf. XXVI, v. 95) della “mattìa di Casaloldi”, cioè della storditezza di Alberto di Casaloldo, precedente signore. Verso la fine di questo conflitto, Brescia si alleò con Cremona, Parma, Ferrara e Gherardo da Camino contro Alberto della Scala. In questo periodo vi fu un inasprimento della guerra contro gli eretici, che si identificavano spesso con i ghibellini o comunque con gli avversari della pars ecclesiae. Tra gli eretici figurano due bresciani, un Lanfranco da Brescia, investito di un'alta dignità nella gerarchia ereticalee un Giovanni di Manerbe. L'azione antiereticale fu condotta inflessibilmente, e culminò in una retata di 168 catari perfetti, catturati a Sirmione dalla milizia di Alberto della Scala, dei quali 70 furono mandati al rogo ( Verona, 1278, febbraio) e gli altri salvati per intercessione di papa Giovanni XXI.
A Sirmione, sulle rive del Garda, gli inquisitori lombardi e veneti fecero, nel 1277, (ma è l'anno 1276) una retata di 168 perfetti catari, uomini e donne, e misero in istato di accusa tutti gli abitanti. Settanta perfetti furono bruciati e gli altri favoreggiatori si salvarono solo perchè invocarono clemenza dai giudici, e Giovanni XXI ( Pietro di Giuliano o Ispano, 20 settembre 1276- 20 maggio 1277) intercesse per essi, purchè giurassero guerra ai nemici della fede.

IL ROGO
Anno 1278, addì 13 febbraio, domenica.
Il papa è Niccolò III, (Giovanni Gaetano Orsini, 26 dicembre 1277- 22 agosto 1280).
Nell'arena di Verona furono bruciati circa 200 Patarini di quelli che furono presi in Sirmione e frate Filippo, figlio del signor Pinamonte, era l'esecutore
« Et suo tempore de mense novembris captum fuit Sermionum, sive reditum fuit ecclexie. Et capti fuerunt circha 150 patarinis contra fidem inter masculos et feminas; qui omnes ducti fuerunt Veronam, et pro maiori parte combusti».
“ In quel tempo fu preso Sirmione, ossia fu restituito alla chiesa. E furono catturati circa 150 Patarini tra maschi e femmine, che erano contro la fede cattolica; tutti furono condotti a Verona, e la maggior parte bruciati.”
Nel 1273 viene citato Sirmione come nido di Patarini; anzi, colà risiedeva il loro vescovo Lorenzo. In quell'anno si occupò degli eretici di Lazise, frate Timidio, allora inquisitore.... Nel 1275 fu fatto vescovo di Verona il suddetto frà Timidio. Costui, con l'inquisitore Filippo Bonacolsi, il padre di lui Pinamonte, ( quegli che fu capitano del popolo di Mantova), e Alberto della Scala, mossero, con una schiera di armati, contro Sirmione e presero questo borgo addì 12 novembre 1276. Vi catturarono 166 tra eretici ed eretiche e condussero a Verona i prigionieri, ponendoli in balìa di Mastino. Questi li tenne in carcere e null'altro fece contro di essi, ma , dopo la sua morte, successogli nel capitanato, il fratello Alberto, la maggior parte di quei prigioni fu condannata al rogo. Il loro supplizio fu eseguito nell'anfiteatro addì 13 febbraio 1278. Nicolò III lodò più tardi Albertro della Scala e quegli altri di sua famiglia che avevano avuto parte al fatto di Sirmione e, quasi in ricompensa, donò loro il castello di Illasi
Filippo Bonacolsi figlio di Pinamonte, signore di Mantova, entra nell'Ordine francescano e viene nominato dal papa Nicolò IV, inquisitore della Marca Trevigiana. Indi il papa dà mano libera “a Filippo di Mantova” inquisitore, sugli eretici di Sirmione, dei quali ne brucia 70. Nel 1277, su beneplacito del papa, Filippo assolve la città di Verona dalla censura per aver dato aiuto, consiglio e favore a Corradino. Però i veronesi dovevano versare lire 4000 per fabbricare un monastero ai frati minori nella terra di Sirmione. Nicolò III nel 1280 lo nomina nell'arcivescovado di Ragusa, ma vi rinuncia. Nicolò IV lo manda vescovo a Trento, ma poi è costretto all'esilio per Francoforte e Roma. Torna a Mantova nel 1303 e nello stesso anno, il 18 dicembre, muore.
FINE DEI CATARI
Perchè si è spento il catarismo? Nei secoli dall'XI al XIII il Catarismo si è inserito in un tessuto sociale disposto ad accoglierlo, ma imitando “nudi il Cristo nudo”, è rimasto fermo nel suo evangelismo coincidente con apoliticità e sofferenza, persecuzione e dolore. Nella Francia meridionale si era legato alla nobiltà locale che l'appoggiò per antipatia alla chiesa. In Italia si affiancarono ai ghibellini e ai nobili, ma erano forze già in crisi. Travolta la nobiltà del Sud francese dalle armate del Nord, i Catari si trovarono soli. Furono perseguitati dalla nobiltà francese vincente perchè ritenuti la punta di diamante del patriottismo meridionale. Furono alla mercè dell'inquisizione perchè ritenuti i più pericolosi nemici della fede. In Italia, morti Federico II nel 1250 ed Ezzelino da Romano nel 1260, i Catari videro il crollo del ghibellinismo. Fu instaurata la politica guelfa e angioina che diede mano libera all'inquisizione. Le forze economiche avevano prodotto una società ricca e prospera, e dato alle masse un nuovo sentimento di intendere la vita non come condanna, ma come speranza per il futuro. I Catari credevano nel fatalismo, negavano il riprodursi della vita, non si sono rinnovati e sono stati travolti.
“Nei primi decenni del trecento in Italia il catarismo muore. Restano, come dopo un grande incendio, le faville, oggetto dell'interesse dello storico, per quel che è più il suo amore del passato, ma non forze della storia”. Il perdurare dell'interessamento degli storici per i movimenti ereticali del medioevo può portare ad esagerarne sistematicamente l'importanza effettiva nell'evoluzione dei valori religiosi medievali; la coscienza moderna indipendente valuta in essi una anticipazione di posizione e di soluzioni personali, sociali, politiche circa il problema sempre vivo dei rapporti dell'individuo e dello Stato con la religione e l'autorità ecclesiastica; ciò contribuisce piuttosto ad estenderne la notorietà anzichè a determinare e a definire l'influsso reale nei quadri del loro tempo”.
Il catarismo è stato inutile e la sua presenza senza effettivo significato storico ? Abbiamo visto
nell'XI secolo l'inquietudine religiosa delle masse, che erano alla ricerca di una fede, e l'avevano trovata nel catarismo, che nei secoli XII e XIII ha esercitato un peso religioso eccezionale, impegnando la Chiesa in uno sforzo dal quale uscì rinnovata. Dalle critiche dell'eresia catara fu costretta ad aprire le diocesi, mondi chiusi, a nuove forze rappresentate dagli Ordini Mendicanti, che furono presenti nei luoghi dell'eresia per combatterla con le sue stesse armi, il digiuno, la preghiera, l'aiuto ai poveri, la costruzione di ospedali. “La Chiesa fu costretta a ripensare al suo complesso dottrinale, alla sua liturgìa. Considerò con occhi diversi i laici come comunità cristiana. La Chiesa fu obbligata ad un esame di se stessa, a migliorarsi, a riformarsi senza tregua per due secoli. Storia conclusa dunque quella dei Catari, se ci limitiamo alla constatazione che questi non esistono più; ma perenne, se pensiamo che le forze che essi hanno suscitato, gli ideali che hanno risvegliato, per il loro sacrificio, per la loro decisione e la loro fede, sono entrati nel circolo eterno della storia”.

APPENDICE
UBERTUS DE SULFRINO
Die sexto intrante Iulio, presens domino Iohanne de Gonzagha preposito Mantuae, Angeli, Avvocati, Poltroni, Calarosi, Desenzani, Visconti, Visdomini, Ravasi. magistro Bernardo parmense,\\ domino Phy(lippo) de Saviola, canonico Mantuae, domino Hugone cappellano domini Guidocti, dei gratia Mantuae electi, Bonaventura fratre\\ de Ordinis Predicatorum et aliis. In pallatio episcopatus Mantuae, Ibique Ubertus quondam Gualtiroli de Sulfrino,\\ ante presentiam domini Electi predicti cum esset de heresi infamatus iuravit stare super facto heresis mandatis ecclesie\\ et ipsius et omnia precepta que propter hoc sibi faceret observare, et spetialiter exire civitatem et diocesim mantuanam. Si\\ aliquando contra fidem vel articulos fidei inventus fuerit culpabilis vel suspectus, iuravit ad voluntatem predicti domini electi, sub pena quam ab eo exigere voluerit.
Item eodem die et eodem pallatio, presens domino Hugone cappellano dicti domini electi, domino Bonamente iudice\\ , Zanino notario de Persellanis, et aliis. Idem dominus electus precepit sub debito iuramenti prefato\\ Uberto ut quociens fuerit per se vel per suos nuntios requisitus pro facto heresis de qua fuerat infamatus se \\ ante suam presentiam presentaverit, eius precepta in omnibus servaturus. Itemque dominus precepit eidem Uberto quod de cetero fidem\\ catholicam quam tenet ecclesiam romanam et observat debeat observare, et quod de cetero cum hereticis participationem\\ seu familiaritatem non habeat nec consilium vel auxilium per se vel per alium plubice (sic) vel privatim\\ dabit vel prestabit hereticis et si contra predicta vel in aliquo predictorum inventus fuerit facere per\\ se vel per alium publice vel privatim, penam CC librae imperialium solvere ac dare promisit predicto domino\\ electo, et obligatione bonorum suorum. Que omnia promisit per stipulationem dicto domino electo at\\tendere et observare. Cuius promissionis dominus Bellebonus qui stat de Portanova, Milletus\\ notarius qui stat in contrata Sancti Jacobi, et dominus Bonaventurinus de Adelardis extiterunt fi\\deiussores, pro dicto Uberto, promittentes per stipulationem dicto domino electo\\ facere et curare quod ipse Ubertus attendet omnia predicta, et si non attenderit\\ vel observaverit promiserunt dicti fideiussores predictam penam dare et solvere\\ domino electo prefato ita quod uterque ipsorum in solidum teneantur de omnibus predictis et spetialiter de ipsa pena.
DONNA BONA
Eo die, loco et mense ( VIIII exeunte Januario) et testibus ( domino Hugone cappellano domini episcopi, Guielmino de Vicedominis, Alberto Flacazovo). Ibique dominus Jacominus de Buccamaiore promisit\\ per stipulatione domino Guidocto, dei gratia episcopo Mantuae, dare et assignare ei infra tertium diem postquam\\ ab eo peteret donnam Bonam, que fuit de Dalmacia, et est de heresi infamata, que infirmabatur\\ Mantuae, et si hoc non attendet, promisit ei dare nomine pene, quingentas libras Mantuae,\\ penas non attenderet?, quam precepit aasignari et dari sibi domino Jacomino\\ a Zaffardo de Adelardis, cazacatharo. Qui? Zaffardus eo die presentibus Alioto\\ de Olivis et Jacobo de Sighizis et Venerio suo filio, dictam donnam Bonam dicto\\ domino Jacomino dedit et assignavit in suis manibus custodiendam, que erat tunc in turre\\ dominorum Adelardorum, et hoc dessignatio ibi facta fuit.
ALBERTO DI BELFORTE
Die XI intrante octubre, presentia dominis presbitero Jacobo et Filipo de Saviola canonicis Mantuae, magistro Girardo et aliis testibus rogatis.\\ In pallatio episcopatus Mantuae. Ibique presbiter Albertus ecclesie Sancti Michaelis de Campitello, iuravit stare mandatis domini Guidocti\\ dei gratia Mantuae episcopi et parere pro eo presertim quod interfuit sepulture vel sepelitioni quondam domini Alberti de Belforto\\ qui fuit usurarius et hereticorum defensor et fauctor et quia non erat de episcopatu Mantuae, veluti prefatus dominus episcopus\\ asserebat. Posta vero ipse idem dominus episcopus, precepit eidem presbitero, Al(berto), sub vinculo iuramentj illius, ut usque ad octo\\ dies det ei duos fideiussores qui sint admittendi tamquam boni.
Die XVI intrante octubre, presentia dominis presbitero Jacobo canonico Mantuae, presbitero Grandeo presbitero de Arzagho\\ Johanne Bono notario de Righizo et aliis. In pallatio episcopatus Mantuae. Ibique cum presbiter Albertus ecclesie Sancti Michaelis de Campitello\\ iurasset stare mandatis domini Guidocti, dei gratia Mantuae episcopi, et parere pro eo presertim quod interfuit sepultura vel vel sepelitioni\\ quondam domini Alberti de Belforto qui fuit usurarius et hereticorum defensor et fauctor et quia non erat de episcopatu Mantuae,\\ veluti prefatus dominus episcopus asserebat, et quod per hoc duos bonos fideiussores dare tenebatur eidem in dicto termino sibi dato \\ quod apparet per publicum instrumentum a me notario infrascripto confectum. Oddolinus campsore et Martinus Ravacollus de Sancto\\ Michaele renuntiando omni suo iure et auxilio episcopale domini Adriani et quilibet se principaliter et in solidum obligando\\ promiserunt dicto domino episcopo stipulanti se facturos et curaturos quod predictus presbiter attendet omnia\\ supradicta, alioquin per se et de suo attendere promiserunt, sub pena XXV soldos Mantuae et pena iterum attendere et omnia sua bona in super? iure pignora, obligando eidem , postea ibidem dictus dominus episcopus\\ precepit presbitero Alberto predicto ut hinc ad XV dies in manibus camerarii exhibeat unum\\ pignus XV soldos Mantuae et si non attenderet, precepit dictis suis fideiussoribus ut attendent.

WELFO DE PIZO
Die XV intrante decembre,presentia dominis Compagnono presbitero et Conradino de Grosolanis, canonicis mantuanis, Pizo et Hugone de Pizo, testibus rogatis. In ecclesie Sancti\\ Andree de Mantua. Ibique dominus Azo de Buffis, canonicus mantuanus, vice ac nomine domini Guidocti, dei gratia episcopi mantuani, et de suo mandato \\dixit et denuntiavit domino Welfo de Pizo ut iuraret mandatis ecclesie et ipsius domini episcopi, cum dicatur ipsum esse factorem et defensorem here\\ticorum, et domino eius filio Mantuano, tunc gladio interfecto, per hoc videlicet que ut fama est huiusmodi fauctor erat\\ atque defensor iamdictus dominus episcopus vellet sepolturam ecclesiasticam denegare. Quare dominus Guelfus iamdictus ad\\ denuntiationem dicti domini Azonis respondens, iuravit mandatis ecclesie parere ac predicti domini episcopi in hac parte spetialiter quod\\ hereticos non defendet nec fovebit neque tenebit in domibus propriis nec eis dabit consilium auxilium vel favorem, sub pena\\ C libras Mantuae. Qua soluta cum expensis in ipsa petenda et exigenda factis contractus iste nichilominus in sua firmitate perduret\\ et totiens comittatur et peti et exigi possit, quotiens pactum fiunt contra predicta vel etiam aliquid de predictis.
NICHOLAUS DE BAGNOLO
Die mercurii sexto intrante aprili ( anno 1239). In quodam pallatio episcopatus Mantuae in presentia domini, don Rainaldi presbiteri monasterii Sancti Andree et domini Uberti clerici ecclesie Sancti Michaelis de Parma et Alberti \\ Flacazoui atque Philippis Porcharii servientis domini episcopi Mantuae testium. Ibi dominus Jacobus miseratione dominum episcopus Mantuae, vice et nomine episcopatus Mantuae inuestiuit dominum Nicholaum de Bagnolo de suo recto feudo\\ eo salvo et expensum dicto quod nominatus dominus episcopus per hanc inuestituram non dat nec concedit ei aliquid jus neque racionem in eo quod ultra suum rectum feudum in aliquo occupasset vel inuasisset ex bonis\\ episcopatus Mantuae pro quo quidem feudo dictus dominus Nicholaus continuo iuravit fidelitatem predicto domino episcopo et episcopatui Mantuae contra omnes personas salua fidelitate priorum antecessorum siquos habet predictum quod in omnibus continetur in capitulo\\ fidei addens in suo sacramento quod dabit operam et uirtutem ipsi domino episcopo et eius nuntiis pro posse expelendi Catharos de Mantua et eius districtu.







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http://www.edicolaweb.net/graal26a.htm
CERCANDO IL GRAAL...
I CATARI E IL "CAMPO DEI CREMATI"
di Antonio Bruno
per Edicolaweb


Il nome di Raimon de Perelha ha qualcosa d'inquietante. Sarà la mia fantasia sempre molto sensibile a suggestioni trobadoriche ma, di certo, non possiamo dire che il cavaliere provenzale che portava tale nome non fosse l'artefice di un evento piuttosto importante nella misteriosa e tragica storia dei Catari.

Fu lui, infatti, che recepì l'istanza del vescovo cataro Raimon Blasco volta ad una radicale ricostruzione del "pog" di Montsegur, un'altura ai confini con i Pirenei e la Spagna, immersa in un paesaggio aspro ed affascinante al tempo stesso, in cui ogni pietra trasuda storia ed antico dolore. "Pog", in linguaggio locale, vuol dire "monte", e quello di Montsegur è senz'altro il simbolo di pietra di una accanita resistenza, di un'accanita fede e di un'accanita barbarie.
Dunque, il "nostro" cavaliere occitano, Raimon de Perelha, riedificò praticamente da zero il precedente insediamento fortificato che gli studiosi chiamano "Montsegur I", e ne fece il bastione rifugio più tristemente noto di quella che viene chiamata la "chiesa catara", un bastione entro le cui solide e dominanti mura credettero di aver trovato sicuro rifugio gli appartenenti ad un'intera comunità di fedeli: uomini, donne, bambini, vecchi. Vi erano capanne, botteghe e si può dire che Montsegur fosse una sorta di comunità autonoma a sé stante come (ma il parallelismo è solo assolutamente indicativo) certe "isole spirituali" dei nostri tempi, in cui si raggruppano comunità più o meno avulse dal mondo esterno in osservanza di modi decisamente "alternativi" di concepire la vita.

I Catari, però, non erano una comunità di spiritualisti New Age. Essi avevano leggi e convinzioni ben precise considerandosi gli autentici custodi della tradizione cristiana, i protettori e divulgatori della vera Gnosi, in opposizione alla Chiesa romana da essi considerata pervertita e blasfema. I "Catari", o "Perfetti", dunque, erano uomini di rigorosi princìpi ma, soprattutto, di chiare idee in merito alle Scritture, la cui interpretazione era diametralmente opposta a quella ortodossa. L'ombra del Manicheismo aleggia pregnante nelle dottrine catare e più di uno studioso ha accettato, come dato di fatto, la provenienza del catarismo da questo sistema religioso a sua volta proveniente da oriente e, pare, dalla terra di Bulgaria. Del resto, lo stesso Gnosticismo, con la sua fortissima connotazione dualistica di Luce e Materia, era, con ogni probabilità, di derivazione manichea, ma quello che caratterizza in modo particolare i Catari era l'aspirazione a salvare l'essere umano attraverso un percorso essenzialmente "iniziatico", che aveva le sue radici in antichissime religioni misteriche. I testi sacri che costituivano la base dell'esegesi catara erano, soprattutto, il Vangelo di San Giovanni, le epistole di San Paolo ed i vangeli cosiddetti "apocrifi".
Le tradizioni e la storia della regione occitano-catalana sono ed erano eccezionalmente antiche e suggestive: è a questo contesto culturale, a questa "civiltà" a cavallo tra Francia e Spagna che dobbiamo la nascita della poesia trobadorica e del sistema utopistico-letterario detto "amor cortese". Certamente, da queste terre, venne a tutta l'Europa uno slancio di civiltà che si impresse durevolmente in ogni contrada caratterizzando indelebilmente l'intero periodo medioevale. Ma l'unità politica occitano-catalana rappresentava anche una spina nel fianco per i poteri centrali, che vedevano nella sua civiltà, cultura e forza religiosa una pesante minaccia. Lo sterminio dei Catari rappresentò allora, sia per il potere politico feudale di derivazione carolingia che per quello ecclesiastico ortodosso romano, un'opzione irrinunciabile, una semplice questione di "mors tua vita mea", con tutto il cinismo grondante sangue che ne conseguì. Fu proprio dalla distruzione del Catarismo, conclusasi con la caduta della rocca di Montsegur, che si dette avvio al triste fenomeno dell'Inquisizione, disumano connubio fra potere e Chiesa, strumentalizzazione cinica, come pochissime altre, della Parola divina per scopi di egemonia.

Ma non sarà, ci domandiamo ora, che i Catari della Linguadoca avessero custodito un qualche grande "segreto" che incuteva enorme timore all'ortodossia romana? Non potrebbe essere che quest'ultima, venuta a conoscenza di quanto i Catari asserivano, ovvero di essere in possesso di qualcosa di assolutamente sconvolgente per tutti i Cristiani, si fosse inquietata nella consapevolezza che, di qualunque segreto si fosse trattato, esso avrebbe rappresentato una sicura minaccia per lo status egemonico del Cattolicesimo? La risposta affermativa a queste domande, qualora si consideri valida la convinzione di molti studiosi "eretici" che l'ortodossia cattolica si regge su assunti dogmatici basati su ampie manipolazioni delle Scritture originali, non sembra poi del tutto campata in aria se pensiamo, tra l'altro, all'accanimento con cui Roma si è dedicata alla distruzione di ogni simbolo dell'"eresia" Catara. Non dimentichiamo che, nel 1244, quelli che distrussero Montsegur si definivano "Crociati", né più né meno dei soldati che andavano a liberare il Santo Sepolcro dai Musulmani e che ci fu un accordo assolutamente premeditato fra il re di Francia ed il Papa. Collusione nefasta questa, verrebbe voglia di esclamare, della monarchia transalpina con il capo della Chiesa, quando si pensi all'altro atroce sterminio, quello dei Templari, perpetratosi nel 1314 ad opera, ancora una volta, di questi due poteri.
Di sicuro interesse, per coloro che desiderano affrontare ad ampio raggio la tematica del Catarismo, il collegamento fra questo ed il movimento ereticale degli Albigesi, tanto è vero che la caduta dei Catari può ritenersi un'espansione di quella triste pagina di storia chiamata "Crociata Albigese".
Ma, tornando al presunto "segreto" custodito dai Catari, di cosa avrebbe potuto trattarsi? C'è chi parla del mitico Graal...

Una leggenda, diranno molti, e forse hanno ragione. Ma sta di fatto che, alla caduta della fortezza di Montsegur, fra urla di donne, vecchi e bambini arrostiti fra le fiamme appiccate dai Crociati papalini e reali, pare che alcuni fuggitivi siano riusciti ad eludere l'accerchiamento delle truppe assedianti ed a mettere in salvo il cosiddetto "tesoro". Ma di che "tesoro" si trattava...? Non potrebbe essere che il termine "tesoro" si riferisse ad una ricchezza metaforica, essenzialmente spirituale e conoscitiva...? Se ne parla da tanto tempo e le disquisizioni di dotti ed eruditi non si contano.
Prove, in un senso o nell'altro, non ne esistono. Si sa che i "Perfetti", o meglio, un esiguo numero di essi, riuscirono a far filtrare fra le maglie dell'assedio questo ignoto "qualcosa" ma, se questo "qualcosa" fosse il Graal o meno, è estremamente arduo da dire. Tanto più se consideriamo che il Graal stesso è un oggetto essenzialmente simbolico.
Ci troviamo, dunque, qui, a domandarci se il "tesoro" dei Catari fosse stato un simbolo di ciò che, a sua volta, potrebbe essere nient'altro che il simbolo per eccellenza della purezza e della Conoscenza, appunto il Graal.
È un percorso molto insidioso, il nostro. Eppure, le terre dei Pirenei hanno qualcosa di misterioso che le porta ad essere associate al Graal.
Sappiamo, infatti, che ad Huesca, in Aragona, proprio nel cuore dei Pirenei, esiste un'antichissima leggenda collegata al Graal ed al dio celtico Lug, trasformato dal Cristianesimo in San Lorenzo, protettore di Huesca. La leggenda afferma che il Graal proveniva dall'Oriente e che, giunto a Huesca, fu preso in consegna proprio da San Lorenzo, che lo custodì in un luogo segreto. Ma l'intreccio con i culti celtici della zona è destinato a riservarci altre sorprese: non distante da Huesca esiste la misteriosa Sierra de Guara, di antichissime tradizioni culturali agricole e pastorali; insomma, una terra celtica che ha il suo fulcro in San Juan de la Pena, nome cristianizzato con un suo protettore cristianizzato: San Urbez.

Ora, pare che il Graal, a seguito dell'invasione musulmana della Spagna e della zona di cui ci occupiamo, abbia iniziato una sorta di esodo, attraverso località come Yesa, San pedro de Siresa, San Adrian de Sàsave, Jaca, San Juan de la Pena, appunto e... Montsegur. Ma è difficile, a questo punto districare la leggenda dalla storia. Sappiamo che, nel XV secolo, il re Catalano-Aragonese Martì I fece trasferire quello che si dice essere il Graal a Saragoza e poi a Barcellona. Ma le tracce di questo percorso si fanno, appunto, sempre più leggendarie. C'è, però, da osservare una cosa interessante: abbiamo citato la località di Jaca. Ora, come rileva argutamente Jaume Cluet (in un interessante articolo per la rivista "Hera"), tale località si trova proprio all'ingresso della Roncisvalle di Navarra, ovvero di quella strada iniziatica-cristiana, celtica e iberica che si chiama "Cammino di Santiago".
La discografia attinente a questo periodo storico ed alle gesta dei crociati antialbigesi, come i musicofili sapranno bene, è ricca di documenti, canzoni, inni e lodi in onore di questo percorso iniziatico detto anche "Pellegrinaggio di Santiago", in un'altra forte sovrapposizione cristiana a precedenti e supponibilmente marcati culti celtici.
A questo punto, ci rendiamo conto che non sembra poi così assurdo collegare il mito del Graal alla caduta di Montsegur ed al fatto, quasi certo, che alcuni fuggitivi riuscirono a mettere in salvo dalla distruzione del 1244 "qualcosa" di estremamente prezioso che veniva custodito fra le mura della fortezza. Un castello che, secondo alcuni studiosi, come Fernand Niel, nel libro "I Catari di Montsegur", avrebbe potuto essere con ogni probabilità una sorta di tempio-fortezza ispirato ad una chiara simbologia solare e zodiacale. In questo caso, sarebbero stati gli stessi "Perfetti" a dare istruzioni al nostro cavaliere occitano Raimn de Perelha affinché l'edificio avesse le giuste connotazioni architettoniche.
Ecco ora, una cronaca delle ultime tragiche ore di Montsegur, a firma di Vittorio Di Cesare per concessione di "Hera":

"Il 16 marzo del 1244, tante donne che avevano difeso il castello scelsero di essere arse vive piuttosto che abiurare. Più di duecento catari furono rinchiusi in un recinto dov'erano state accatastate delle fascine di legna, in uno spiazzo sottostante il castello, e bruciati vivi in un luogo chiamato ancora oggi 'Il campo dei cremati'. È da queste ceneri che è rinato lo spirito di indipendenza del paese. Negli anni '20 alcuni studiosi condussero delle ricerche nei dintorni del Pog e qualcuno asserì di aver trovato una caverna nella quale, su tavoli di pietra, erano appoggiati libri catari.
Quelle grotte non furono mai più ritrovate ma la notizia servì ad attirare a Montsegur caterve di cercatori di tesori, tra i quali il noto scrittore tedesco Otto Rahn, cui si deve la più importante documentazione di quella crociata contro gli eretici."

Il tempo ed il silenzio, rotto solo dal frinire delle cicale estive nei campi assolati dei Pirenei occitani, sembrano aver preso da secoli, ormai, il sopravvento su questi lontani eventi tragici. Eppure, proprio là, fra quei monti, un giorno esistette la Chiesa cristiana autonominatasi "dei Buoni Uomini e delle Buone Donne". Forse avrebbero avuto davvero qualcosa di "buono" da dirci e, forse, qualcuno nasconde ancora l'essenza del loro antico sapere. Se si tratta di sapere vero, genuino, possiamo allora stare certi che nessun rogo o sterminio potranno mai estinguerlo.

assgraal@katamail.com

 

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CERCANDO IL GRAAL...



IL MEDIOEVO DELLE ERESIE ED I CATARI
di Antonio Bruno
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Il Medioevo non fu un'epoca "buia". Questo pregiudizio, duro a morire anche fra gli storici più accreditati, può essere agevolmente superato approfondendo i pur numerosi esempi di ingegno applicato all'arte, all'edilizia, alla speculazione filosofica, alle scienze, ecc., rintracciabili lungo il classico millennio che corrisponde all'ambito ufficiale dell'età di mezzo (456d.C. - 1492d.C.).

L'equivoco, perpetrato dalla storiografia tradizionale, soprattutto di stampo ottocentesco, confondeva le condizioni sociali ed etiche dell'uomo medioevale, certo non felici, con una sorta di "catalessi" del progresso; anzi, spesso, le interpretava come un chiaro sintomo di "involuzione" da parte dell'umanità e questo a prescindere, fra l'altro, dalle differenti specificità del mondo Occidentale e di quello Islamico, ben più progredito in ogni campo.
L'uomo medioevale, ben lungi dall'appiattirsi su posizione di subalterna ignoranza o di arrogante prepotenza, era, invece, un uomo tormentato dalla ricerca della verità che cercava drammaticamente di scrollarsi di dosso il pesante ed ingombrante fardello dei numerosi "fantasmi" impostigli dalla Chiesa Cattolica.
Gli eredi di S. Pietro, dice qualcuno, ebbero il merito di essere gli unici a perpetrare il sapere attraverso il fiorire del "monachesimo" ma, a ben vedere, queste oasi di preghiera e di studio, furono non già un prodotto della Chiesa di Roma bensì, proprio, dell'uomo medioevale.
Il fenomeno del monachesimo sorse innanzitutto come risposta ad un'istanza intima dello spirito e ad uno stridente paradosso che il fedele medioevale non riusciva ad accettare: un Dio che si incarna attraverso una filiazione messianica portatrice di un potente messaggio di povertà, fratellanza ed umiltà, "non può" essere rappresentato da una Chiesa fatta di orpelli, lotte di potere, sfarzo e peccati di ogni genere!
Questa contraddizione, che non esito a definire "lacerante", non è una scoperta dei nostri giorni; si può dire con tutta tranquillità, anzi, che fu proprio l'uomo medioevale a farla emergere in tutta la sua drammaticità. Ma la Chiesa, abile come sempre nell'accaparrarsi camaleontescamente ogni nuovo fervore spirituale, onde poterlo meglio controllare, ha saputo inglobare in sé il fenomeno del monachesimo al quale, se non è riuscita a trasmettere del tutto la sua vocazione per il potere e lo sfarzo, ha però tramandato quella concezione dell'aldilà che, di fatto, l'uomo medioevale dovette subire.
Miniature, affreschi, sculture, bassorilievi, con cui si sono rivestite le chiese di tutta Europa, erano i "libri" del popolo, tenuto in una comoda ignoranza poiché, come ben si sa, gli ignoranti sono facilmente soggiogabili.
Questi "libri figurati" che cosa dicevano all'uomo dell'età di mezzo?
Parlavano di pene eterne in un inferno che ossessionava la sua vita negli aspetti più disparati; parlavano di demoni cornuti, di laceranti tormenti fra fiamme, zolfo e stridor di denti...
Nessuna redenzione per il peccatore, nessuna salvezza al di fuori della Chiesa e, soprattutto, una perenne e quotidiana minaccia incombente: la morte nel peccato.
Con queste armi, soprattutto, si è cercato di perpetrare il potere a spese della libertà di pensiero, bene supremo dello spirito umano.
Ma l'uomo del Medioevo non si è sottomesso, non ha subito; il suo spirito, pur fra mille difficoltà, pagando in prima persona spesso atroci punizioni, non ha mai cessato di cercare quella Verità e quel Bene cui solo attraverso l'esercizio del libero pensiero avrebbe potuto arrivare.
Non si tratta di retorica: troviamo chiara conferma di ciò nelle tante eresie di cui è cosparso il millennio dell'età di mezzo.
Quasi ogni secolo ha avuto le sue eresie e, come un gatto che rientra dalla finestra, lo spirito umano ha sempre rifiutato di farsi estromettere dal palazzo della Ragione...
Se il Medioevo fosse stata davvero un'epoca di oscurantismo e di ignoranza, non sarebbero fiorite tutte le eresie di cui ci parla la storia.
Se la Chiesa non fosse stata quell'incredibile apparato di potere e di sopraffazione in cui si è connotata fin dai primi secoli della sua esistenza, probabilmente il sapere umano, oggi, sarebbe molto più avanzato.
Tuttavia, se oggi possiamo fruire di un determinato tipo di progresso, lo dobbiamo sicuramente anche agli uomini del Medioevo ed anche agli eretici, poiché non è determinante, né del tutto vero, il fatto che le eresie fossero soprattutto un fenomeno spirituale.
Questo non limitò affatto la peculiarità di un'epoca che, nonostante tutto, ci ha trasmesso tutti i fermenti di un'umanità tutt'altro che abbruttita dall'ignoranza.
Le eresie, infatti, aprirono la strada a quelle che potrei definire le "applicazioni pratiche" di un diverso modo di vedere le cose, di intendere la vita ed i rapporti fra gli uomini.
È ben vero che, per la Chiesa, bastava dichiarare un dubbio, una perplessità, un'idea che non combaciasse con i propri schemi, per dichiarare "eretici" coloro che così facevano; ma è anche vero che, nel corso del Medioevo, con specifico riferimento al secoli XI-XIV, sono sorti spontaneamente vasti movimenti "ereticali", frutto di un'autonoma reimpostazione della propria escatologia spirituale. Esperienze finite per la maggior parte tragicamente, soffocate nel sangue e sfociate in quell'aberrazione repressiva che si chiamò "Santa Inquisizione". Solo in Italia, ricordo, ad esempio, gli Arnaldiani e i Dolciniani facendo inoltre presente che gli stessi Francescani, per un pelo, non furono condannati come eretici...
Ma l'eresia simbolo, quella che forse più di ogni altra rappresenta l'anelito di libertà e di autonoma fede dell'uomo medioevale, è senz'altro quella Catara.
Evitiamo, in questa sede, di occuparci degli aspetti teologici dell'eresia e dei vari contrasti dottrinali con il Cristianesimo cattolico, poiché, altrimenti, dovremmo davvero ampliare a dismisura gli ambiti di questo testo. Constatiamo, invece, come l'esperienza del catarismo abbia caratterizzato un'intera epoca, il Medioevo, appunto, con una scia di sangue ed intolleranza che non furono prodotti dalla società, bensì da chi la voleva semplicemente detenere in proprio potere: ancora una volta, come sempre, la Chiesa Cattolica.
Il clero di quei tempi era in ben misere condizioni e totalmente incapace di offrire ai fedeli ciò che il proprio ruolo avrebbe imposto. Simonia, sfarzo, lussuria, oppure, di contro, povertà ed ignoranza totali, ridotte ad un vuoto ripetersi di meccanici salmodiari, non potevano certo soddisfare la sete di giustizia e di sapere dell'uomo.
"Kataros", in greco significa "puro" e questo è non poco indicativo. Gli Albigesi, di cui "Catari" era un'altra denominazione, si ritenevano depositari della vera morale cristiana e si basavano, per questo, su una concezione strettamente dualistica. Pur non entrando nel merito di approfonditi esami dottrinali, troviamo chiaramente questa concezione del dualismo cataro nelle seguenti parole riportate da Massimo Centini nel libro "Guida insolita d'Europa":

"Noi, poveri del Cristo, senza una sede stabile, fuggendo di città in città, come agnelli in mezzo ai lupi, siamo perseguitati come lo furono gli apostoli ed i martiri, conducendo la vita sana e durissima nel digiuno e nell'astinenza, perseverando giorno e notte in preghiera e lavori e da questi ricerchiamo unicamente il necessario per vivere. Noi sopportiamo ciò poiché, non siamo del mondo: voi invece che amate il mondo, avete pace con il mondo, perché siete nel mondo. Pseudoapostoli, adulteratori della parola di Cristo, che hanno ricercato i propri interessi, hanno fatto uscire dalla retta via voi e i vostri padri. Noi e i nostri padri, generati apostoli, siamo rimasti nelle grazie del Cristo e vi resteremo fino alla fine dei secoli. Per fare una distinzione tra noi e voi, il Cristo disse: 'Dai loro frutti li riconoscerete'. I nostri frutti consistono nel seguire le vestigia di Cristo."

I Catari erano animati da uno zelo illimitato e, rifiutando i concetti cattolici di "inferno" ed "aldilà", avevano fatto proprie le dottrine che in Persia erano state diffuse da Mani, un profeta del III secolo d.C., caratterizzate, come si è detto, da un profondo dualismo.
La Chiesa di Roma considerò i Catari "adepti di Lucifero", dediti alle più nefande opere di magia nera.
È la solita musica... Non molto tempo dopo, per motivi diversi, ne faranno tragica esperienza gli stessi Templari.
Non bastò, ai Catari, neppure dichiarare, di rimando, che la Chiesa di Roma era la "Grande meretrice", la "Sinagoga di Satana", per salvarsi dall'inevitabile esercizio di potere e di forza che ben presto ne sarebbe seguito.
Al culmine di una vasta "crociata" anti-catara, nel marzo del 1244 centinaia di uomini, donne, bambini e vecchi furono arsi vivi nell'ultima roccaforte dei catari, Montsegur, nel Sud della Francia. Un generale agli ordini di Roma, poco prima della strage, aveva detto ad un suo subalterno, perplesso sul fatto che fra gli assediati potesse esserci qualche innocente: "Uccideteli tutti: Dio riconoscerà i suoi...".
Oggi c'è qualcuno che gira il mondo chiedendo "perdono" in nome di una Chiesa che ha alle spalle secoli di sangue e morte.
Il catarismo, però, non finì a Montsegur. Come ogni prodotto del libero spirito, esso si trasmise attraverso la cultura, l'arte, le leggende, la poesia. Si dice che il fenomeno stesso dell'"amor cortese" è di schietta derivazione catara. I Trovatori e le loro canzoni, le loro poesie, il loro essere dediti alla Donna, come simbolo di un misticismo e di una purezza che ci si era illusi di sopprimere, avrebbero segnato indelebilmente tutta la cultura occidentale fino ai nostri giorni.
Ai piedi del castello di Montsegur, in un luogo in cui ben difficilmente si recheranno i rappresentanti ufficiali di un pentimento tardivo, si può trovare una stele di pietra che recita:
"Ai Catari, martiri del puro amore cristiano".

assgraal@katamail.com

 

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PER UNA STORIA DELL'ERESIA MEDIEVALE (7)

GLI ERETICI "PERFETTI": I CATARI

Raniero Orioli - Medievalista - Redaz. Accademia dei Lincei

Portatore, a differenza di precedenti forme ereticali, di un’ideologia “Forte”, il Catarismo si presenta sul finire del XII secolo come movimento organicamente strutturato e dotato di una propria gerarchia e liturgia, nonché in grado di rispondere a quelle esigenze di coerenza evangelica avvertite da tempo nell’Europa medievale. Ciò spiega il consenso riscosso dal Catarismo presso la popolazione, in tutti i livelli sociali, e contemporaneamente la violenta reazione ispirata dalla Chiesa.
Nel 1167 a Saint Felix de Caraman, una località della Francia meridionale nei pressi di Tolosa, si diedero appuntamento i maggiori esponenti dell'eresia catara. Scopo della riunione era l'organizzazione del movimento attraverso la creazione di nuovi vescovi e la definizione dei confini territoriali dell'istituenda diocesi di Carcassona. Era presente «papa» Niquinta o Niceta della chiesa di Dragovitza, proveniente dai Balcani o da Bisanzio. Un episodio, questo di St. Felix, che palesa l'esistenza, nella seconda metà del XII secolo, di un'organizzazione strutturalmente definita, di rapporti e contatti con il cristianesimo e le chiese orientali, ma soprattutto - al di là delle significative conseguenze che questo «concilio» avrà nell'evoluzione dell'eresia - in stridente contrasto con il quasi assoluto silenzio delle fonti di parte cattolica.
In quel 1167, infatti, in Italia raggiungeva l'acme il contrasto tra i Comuni e il Barbarossa e nel nord si dava vita alla Lega Lombarda e l'imperatore tedesco si vedeva costretto, a causa dell'epidemia dissenterica che aveva colpito il suo esercito alle porte di Roma, a ridimensionare la progettata aspirazione di far valere la propria supremazia sul papa e sui Comuni della ricca Lombardia. Le due massime autorità del modo occidentale - il Papato e l'Impero - erano dunque troppo indaffarate a tutelare i propri interessi per rendersi conto di quale pericolo si stesse diffondendo nella cristianità. A dire il vero sin da una ventina d'anni prima il prevosto Evervino di Steinfeld aveva avvertito con preoccupata apprensione la presenza e la diffusione in Colonia di un gruppo particolare di eretici e ne aveva scritto a san Bernardo di Clairvaux. Costoro - Evervino afferma -si ritengono i veri depositari dell'insegnamento di Cristo e gli unici legittimati a chiamarsi suoi discepoli perché come Cristo e gli apostoli nulla possiedono; hanno una loro gerarchia; condannano il matrimonio e si astengono da latticini e carne, da tutto ciò insomma che è originato da un rapporto sessuale; non hanno sacramenti tranne il battesimo, che impartiscono non con l'acqua ma imponendo le mani, e tranne l'eucarestia, che consiste nello spezzare il pane recitando il Pater, unica preghiera da essi ammessa. Non solo, ma il loro credo è tale che, condannati al rogo, sopportano il martirio stoicamente e una loro giovane compagna, cui si voleva risparmiare tale fine, preferisce addirittura gettarsi spontaneamente nelle fiamme piuttosto che rinnegare la propria fede.
Evervino, poi, riferendo che gli eretici coloniesi «affermano che la loro eresia è rimasta nascosta dal tempo dei martiri fino ai nostri giorni in Grecia e in altre regioni» donde sarebbe trasmigrata in Germania, conferma quei legami con la chiesa orientale che la presenza di un «papa» Niceta a St Felix lascia intuire. Il prevosto tedesco, tuttavia, non coglie nei temi propri del movimento quella che ne è la peculiarità, l'adesione cioè ad un dualismo di tipo mitigato, riconducibile ai Bogomili della Tracia e della Macedonia, ben diverso dal dualismo radicale che a St Felix sarà predicato da Niceta e che, d'ispirazione chiaramente pauliciana, si affiancherà al primo e determinerà non poco lo sviluppo e la storia dell'eresia occidentale.
L’ideologia dei Bogomili - Ma chi erano i Bogomili e i Pauliciani? I primi derivano il loro nome da Bogomil, un prete portavoce del mondo contadino slavo contro l'opprimente tirannide dello zar Pietro ( + 969). Per Bogomil Dio è sovrano del mondo invisibile e spirituale, mentre sul mondo terreno e materiale regna Satana «il principe di questo mondo». Questi, espulso dal cielo per la sua ribellione, ottiene da Dio sette giorni, in cui riesce a dare assetto alla materia e a dar vita all'uomo che vuole suo schiavo; e questo impero di Satana sul mondo si perpetuerà mediante la lussuria accesa nel primo uomo e nella sua compagna.
Da siffatta concezione della materia, intesa quale opera diabolica, derivano diverse singolari tematiche, alcune delle quali significativamente coincidenti con quelle segnalate da Evervino per gli eretici scoperti a Colonia.
Tra esse vi è quella del battesimo insegnato da Cristo, diverso da quello acqueo del Battista, considerato messaggero di Satana; quella di Maria, angelo inviato da Dio per accogliere Cristo; l'interpretazione esclusivamente allegorica dei miracoli evangelici e del sacramento dell'eucarestia; il rifiuto della venerazione della croce, strumento della passione di Cristo; la rigida condanna dei contatti sessuali e l'astensione dai cibi carnei o comunque originati dal coito. L 'unica preghiera consentita è il Pater perché direttamente insegnata da Gesù e molteplici sono i riti iniziatici - dall'imposizione dei vangeli sul capo dell'adepto alla finale imposizione delle mani - che permettono al fedele, liberato da ogni contatto con la materia, d'essere illuminato dallo Spirito Santo. Forte era nei Bogomili il disprezzo per la chiesa ufficiale, della quale condannavano la ricchezza in stridente contrasto con la loro povertà, rifiutavano il riposo domenicale e la vita coniugale e tenevano in scarsa considerazione il lavoro, giudicandolo sintomo d'eccessivo interesse per le necessità temporali.
Da questa esaltante autocoscienza e da questo disprezzo avrebbe potuto probabilmente sortire una carica d'odio sociale; il presbitero Cosma, perlomeno, afferma che i Bogomili disprezzavano i ricchi ed esortavano i servi a ribellarsi ai padroni. Purtuttavia non possediamo testimonianze su veri e propri moti bogomili a sfondo sociale e l'affermazione di Cosma può essere solo la spia di quel timore - nella storia ereticale sempre riaffiorante - di cui risulta pervasa la letteratura polemistica; timore che farà accusare di sovvertimento sociale, d'incitamento al disordine, di attentato preordinato al potere legittimo da parte di gruppi eterodossi o comunque «diversi», in tempi e luoghi differenti, dai lebbrosi agli Ebrei, dagli eretici alle streghe.
Nel 1096 i primi crociati avevano trovato numerose comunità bogomile tranquillamente stanziate in Macedonia e s'erano affrettati a massacrarle, rendendo un non piccolo servigio all'imperatore Alessio, assai turbato dalla scoperta nella stessa Bisanzio di un fortissimo nucleo bogomilo. Nonostante i massacri, i processi, le condanne, di Bogomili si continuerà a parlare fin dopo la metà del XII secolo, quando assisteremo al progressivo avvicinamento di essi ad un'altra antica corrente ereticale, che per il pessimismo cosmogonico che la caratterizza, dovuto all'esasperazione di tematiche di deciso carattere dualistico, sembrava più adatta a spiegare e fornire un significato alle persecuzioni stesse: l'eresia pauliciana.
L’ideologia dei Pauliciani - Movimento etichettato come manicheo, derivante presumibilmente il nome da san Paolo, di cui i fedeli si ritenevano eredi e discepoli, il Paulicianesimo, ricordato per la prima volta nel 702, già nel settimo secolo era costituito da un gruppo ben definito, stanziatosi in Armenia e da qui scacciato sulle rive del Mar Nero. Caratterizzati dalla fama di valorosi combattenti, i Pauliciani si erano trovati ad agire nel pieno della lotta iconoclastica; ben accetti dai Musulmani, avevano combattuto con essi contro Bisanzio ! finche l'imperatore Basilio I ( + 886) non aveva inviato presso di loro, per intavolare trattative, il suo funzionario Pietro di Sicilia -cui dobbiamo la testimonianza più ricca su questo movimento. Dopo varie vicende si erano finalmente stanziati in Tracia.
Se il vescovo armeno Giovanni di Ozun li accusa di essere adoratori del Sole e di praticare, per l'elezione del loro capo, il rito nefando del passaggio di un neonato di mano in mano, fino alla morte del bimbo e alla nomina di colui nelle cui mani l'infante è spirato - altro topos che ritroveremo frequentissimo nelle descrizioni dei barilotti ereticali e stregonici - da Pietro di Sicilia apprendiamo invece che i Pauliciani avevano una perfetta conoscenza del Nuovo Testamento, mentre rifiutavano l'Antico, le lettere di san Pietro e l' Apocalisse. Alla base del pensiero pauliciano è il concetto della compresenza di un Dio cattivo e di un Dio buono: il primo padrone del mondo, il secondo del futuro. Da qui la negazione dell'incarnazione di Cristo, natura angelica scesa tra gli uomini passando attraverso Maria e assumendo solo in apparenza l'aspetto corporeo. Dall'odio per la materia nasceva poi consequenzialmente il rifiuto dei sacramenti e il disprezzo per la croce, strumento di tortura dell'angelo inviato da Dio.
Anche se non ci sono pervenute particolari mitologie riconducibili al pensiero dei Pauliciani è indubbio che sia essi sia i Bogomili esercitarono una notevole influenza sul pensiero eterodosso europeo. Ci troviamo, infatti, di fronte ad ideologie assai più organicamente strutturate di quelle dei movimenti evangelici e pauperistici dell'XI secolo e della prima metà del XII. Ed è dalla influenza di siffatte ideologie, variamente combinate tra loro ed arricchite di tematiche proprie del mondo occidentale, che nasce quell'eresia conosciuta come Catarismo, il cui nome si pensava derivare dal greco catharos = puro, e non è un caso Se la maggior diffusione dell’eresia catara viene registrata nella Francia meridionale, nelle Fiandre, nella Germania e nell'Italia centro-settentrionale, le zone più vive dal punto di vista culturale e dove con particolare sensibilità si avvertiva la discrepanza tra il dettato evangelico e la prassi comportamentale della gerarchia, tra l'attivismo economico tutto teso all'accumulo e alla concentrazione della ricchezza e l'invito evangelico ad un distacco da essa, La discrasia tra i due momenti veniva pertanto vissuta in modo lacerante e faceva sì che il dualismo - fosse esso di tipo moderato come quello bogomilo o radicale come il pauliciano - si potesse proporre quale ideale chiave interpretativa delle incongruità proprie della società. A questo aspetto significativo se ne aggiungeva un altro altrettanto sintomatico e rispondente alle istanze culturali proprie dell'ambiente in cui vediamo maggiormente svilupparsi il Catarismo: il rifiuto della quasi totalità del Vecchio Testamento quale espressione del Dio malvagio e del ribelle Satana e l'accettazione pressoché esclusiva del Nuovo erano scelte motivate e soprattutto sostanziate da una lettura e da una preparazione sui testi, tali da consentire ad un tempo sia di affrontare la gerarchia in aperto dibattito sia di fornire uno strumento culturalmente appagante e rispondente alle aspettative delle masse e dei singoli.
A favore di una rapida diffusione del Catarismo v'erano ulteriori elementi etici e socio-politici: il disinteresse per il mondo del lavoro e l'aperto disprezzo per le ricchezze facevan sì che i Catari non aspirassero ad assumere un ruolo egemone all'interno della società, cosicché quello che spesso sarà bollato dalla Chiesa come atteggiamento filoereticale delle classi dirigenti comunali era in realtà solo un disinteresse per un fenomeno che non mirava a sovvertimenti politici, I “buoni cristiani”, com' eran chiamati ed amavano essere chiamati i Catari, non interferivano, infatti, nella vita pubblica e a rendere ancor più appetibile il Catarismo era anche la polifunzionalità di approccio e di adesione che esso prevedeva.
Il più crudo ascetismo, fatto di disprezzo della ricchezza e di completa astensione dai rapporti sessuali, era infatti riservato ad una strettissima minoranza; a tutti gli altri credentes veniva riconosciuto un ruolo di supporto ma non per questo di scarso valore, ed in tale ruolo eran perciò lasciati liberi di avere famiglia, di lavorare e partecipare alla vita sociale senza che il loro credo interferisse. Una morale, quindi, quella catara, che dava largo spazio e concedeva ampi margini di libertà ed azione senza impedire al credente di sentirsi parte attiva del processo salvifico.
A tutti questi elementi che spiegano il successo del Catarismo se ne aggiungono altri due altrettanto essenziali e forieri di conseguenze di notevole rilevanza esterna. Di uno di essi si è già avuto sentore ricordando il concilio di St Felix de Caraman, l'esistenza cioè di una vera e propria gerarchia decisamente alternativa e contrapposta a quella cattolica; e strettamente connessa a questa l'adozione di una liturgia e di una ritualità che rendevano i fedeli pienamente partecipi, sia pure a livelli e con modalità differenziate.
La gerarchia - A capo di ogni chiesa stava il vescovo coadiuvato nelle sue funzioni da un «figlio maggiore» e un «figlio minore»; costoro costituivano la dignità episcopale in forma collegiale in quanto, oltre a funzioni di carattere amministrativo, garantivano, con la consacrazione del vescovo, la successione e la continuità ai vertici della chiesa stessa. In caso infatti di morte del vescovo, il figlio minore provvedeva alla consacrazione vescovile del figlio maggiore e questi, a sua volta, consacrava il nuovo figlio minore eletto dalla comunità.
Anche se si è a lungo fantasticato sull'esistenza di un «papa» cataro, sappiamo che al di sopra del vescovo non esisteva un'autorità atta a garantire il coordinamento delle varie chiese. E questo . fu sempre un motivo di debolezza per il Catarismo, sostanzialmente compatto nell'opposizione alla gerarchia cattolica ma diviso, anche se non lacerato, da una pluralità di «chiese».
Accanto al vescovo e ai due figli troviamo poi i diaconi, che svolgevano quelle funzioni che in ambito cattolico sono proprie del sacerdote o del parroco, ed i «perfetti». Erano, costoro, l'anima della chiesa catara. Inizialmente si distinguevano per un abito particolare, che fu ben presto ridotto ad un semplice scapolare onde evitare il riconoscimento in tempo di persecuzione. Essi costituivano il nucleo da cui venivano prescelti coloro che erano destinati alle più alte cariche ed erano accompagnati da un alone di santità e di devota ammirazione dei loro fautori. Viaggiavano generalmente in coppia e tenevano le riunioni dei fedeli di notte, nella casa di qualche adepto. Qui davano corso alloro proselitismo contraddistinto da una vera e propria gradualità pedagogica: si partiva dall'esegesi letterale dei testi evangelici, con riferimento a quei precetti di valore morale che eran particolarmente sentiti ed accessibili alle masse; si passava poi ad esaltare la necessità di dar vita ad una nuova chiesa, diversa e contrapposta a quella cattolica. Vi era infine un terzo momento, riservato a coloro ch'eran destinati a divenire perfetti» o quanto meno ad elevarsi ad un grado superiore di compromissione, in cui si introduceva il dualismo con tutta la sua mitologia. Queste diversità di approccio tuttavia rappresentavano significativi momenti di un unico processo ordinato ed ideologicamente coerente che si offriva come una rivelazione superiore e aggiunta al Nuovo Testamento, che ne era perciò, anche ed insieme, il garante» (Manselli).
La ritualità - Per comprendere il significato di tutta una ritualità, diversa e contrapposta a quella ortodossa, occorre ricordare che il Cataro, fosse egli dualista radicale o moderato, si sentiva gettato sulla terra per una colpa non sua, di cui però era partecipe e pagava di persona le conseguenze. Solo una visione sostanzialmente negativa della realtà fenomenica della quotidianità può infatti spiegare la crudezza - o crudeltà - di certi riti e l'ascetico rigorismo di certi precetti. Strettamente dipendente e connessa con una siffatta visione è senz'altro l'astensione già ricordata dai cibi carnei, cui si affianca il digiuno attuato tre giorni alla settimana e per tre quaresime all'anno (prima di Natale, di Pasqua e dopo Pentecoste). Venivano inoltre praticate la salutatio o abbraccio che credenti e perfetti si scambiavano incontrandosi, spesso accompagnato dal melioramentum, vero e proprio omaggio che il credente rivolgeva con una riverenza o un inchino al perfetto; la frazione del pane, accompagnata dalla recita del Pater, dove al “dacci oggi il nostro pane quotidiano” si sostituiva l'espressione “dacci oggi il nostro pane soprasostanziale”, con la quale s'intendeva non tanto rievocare l'Ultima Cena o procedere alla consacrazione del pane stesso ma invocare sui presenti la luce della parola divina.
Ma ciò che sacralizzava il perfetto e lo rendeva colonna portante del Catarismo era il consolamentum, vera e propria consacrazione sacerdotale. Esso era riservato ad un ristretto numero di eletti, mentre alla massa dei credenti veniva generalmente impartito soltanto in punto di morte, quando cioè l'imminente dipartita garantiva, per così dire, l'impeccabilità del “consolato”. Altrimenti chi aspirava ad essere perfetto doveva aver compiuto diciotto anni e per un periodo più o meno lungo - in genere un anno - veniva istruito per essere in grado di predicare e di confrontarsi in dibattito coi cattolici. Terminato quest'apprendistato aveva luogo il vero e proprio rito di fronte alla comunità dei fedeli e alla presenza di almeno due perfetti, con la consegna del Vangelo e la recita del Pater.
Il consolamento rappresentava tuttavia, nella perfezione, un momento di equilibrio instabile, suscettibile cioè di venire compromesso dal minimo peccato. Di qui la necessità da una parte di reiterarlo ogni qualvolta la presenza di più perfetti lo consentisse, dall'altra lo stretto legame con due altri riti conosciuti come martirium ed endura. Riservati entrambi generalmente a coloro che venivano consolati in punto di morte, il primo consisteva nel soffocamento del morente, l'altro nel digiuno totale fino alla morte per inedia. Entrambe le pratiche sottendevano una duplice motivazione: “la consapevolezza catara che solo nel dolore e nella morte poteva esserci la liberazione più completa, perfetta ed inmediata dal male” (Manselli) e la paura che un'eventuale guarigione potesse indurre nuovamente al peccato.
Una pericolosa espansione - Al di là di ogni possibile considerazione d'ordine etico non v'è dubbio che un'ideologia capace di giungere a tali estremi, di dar vita ad un movimento non più spontaneistico e velleitario ma organicamente strutturato e dotato di una propria gerarchia e liturgia, nonché in grado di rispondere a quelle esigenze di coerenza evangelica già presenti nell'XI secolo, rendono comprensibile l'ampio consenso da essa ottenuto presso un largo strato di popolazione e a tutti i livelli sociali. E se ciò spiega il successo del Catarismo, di cui troveremo testimonianze ancora dopo quasi due secoli, spiega altresì la paura, per non dire la psicosi, con cui la Chiesa visse l'esperienza catara tanto che cataro divenne progressivamente sinonimo per eccellenza di eretico: un fenomeno, quello cataro, che per il periodo compreso tra la seconda metà del mille cento e la prima metà del milledue fu in costante e pericolosa espansione e destinato a colorarsi di tematiche che avrebbero esorbitato dall'ambito religioso.
In Francia il concilio di St Felix altro non era stato che la punta di un iceberg di ben più ampie dimensioni. Alla metà del XII secolo san Bernardo di Clairvaux, strenuo assertore dell'opportunità di perseguire il recupero degli eretici attraverso la discussione ed il dibattito, riesce ad ottenere con la sua predicazione un discreto, seppur precario, successo ad Albi; ma a Verfeil nessuno lo ascolta ed un eretico gli rinfaccia apertamente la grassezza del suo mulo. A sua volta, l'abate Enrico di Marcy, parlando di Tolosa, ne fornisce un quadro a fosche tinte e preconizza che mancando gli opportuni interventi nella regione non vi sarebbe stato più alcun cattolico nel giro di tre anni. Lo stesso vale per la città di Beziers, dove il signore locale, Ruggero Il Trencavel, con tutta la sua famiglia, risulta fortemente compromesso; la moglie Adelaide tiene addirittura presso di sé Bernardo Raymond, consacrato a St Felix vescovo cataro di Tolosa, e Raimondo di Barniac, uno dei saggi cui era stato affidato il compito, sempre nel concilio di St. Felix, di definire i confini dell ' erigenda diocesi catara di Carcassona. Costoro, grazie ad un salvacondotto, possono recarsi a Tolosa; dibattere pubblicamente con Enrico di Marcy e ritornarsene incolumi presso Adelaide, senza aver peraltro rinunciato ad alcuna loro posizione dogmatica.
La situazione si stava deteriorando anche perché le adesioni, come ci dimostrano Ruggero Il e Adelaide, non si limitavano ai bassi ceti ma toccavano anche la nobiltà locale, tanto che il conte di Tolosa, Raimondo V, si vide costretto a richiedere contro i Catari l'aiuto del cognato Luigi VII di Francia e di Enrico II Plantageneto re d'Inghilterra. Ma ancora per tutta la seconda metà del XII secolo la gerarchia ortodossa sembra non dare gran peso a questa realtà e comunque preferisce un'azione di apostolato a qualcosa di più efficacemente incisivo.
La crociata albigese - La svolta vera e propria la si avrà nel 1208 con l'assassinio del legato pontificio Pietro di Castelnau. Innocenzo III, che fino ad allora aveva preferito adottare una linea morbida, fatta di missioni, d'interventi in ambito locale con la rimozione di quei prelati la cui azione risultava inefficace e la cui vita destava scandalo, adesso opta per un'azione risoluta e bandisce la crociata che prenderà il nome di albigese da Albi, anche se in questa città i Catari non eran più numerosi che altrove. Quella che nelle intenzioni del re di Francia Filippo Augusto doveva risolversi in una rapida - quaranta i giorni preventivati - spedizione punitiva, si trasformò in una vera e propria guerra di conquista ad opera di Simone di Montfort e della nobiltà francese del Nord, favorendo per contrasto la nascita del nazionalismo occitanico. Perché se vero era che molti signori locali non avevano nascosto le loro simpatie per l'eresia, ciò non significava necessariamente che tutta l'Occitania, colpita dalla crociata, fosse catara.
La prima città ad essere conquistata fu Beziers e ancora sconvolge l'esultante trionfalismo con cui i legati pontifici comunicano a Innocenzo III, conquistata la città, «poiché i nostri non guardarono a dignità o al sesso o all'età, in quasi ventimila furono passati per le armi», mettendo così tragicamente in atto il consiglio del monaco Amalrico di Clairvaux : «Ammazzateli tutti, Dio riconoscerà i suoi». La crociata, o meglio la conquista, si protrasse ben oltre la pace di Parigi del 1229 con la quale il conte di Tolosa, Raimondo VII, s'impegnava a garantire la libera lotta all'eresia nei suoi territori per altro notevolmente ridimensionati. L 'assedio di Montsegur del 1243, proclamato dopo l'assassinio ad Avignonet di due inquisitori domenicani e del loro seguito, segnò la fine del Catarismo francese. Nella rocca si erano infatti rifugiati gli autori del complotto e la resistenza che seppero opporre alle forze assedianti venne meno soltanto dopo quasi un anno. In quella occasione, guidati dal vescovo cataro Bernard Marty, salirono sul rogo ben duecento persone e la località dell'esecuzione ancora oggi evoca il ricordo di quella tragica ed eroica testimonianza: Pratz dels crematz (prato dei bruciati).
Il Catarismo non scomparve del tutto; in parte si salvò occultandosi e mimetizzandosi, in parte trasmigrò nell'Italia del centro-nord, dove diverse e di diversa natura erano state le sorti dei Catari locali. Ma nella seconda metà del milleduecento l'eresia sostanzialmente sopravvisse a se stessa, sia per una propria incapacità di rinnovamento sia soprattutto perché la Chiesa cattolica, dopo un lungo periodo di tentennamenti alternati alla più cruda violenza, seppe dotarsi di strumenti che le consentirono di confrontarsi con gli eretici sul piano ideologico e su quello comportamentale.
DAGLI ATTI DEL CONCILIO DI ST. FELIX DE CARAMAN - Nell’anno dell’incarnazione del Signore 1167, nel mese di maggio, la chiesa di Tolosa ospitò papa Niquinta nel castello di St. Félix e lì si riunì gran numero di donne e uomini di quella chiesa e di altre viciniori per ricevere il consolamentum e l’ordine episcopale da papa Niquinta, onde presiedere la chiesa di Francia; anche Sicardo Cellarius fu consolato e consacrato vescovo della chiesa di Albi; lo stesso dicasi per Marco che ricevette il consolamentum e l’ordine episcopale per la chiesa di Lombardia; Bernard Raymond fu a sua volta consolato e consacrato vescovo di Tolosa; Giraldo Mercerius ricevette il consolamentum e l’ordine che lo rese vescovo della chiesa di Carcassona e lo stesso avvenne per Raimondo de Casalis che fu consolato e creato vescovo di Aran. Dopo ciò papa Niquinta disse: “mi avete sollecitato a parlarvi delle consuetudini delle chiese primitive, se erano moderate o rigide. Vi risponderò che le sette Chiese d’Asia furono tra loro divise con confini ben definiti, ma nessuna agiva mai in contrapposizione alle altre. Ed anche le chiese di Romania, di Dragovitza, di Melenguia, di Bulgaria e di Dalmazia sono distinte e con confini ben definiti e nessuna agisce in contrapposizione o a danno delle altre; e in tal modo sono in pace tra loro. Fate così anche voi.
I LEGAMI TRA ORIENTE ED OCCIDENTE SONO COSI’ RIASSUNTI DAL DOMENICANO ANSELMO D’ALESSANDRIA - Si deve sapere che in Persia vi fu un tale chiamato Mani, che innanzitutto si domandò: “Se Dio esiste, da dove proviene il male? E se Dio non esiste, donde arriva il bene?”. Da ciò derivò e stabilì l’esistenza di due principi.
Insegnò nelle regioni di Dragovitza, della Bulgaria e di Filadelfia, e tanto l’eresia prese piede che furono istituiti tre vescovi....
Successivamente alcuni greci si recarono in Bulgaria per ragioni commerciali, e ritornati i patria elessero anche lì un vescovo, indicato come vescovo dei greci. Dei francesi poi andarono a Costantinopoli per conquistare quella regione e trovarono questa setta e moltiplicatisi elessero a loro volta un vescovo, detto vescovo dei latini. Più tardi, alcuni di Sclavonia, regione che viene detta anche Bosnia, andati a Costantinopoli per commerciare, ritornati nella loro terra si diedero a predicare, e cresciuti in numero elessero un vescovo che è detto vescovo di Sclavonia o di Bosnia. Quei francesi che si erano recati a Costantinopoli, ritornati in patria e messisi a predicare e moltiplicatisi, elessero un vescovo detto vescovo di Francia. E poiché questi furono inizialmente sedotti dai bulgari di Costantinopoli, in Francia sono conosciuti come eretici Bulgari. Lo stesso dicasi per i provenzali, che confinando coi francesi, uditane la predicazione ne furon sedotti e si moltiplicarono a tal punto da istituire quattro vescovi: a Carcassona, ad Albi, a Tolosa e ad Angen.
UN ESEMPIO DI PREDICAZIONE CATARA - Il fattore iniquo di cui si parla nel Vangelo (Luca 16, 1-8) fu il diavolo che era stato messo a capo di tutti gli angeli, per raccogliere le lodi e i salmi che gli angeli dovevano cantare a Dio. Ma egli, onde divenire simile all’Altissimo, congiurò con alcuni angeli, che mal sopportavano tali imposizioni. Ed ogni giorno frodava sui tributi dicendo: “Quanto devi al mio padrone?”. “Cento misure di grano”. Ed egli: “Prendi nota del tuo impegno e registra ottanta” e così via. Ma l’Altissimo se ne accorse e sostituitolo con Michele, lo rimosse dalla carica di fattore e lo cacciò dal cielo coi suoi complici. Allora il Diavolo bonificò la terra dalle acque e fabbricò i corpi di due uomini ma non riuscendo, per trenta anni, ad infondere in loro la vita, si appellò alla misericordia dell’altissimo chiedendogli due angeli. Si fecero subito avanti due che in cuor loro ammiravano il Diavolo e pregarono l’Altissimo di lasciarli andare con lui, dicendo che sarebbero ritornati al più presto. Dio, sapendo del loro inganno, disse:”Andate, ma fate attenzione a non addormentarvi, perché ciò facendo non potrete più ritornare e vi incamminereste nella via dell’oblio. Ma se dormirete io verrò a voi tra seimila anni”. Vennero dunque e dormirono. Dimenticatisi del cielo furono rinchiusi nei corpi. Costoro sono Adamo ed Eva. Questi spiriti trasmigrarono nei corpi di Enoc, Noè, Abramo e di tutti i patriarchi e profeti, e mai riuscirono a trovare la salvezza.....

BIBLIOGRAFIA – Per il Bogomilismo : D. Angelov, Il bogomilismo¸ un’eresia medievale in Bulgaria, Bulzoni, Roma 1979. Per il Catarismo resta ancora fondamentale il volume di Roul Manselli L’eresia del male, Napoli, Morano, 1963 (1980 2°). Senz’altro utili sono la ricca scelta di fonti offerte in traduzione da L Paolini, Eretici del medioevo. L’albero selvatico, Bologna, Patron 1989, nonché le osservazioni di G. G. Merlo i Eretici ed eresie medievali, Il Mulino, Bologna 1989.

 

 

http://www.bethelux.it/catari.htm

I Catari

Il catarismo è considerato un movimento cristiano con certe particolarità che lo distinguono dal cattolicesimo.
Vediamole in sintesi.
Per i Catari esistono due Dii, uno malvagio (Satana), falso, crudele, l'altro Buono, Santo, Giusto.
Il mondo materiale è opera del Dio malvagio, mentre il creatore di ciò che rimane in eterno, della Gerusalemme Celeste, è il Dio Buono.
I Catari erano convinti che Satana avesse scritto, o avesse influenzato a scrivere il Vecchio Testamento; per loro Abramo, come tanti, non era altro che una figura diabolica. Tutte le cose materiali che si vedono sulla terra sono vane e vengono da Satana. La terra è un luogo malvagio e tornerà nel nulla da dove è venuta.
La terra è l'inferno.
Satana ha modellato tutto dalla materia preesistente, il Dio Buono crea dal nulla.
L'uomo è fatto di corpo, anima e spirito; il corpo è stato modellato dal Dio malvagio, mentre l'anima e lo spirito sono create dal Dio Buono.
L'anima si trova nel corpo, mentre lo spirito è al di fuori e sorveglia l'anima.
Il corpo è una prigione che tiene prigioniero l'angelo messo lì da Satana.
Gesù Cristo è la salvezza. Egli rivela la verità, libera gli spiriti imprigionati ed indica la via che porta al Dio Buono.
E' sceso sulla terra attraversando 7 cieli inferiori, prendendo le sembianze degli angeli di ogni cielo, finché non è giunto sulla terra apparendo come uomo.


Gesù ha istituito il battesimo. Per i Catari il battesimo non è quello d'acqua, ma è un battesimo spirituale, che gli uomini ricevono da adulti (consolament). Con il battesimo l'anima si riunisce con lo spirito.
Solo chi ha ricevuto il consolament faceva parte della Chiesa di Dio. Questi erano chiamati Parfaits (Perfetti), mentre gli altri erano i Credenti.
L'unione per eccellenza di anima e spirito è quella di Maria Maddalena con il Cristo.
Per i Catari esisteva la reincarnazione. Le persone che non avevano ricevuto il battesimo spirituale si sarebbero reincarnate da una a 9 volte. Poi basta. Non avrebbe potuto fare più penitenza e sarebbero stati perduti per sempre. Esiste, però, un documento da cui si evince che tutte le anime si sarebbero salvate. Giacomo Antier e Guglielmo Balbaria dicevano:"Ogni creatura fatta dal Padre celeste, cioè gli spiriti e le anime, sarà salvata, e nessuno di loro perirà...Essi andranno di corpo in corpo, finché non giungano in un corpo nel quale pervengano allo stato di verità e di giustizia e vi diventino buoni cristiani".

I Catari criticavano la Chiesa Cattolica. A questa contrapponevano la loro Chiesa, che è la Chiesa di Dio, una Chiesa interiore.
Non ammettevano il battesimo d'acqua, l'eucaristia, non esisteva alcun edificio sacro; la loro Chiesa erano i fedeli in mezzo ai quali stava Gesù e vi sarebbe rimasto fino alla fine del mondo.
Per i Catari la morte del Cristo era una manifestazione satanica; la Croce era semplicemente uno strumento di tortura, la Crocifissione non aveva nulla a che fare con il divino.

Una loro preghiera recita:

Padre santo, Dio legittimo degli spiriti buoni, che non hai mai ingannato né mentito né errato, né esitato per paura della morte a discendere nel mondo del Dio straniero - perché noi non siamo del mondo né il mondo è nostro - concedi a noi di conoscere ciò che tu conosci - e di amare ciò che tu ami.
Farisei ingannatori, che state alla porta del regno e impedite di entrare a coloro che lo vorrebbero, mentre voi non volete!
Per questo prego il Padre santo degli spiriti buoni, che ha il potere di salvare le anime, e fa germogliare e fiorire per gli spiriti buoni, e per causa dei buoni dà vita ai malvagi e lo farà finché essi vadano nel mondo dei buoni.
E < lo farà > fino a quando non vi sarà più < nei > cieli inferiori, che appartengono ai sette regni, nessuno dei miei che sono caduti dal paradiso, da dove Lucifero li ha tratti con il falso pretesto che Dio non prometteva loro altro che il bene, mentre il diavolo nella sua grande falsità prometteva loro sia il male che il bene. E disse che avrebbe dato loro donne che avrebbero amato moltissimo e avrebbe dato signoria agli uni sugli altri, e che vi sarebbero stati fra loro re e conti e imperatori, e che con un uccello ne avrebbero catturato un altro e con una bestia un'altra.
tutti coloro che si fossero sottomessi a lui sarebbero discesi e avrebbero avuto il potere di fare il male e il bene come Dio in alto, e che per loro sarebbe stato molto meglio essere in basso e fare il male e il bene che essere in alto dove Dio non dava loro che il bene.
E così salirono su un cielo di vetro e, appena vi furono saliti, caddero e furono perduti.
E Dio discese dal cielo con dodici Apostoli e si adombrò in santa Maria.
Concezioni identiche già si erano riscontrate con i Paluciani e i Bogomili.

I Catari, come detto all'inizio, erano cristiani; non sono da considerare eretici, tanto che San Bernardo diceva di loro:"Nessun sermone è più cristiano dei loro e la loro morale è pura".
I Catari erano in possesso di qualcosa che poteva mettere in discussione il cattolicesimo; come poteva la Chiesa Cattolica rimanere insensibile? Anzi doveva fare di tutto per impossessarsene. Bisognava prendere una decisione, l'unica possibile era il loro sterminio. C'è da aggiungere che in quel periodo il movimento cataro era molto radicato nella Linguadoca ed era diventato ormai alternativo al cattolicesimo. Nel 1208 in Linguadoca venne assassinato uno dei legati pontifici. Papa Innocenzo III bandì allora una Crociata contro l'eresia.
Nel 1244 cadde l'ultima fortezza, Montségur.
Montségur si trova a 40 Km da Rennes-le-Château. I Catari si erano stabili nella fortezza nel 1208, dopo due anni che Raymond de Perelha, signore di Montségur, la aveva ristrutturata.
L'architettura della Fortezza di Montségur ha una particolarità: durante il solstizio d'estate, i primi raggi del sole attraversano il loggione da parte a parte. Per alcuni è un caso, per altri è la prova di un culto solare. Forse altro non è che il desiderio di essere in armonia con la natura.
Comandante della difesa era Pierre-Roger Mirepoix, ed il Conte di Tolosa Raymond VII li aiutava inviando loro viveri ed acqua. Nel mese di gennaio del 1244 due catari, Mattheus e Pierre Bonnet, lasciarono la fortezza per nascondere in una grotta il loro tesoro. Il 13 marzo dello stesso anno 3 "parfaits" Amiel Aicard, Hugo e Poiterin ed un "credente", lasciarono la fortezza, durante una tregua, mettendo in pericolo la vita di tutti gli altri, portando via qualcosa di molto prezioso per loro e legato alla "loro religione", un tesoro spirituale. Fernand Niel si chiede: ...manoscritti o il segreto di un nascondiglio di un tesoro più che materiale?
Pierre-Roger Mirepoix dichiarerà agli Inquisitori che i tre "Parfaits" erano fuggiti affinchè la Chiesa degli eretici non perdesse il suo tesoro e non perdesse neanche il tesoro nascosto nella foresta, di cui i tre "parfaits" conoscevano il nascondiglio.
Ricordo che i "Parfaits" erano quelli che avevano ricevuto il "consolament" e che appartenevano alla Chiesa di Dio. Essi si erano congiunti con il loro spirito celeste.
Pierre-Roger Mirepoix era discendente di Mérovèee Levi, signore di Mirepoix, il quale,su ordine di Bera II, aveva salvato Sigebert IV portandolo a Rennes-le-Château, quando Pépin II fece assassinare Dagobert II.
Pierre-Roger Mirepoix era molto legato alla sovranità merovingia.
I Crociati dovevano recuperare qualcosa a Montségur, ma non la trovarono mai, perchè era stata portata via quel famoso 13 marzo 1244.
Ma il loro segreto lo conoscevano anche i Templari.


http://www.lapadania.com/1998/giugno/17/17...170698p13a1.htm
Intervista con Franco Actis Alesina, studioso
cuneese di cultura occitana e indipendentista
Catari, crociata contro la libertà
«E sulla rocca di Montségur il 21 giugno si celebra il Solstizio d'estate»

di GIANLUCA SAVOINI

«Accoppateli tutti, Dio riconoscerà i suoi». L'abate e poi vescovo di Citeaux, Arnaldo Amalrico, spronò in questa maniera gli eserciti francesi al soldo della Chiesa di Roma, per farla finita, una volta per tutte, con gli eretici Albigesi (meglio noti come Catari): l'ordine venne eseguito e la cittadina di Béziers completamente distrutta, con tutti i suoi ventimila abitanti, uomini, donne, bambini, cattolici ed eretici. Negli anni tra la fine del 1100 e le seconda metà del 1200, l'Europa centro-meridionale assistette ad una particolare Crociata lanciata dai papi, non più contro i nemici secolari della Fede cattolica (musulmani ed ebrei), ma all'interno, per eliminare il vastissimo fenomeno delle eresie.Eresie che se da un lato esprimevano una "deviazione" rispetto alla Tradizione cattolica così come venne impostata nei grandi Concilii pre- medievali, dall'altro rappresentavano la reazione, anche violenta, delle popolazioni lontane da Roma e che non tolleravano la cupidigia e la sete di potere delle gerarchie ecclesiastiche, più interessate alla cura delle casse pontificie che non alla salvezza delle anime. I Catari, dunque. Chi erano e perchè furono letteralmente sterminati dal ferro e dal fuoco delle armate al servizio di Roma?Lo abbiamo chiesto a Franco Actis Alesina, studioso cuneese appassionato di cultura occitana. Prima, però, vogliamo ricordare un interessante scritto del prof. Aldo Alessandro Mola ("I Catari in Cuneo", Provincia Granda n. 3, dicembre 1966), dove l'autore ricorda che la "Crociata contro gli Albigesi" fu quella in cui «i grandi feudatari liquidano la ricca e colta classe dirigente delle regioni meridionali della Francia». «Si verifica così un movimento di Catari verso la pianura padana, attraverso le valli del Piemonte Sud - scrive Mola- . Questi, che da tempo avevano imbastito una rete di collegamenti con la Padania italiana, attraverso i valichi, tentano un'ultima carta, assalendo il collegio inquisitoriale di Avignonet e sterminandolo». La Padania (come giustamente la definì il Mola già 32 anni fa) e i Catari contro Roma. E Roma contro la Padania e contro il Graal, simbolo sacro per la cultura celto-germanica, che travalica il significato datogli dal Cristianesimo, come vedremo in seguito.Ma chiediamo subito ad Actis Alesina il perchè dl suo interesse per il mondo cataro.«Amo viaggiare per il territorio della Linguadoca francese - risponde Actis - e tempo fa, in quella zona, mi sono imbattuto in notizie su Cuneo».Cosa c'entra Cuneo con la Linguadoca?«Una cosa curiosa, non è vero? Ho scoperto così che la mia città è stato il punto di riferimento degli esuli occitani in fuga dalla persecuzione dell'Inquisizione romana, i quali, dopo aver attraversato le Alpi, hanno puntato su Cuneo, dove evidentemente godevano di appoggi locali, di "coperture". Tra la zona che comprende Montpellier, Carcassonne e Toulouse e il Cuneese ci sono evidenti similitudini».Ce ne indica qualcuna?«Come sono distribuite le chiese costruite tra il 1200 e il 1300, ad esempio. In Linguadoca furono costruite per convertire i Catari, dalla mie parti per rinforzare la presenza del clero di Roma in queste terre di cultura assai lontana da quella mediterranea. E le rocche, disseminate un po' ovunque, anche se sul versante francese sono conservate meglio. Se guardiamo la planimetria della rocca di Queribus o di Montségur, noteremo la somiglianza con quelle del Cuneese, a Peveragno , Vernante, ed altre ancora. Questo filo rosso che ci unisce mi ha spinto perciò ad approfondire l'argomento dei Catari, sempre negativizzato dalla storiografia ufficiale».Parliamo un po' di loro.«Li hanno chiamati in tanti modi: Albigesi, Patarini, Catari. Ma è stata la Chiesa romana a definirli in questi modi, con odio. Perché questi cristiani volevano seguire i dettàmi delle Sacre Scritture senza l'intermediazione dei preti. Questo, per i vescovoni, era un affronto imperdonabile. Quelle comunità invece si autodefinivano semplicemente Veri Cristiani. Al clero dava fastidio la critica che si era sviluppata nei confronti degli abati che reggevano le varie contee della Linguadoca e del Cuneese. Secondo i Veri Cristiani, le gerarchie cattoliche predicavano bene e razzolavano male. Perché allora, si chiedevano, dobbiamo conferirvi delle Decime, riconoscervi come superiori? Meglio tenercele, utilizzarle per finanziare le attività sul nostro territorio e applicare direttamente la Parola del Signore».Ieri come oggi, il potere di Roma succhia sangue e denaro ai popoli del Nord per ingrassare i propri gerarchi. Storia vecchia.«Una storia che si ripete, infatti. Alla Chiesa andò di traverso il desiderio di queste popolazioni di non pagare più le Decime, i tributi di allora. Nel 1240 gli abitanti di Vicoforte Mondovì vennero scomunicati dal vescovo di Asti perchè non solo non rispettavano il potere temporale e spirituale della Chiesa, ma si erano appropriati delle cascine e dei castelli di proprietà del vescovado, si tenevano le Decime, gridavano insomma il loro "Via da Roma".La stessa fondazione di Cuneo va studiata con attenzione».Perché?«C'è da chiedersi per quale motivo un gruppo di persone deve abbandonare i comuni dell'abbazia di Pedona, o di Caraglio, del Marchesato di Saluzzo, per rifugiarsi sul picco di Cuneo e fondare una nuova città. La leggenda dice che fu per protestare contro lo ius primae noctis del Marchese di Caraglio. In realtà sembra che quelle genti cercassero di creare un comune libero dal giogo di Roma. E i Catari francesi definirono Cuneo la piastra girevole per le loro comunità, una località assai favorevole ad ospitare e a smistare gli esuli perseguitati».Oggi i Catari esistono ancora?«Esistono dei gruppi che studiano e simpatizzano molto per loro. Ad esempio Spiritualitè Cathare, il Centre d'Etudes Chatare di Carcassonne. Contattando i responsabili, ho saputo che parecchie loro pubblicazioni parlano del Cuneese. Vedremo perciò di approfondire ulteriormente l'argomento, per riscoprire anche le nostre radici culturali ed identitarie».Uno dei luoghi simbolici dell'epopea catara è il castello di Montségur, sui Pirenei francesi. Lassù, dopo un lungo assedio, vennero sterminati gli ultimi resistenti ed ancora oggi c'è chi si reca a visitare quelle rovine, specialmente per celebrare il Solstizio d'Estate. Otto Rahn parlò di "Crociata contro il Graal", interpretando una leggenda che parlava dei Catari come gli ultimi custodi della Sacra Coppa. Che ne pensa, Actis?«Domani partirò proprio per Montségur, dove, insieme ad altri numerosi appassionati e cultori dell'era catara, attenderemo l'alba del 21 giugno, l'inizio dell'estate. È una tradizione, quella di trascorrere la notte del solstizio sul prato dei Bruciati, dove vennero messi al rogo gli ultimi Veri Cristiani. Il mondo celtico si dà appuntamento su quella rocca per ricordare e scambiarsi informazioni. Non so se lassù qualcuno abbia custodito il Graal. Ma l'atmosfera sacrale che si respira è intrisa di magia».

 

http://www.librando.net/dev/projects/read....?pid=1&docid=14

Narrativa : Eresia pura. Dissidenza e sterminio dei catari raccontati da un testimone di Adriano Petta - Stampa

L'ho comprato istigata da un ottimo articolo comparso su "Alias", inserto del sabato di manifesto, che lo presentava come una sorta di miracolo capitato a una casa editrice piccola e battagliera come Stampa Alternativa, che ha esaurito in poco tempo la prima yiratura di 2500 copie e ha ristampato in tutta fretta il titolo: non male per una casa editrice più che piccola. Adriano Petta è uno scrittore, ma prima ancora si definisce un tecnico. Inciampando per caso nel personaggio di Giordano Nemorario ha cercato di scoprire qualcosa di più su questo precorritore di Leonardo da Vinci, primo studioso di algebra europeo con Leonardo Fibonacci e
ingegnere. Nel farlo è inciampato anche nella storia degli eretici catari o albigesi, prima popolazione cristiana a cadere vittima di una crociata. Ora, se avete più o meno la mia età forse vi ricorderete di "La bambina con il falcone" uno dei più bei libri di Bianca Pitzorno, autrice per l'infanzia tra le più brave al mondo, in cui la bambinaia semifolle era stata in tenera età vittima di questa stessa crociata degli albigesi. Trascinata quindi da una recensione più che favorevole e da questa curiosità per gli albigesi (o catari che dir si voglia) ho affrontato il testo. La storia, tanto per non spoilerare troppo, ruota attorno alla figura di Giordano Nemoraro, oscuro scienziato dei cosiddetti "secoli bui", tempi in cui la Chiesa impegnava tutte le sue forze nel tentativo di impedire e domare lo svilupparsi di una cultura scientifica e filosofica indipendente e laica. Giordano entra presto in contatto con gli albigesi, allorquando è costretto a lasciare il nativo lago di Nemi e cercare rifugio a Béziers in Occitania, detta "il covo del diavolo" per la pacifica convivenza che si era instaurata tra le varie confessioni presenti e per la relativa libertà di cui godeva il popolo. I catari erano eretici che professavano il manicheismo, il rifiuto del mondo e della carne ma anche dotati di una grande aspirazione alla cultura. La loro dottrina era simile a quella dei protestanti e come loro diffondevano la lettura individuale delle Sacre Scritture. Il movimento eretico si
fuse rapidamente con i movimenti nazionalistici occitani, mentre la Francia aveva cominciato il processo di unificazione che l'avrebbe portata ad essere uno dei primi stati nazionali d'Europa. La parte storica è nota, la Chiesa di Roma promosse una crociata contro i catari, provocando lo sterminio di decine di migliaia di persone, crociata a cui aderì con ovvio entusiasmo il re di Francia. Béziers fu
distrutta al grido, ormai proverbiale, di "Uccideteli tutti e Dio riconoscerà i suoi", di seguito verranno devastate Carcassonne e le altre roccaforti catare. Alla fine i catari si rifugeranno nella rocca di Montségur, che cadrà nel 1244 e il 16 marzo di quell'anno gli ultimi albigesi moriranno sul rogo: 215 persone uccise in una volta. Giordano Nemoraro entra ed esce da questa storia, cambiando più volte identità e residenza, fino alla fine dell'utopia catara a Montségur. Lo farà inseguendo un ideale di libertà (la libertà e non le
libertà, dirà più volte nel suo racconto in prima persona) e dei manoscritti (peraltro realmente esistenti) che riportano dati importantissimi sulla stampa e sulla produzione di carta, fondamentali per la diffusione dei libri a prezzi più accettabili, e sull'uso delle lettere arabe dotate di "zefiro", lo zero che con la numerazione in base dieci è alla base della moderna matematica. Diciamolo subito, "Eresia pura" mi ha lasciata un po' interdetta. Non che non mi sia piaciuto, ma probabilmente mi sarebbe piaciuto molto di più se non fosse uscito dopo "Q", che in definitiva tratta più o meno degli stessi argomenti ma lo fa con una forza d'impatto straordinaria. I parallelismi tra i due testi sono numerosissimi: il costante viaggiare di Giordano Nemoraro e il suo cambiare spesso
d'identità e nome, il suo partecipare, ma sempre da una posizione un po' esterna, quasi utilitaristica, alla lotta albigese (per Giordano Nemoraro con una finalità culturale, per il protagonista di "Q" con una finalità più politica) paiono imitare il romanzo di Luther Blissett-Wu Ming; e non si può non ripensare alle scene della caduta di Frankenhausen leggendo del massacro di Béziers, non si può non ripensare ai mesi di Münster leggendo della resistenza disperata e affamata di Montségur, non si può non ripensare
agli anabattisti colti, pacifici e per niente sessuofobici di Eloi leggendo dei colti, pacifici ed estremamente sessuofobici catari. Ma "Eresia pura", forse per la sua scrittura più farragginosa non riesce a essere tanto potente quanto "Q". Mentre i quattro Luther Blissett scelsero di rendere (forse un po' anacronisticamente ma molto efficacemente) il parlare dei loro personaggi in termini moderni, Petta sceglie di adottare per il suo racconto in prima persona uno stile piuttosto fiorito e dotato di una patina di arcaismo che lo rende decisamente meno fruibile. Inoltre, in almeno tre casi, l'autore opta per inserire lunghe parentesi storiche che, se da un lato sono preziose per la comprensione degli accadimenti, dall'altro risultano letture un po' noiose, soprattutto per la loro indiscutibile lunghezza. Per finire ho trovato lievemente fastidioso, in un personaggio che rappresenta la modernità e la razionalità il ricordo così
frequente a sogni, allucinazioni, visioni per spiegare intuizioni e deduzioni di Nemorario. Eppure nel complesso il libro è stato una lettura piacevole, svolta in poche ore (in fondo si tratta di trecento pagine di piccolo formato) e che mi ha lasciato un segno. Recentemente mi capitava di riflettere con un amico che la vera forza della narrativa è quella di poter raccontare storie che, in maniera molto diversa dalla saggistica, lasciano questa impronta persistente e creano delle curiosità, che magari più tardi potranno essere del tutto soddisfatte con la giusta dose di saggi. In questo senso, "Eresia pura" è comunque un libro da leggere con grande
attenzione e, perché no, con piacere. Forse se fosse uscito solo quattro anni fa lo avrei celebrato come un capolavoro.

Ah! Giusto per togliere ogni possibile confusione, non credo proprio che "Eresia pura" sia stato copiato da "Q", per il semplice motivo che il lungo lavoro di ricerca svolto da Petta doveva essere già avanzato quando uscì il romanzo di Luther Blissett.


Bianca Pitzorno, "La bambina con il falcone, Salani, 14.000
Luther Blissett, "Q", Einaudi, 26.000 o scaricabile
gratuitamente da www.wumingfoundation.com

 

Gabriele Zanella

ITINERARI ERETICALI: PATARI E CATARI TRA RIMINI E VERONA
ad Antonio Samaritani
ed Adriano Franceschini

Rimini
Il 2 ottobre 1185 papa Lucio III minaccia con una bolla al vescovo ed a tutto il clero di Rimini entro trenta giorni l'interdetto alla città se non si pone rimedio ad un fatto grave: il podestà, infatti, aveva tralasciato di giurare, all'inizio del suo mandato, di osservare e di far osservare gli statuti contro gli eretici. È giunta anzi notizia al pontefice che i capi dei 'patarini', precedentemente espulsi, siano per la massima parte rientrati ora in città.
È questa la prima testimonianza documentaria sull'eresia in Romagna , anche se bisogna riconoscere che non riusciamo a capire esattamente di quale genere di eresia si tratti; sospettiamo - ma non di più - che si volesse colpire i nemici della parte ecclesiastica, sia per la denominazione adoperata ('patarino' doveva ormai significare semplicemente ogni oppositore del pontefice o del clero, dopo la risonanza delle vicende milanesi), sia soprattutto perché il papa si lamenta anche - e sembra preminentemente - perché molti rifiutano di pagare le decime ecclesiastiche, e perché l'usura, si dice, è diffusa a tal punto che quasi tutti vi si esercitano, e tutti indistintamente sono presi dall'avidità di lucrare . Non era una situazione generalizzata. Le città circostanti, anzi, esigevano quel giuramento, sempre a detta del pontefice. Da quella omissione derivavano in Rimini tutte le colpe successive, che per essere più esecrabili non cessano dell'essere conseguenza di quella mancanza iniziale. Qualcuno addirittura si sente giustificato ad andare oltre: tenta per via di disposizioni testamentarie di distrarre in usus pravos et illicitos le proprietà delle chiese. Tocca dunque al vescovo a lanciare l'anatema contro gli eretici ed i loro ricettatori e fautori, pubblicamente, pulsatis campanis et accensis candelis, e ad ammonire il podestà e tutti i cittadini a non disprezzare la pazienza divina. Si impegni dunque il presule su entrambi i fronti contemporaneamente, nell'espulsione degli eretici e nella correzione degli eccessi dei cittadini.
Sembra quindi che, almeno per il momento, Lucio III, che si è appena incontrato a Verona col Barbarossa, veda l'eresia come pericolo per i privilegi ecclesiastici, come agente incrinatore dei rapporti esistenti. Rilevo come il rimedio suggerito in questo caso specifico sia la sola espulsione, il che evidenzia come l'atteggiamento antiereticale non sia sostanzialmente diverso nella fattispecie da quello che si deve avere nei riguardi di un ladro, o di un assassino, o - perché no? – un'alluvione: rimossa la causa della perturbazione si rientrerà nella norma. Si rifletta che l'allontanamento dalla città dell'eretico sembra sufficiente, e che ciò sia comprensibile solamente se si pensa che la manifestazione ereticale sia un fatto del tutto eccezionale, in fondo casuale. Il papa interviene infatti esattamente là dove si manifesta il bubbone, è tutto rivolto alla cura immediata, non alla prevenzione, evidentemente perché lo si giudica di origine 'esterna'. O contingente. Se allontanare l'eretico rimuove la causa di turbamenti, ciò significa che non si tratta di eresia 'tecnica', a spiccato carattere dottrinale, perché altrimenti l'eretico recherebbe danno anche altrove. Se invece si pensa che altrove non farà danno, ciò vuol dire che la sua 'eresia' si alimenta localmente, cioè da un contrasto con enti o persone ecclesiastiche ben individuate. Basta non voler pagare le decime alla mensa vescovile, per fare un esempio qui ad alta percentuale di probabilità .
Il carattere che l'eresia assume come elemento perturbatore dei tradizionali e consolidati rapporti fra mondo civile ed ecclesiastico a Rimini risulta più evidente - pur nell'indecisione generale sulla normativa da adottare da parte dell'imperatore - dal diploma che Enrico VI indirizza alla città nel 1196, con il quale impone di abolire gli statuti comunali che non ammettevano il diritto di dirimere le cause in cui fossero interessati vescovo e clero e, contemporaneamente, di nuovo, ammoniscono a cacciare gli eretici . Se ciò testimonia da un lato il persistere dei contrasti con il comune su questa materia , dall'altro conferma che ai vertici del 'sistema' politico l'argomento 'eresia' sia utilizzato - in negativo - per la legittimazione, o la difesa, del concetto stesso di autorità, laica od ecclesiastica che sia, poiché si considera sempre «nil esse salubrius, nil utilius quam inter regnum et sacerdotium pacem solidam et inconcussam stabiliri» . Ma in definitiva chiarisce, e questo più ci interessa qui, che l'intervento del papa o dell'imperatore non è in sintonia con le differenti situazioni locali, e soprattutto nel mondo comunale dell'Italia settentrionale, proprio perché, paradossalmente, pur intervenendo volta a volta per occasioni contingenti, particolari, si informa ad una interpretazione generale del fenomeno specifico che mira, tutto sommato, ad altro che la pace sociale o religiosa: ad un ristabilimento delle prerogative dell'autorità universale sul piano politico-culturale. Che non era esattamente quello che stava a cuore alle città della Valle Padana, preoccupate su tutt'altro piano di omogeneizzare quanto più possibile, ma sempre in un ambito limitato, le diverse aspirazioni degli strati urbani. Se «comune, commune, comunum vuol dire sempre tutti» , vuol dire necessariamente tutti i cittadini, una cosa cioè profondamente diversa dall'armonia totalizzante di regnum et sacerdotium. Il corto circuito trova nel tema ereticale analoghi motivi di alimentazione. Se si intende d'altronde che eresia significa esattamente solo contestazione religiosa , si può facilmente fraintendere. Intanto non mi pare che così semplicemente si possa inferire dalla documentazione; ma poi il problema reale, quando si è elaborata una normativa, è quello della sua applicabilità. Papa ed imperatore ammoniscono a cacciare gli eretici perché essi costituiscono un pericolo per il dialogo tra regnum e sacerdotium, mentre i cittadini colgono ogni occasione per affrancarsi da qualsiasi tutela ecclesiastica; eretico è dunque per gli uni chi attenta al rapporto esistente, o dato per esistente, mentre per gli altri è chi favorisce in una qualche maniera un chiarimento delle rispettive sfere d'azione. Insomma: non possiamo sapere se si tratta di eretici perché eretici, o di eretici perché contestatori delle immunità ecclesiastiche. A meno che non si voglia intendere l'ambiguità stessa del termine. Che, a questo punto, è quanto mi pare più corretto .
Le cose sembrano chiarirsi - o complicarsi? - quando la solidarietà all'interno della stessa pars ecclesie appare incrinata: Innocenzo III scrive infatti nell'aprile 1204 all'abbate ed ai monaci di San Giuliano ed agli altri chierici riminesi affinché osservino la sentenza di scomunica per gli eretici ed interdetto pronunciata dal vescovo della città. Il papa proibisce che siano ammessi alla frequentazione delle cose sacre ed alla sepoltura in luogo consacrato, in deroga ai diversi loro privilegi, propter immanitatem huius sceleris, perseguito etiam dalle leges civiles. Il vescovo for|impopolese è chiamato a garantire l'osservanza della disposizione . L'intervento contro gli eretici si definisce così sul duplice piano, civile ed ecclesiastico, ma sembra anche differenziarsi nelle motivazioni. Al pontefice sta maggiormente a cuore la coesione interna di tutta la sfera ecclesiastica, e lo conferma anche il ricorso alla garanzia di un vescovo non cittadino. Ne consegue che l'eresia è vista adesso non più come pericolo in fondo esterno, ma pullulante dalle stesse mancanze degli ecclesiastici. Interpretazione per nulla messa in forse dalla constatazione che fra vescovado e San Giuliano esistevano forti continui contrasti per motivi quali la ripartizione delle offerte dei fedeli , la quale piuttosto addita il carattere strumentale, ancora, dell'eresia. In più, se Lucio III aveva indicato in Rimini un'eccezione, ora Innocenzo III scopre che il male si va diffondendo intorno: egli scrive il 6 marzo1206 al podestà e consiglio della non lontana Faenza perché espellano dalla città e dal distretto poveri di Lione o patarini o comunque prendano nome, e non vi siano più accolti se non ritornano all'obbedienza della chiesa; i loro beni, in assenza di eredi di fede cattolica, siano confiscati e venduti, le case distrutte od assegnate alla chiesa. Analogamente a quanto adottato per Rimini, gli abbati bolognesi di San Procolo e Santo Stefano erano già stati incaricati dal pontefice di vigilare, ed eventualmente di costringere, affinché si obbedisse . L'invito dovette tuttavia essere ripetuto il 2 dicembre, e di nuovo il 5 gennaio 1207 il papa si trovò costretto ad occuparsi di Faenza, perché aveva saputo di un certo Ottone, riconosciuto eretico dal vescovo, sepolto tuttavia nel cimitero di Sant'Ippolito: ordina dunque all'abbate ed ai monaci di seppellirlo altrove, e gli stessi prelati bolognesi ne siano i garanti . È la prima volta che si fa cenno apertamente ad un gruppo ereticale definito, ma non è improbabile che il pontefice riferisca qui una lista di eretici che sa attivi altrove, genericamente.
Le cose, comunque, stanno mutando. Nel 1184 avevamo incontrato un podestà molto tiepido nei confronti degli eretici; nel 1227 troviamo un podestà forse troppo zelante. Nell'intervallo si collocano contrasti fra comune e clero, e le narrazioni delle leggendarie predicazioni di sant'Antonio e di sant'Aldebrando, che vanno adoperate con grande circospezione ; si può accettare, al massimo, che l'opera dei due non sortisse alcun effetto positivo, e che in seguito, nelle tarde leggende dei due santi, ai 'patarini' fosse addossata ogni responsabilità delle discordie cittadine . Ma nel 1227 si tratta di fatti: il 27 febbraio Onorio III indirizza una lettera al podestà e comune di Rimini perché rimedino all'ingiuria recata al podestà Inghiramo da Magreta, modenese. Questi aveva catturato alcune donne, hereticas manifestas, e le aveva consegnate all'imperatore perché fossero bruciate, come voleva far inserire le recenti costituzioni imperiali contro gli eretici nello statutario della città: ma i parenti delle donne, Arimino di Bonfiletto e Boccadiferro, insieme ad altri cittadini si erano opposti recisamente, ed il podestà per poco non ci aveva rimesso la pelle . Come intendere questo episodio? Nel quadro dei contrasti fra ghibellinismo e guelfismo? No, perché se in passato spesso si è letto ghibellino = eretico , e se si ritiene 'indubbio' quel legame , rimane l'«utilizzazione strumentale dell'eresia da parte dei ghibellini» , e che «basta scorrere la Storia di Rimini per vedere che le contese fra Comune e Chiesa avvennero, e non meno frequentemente, anche quando la fazione ghibellina, vinta e dispersa, era stata sopraffatta da quella guelfa, e quando i Patarini, perseguitati, non ebbero più alcuna efficacia nelle cose cittadine» . E poi, a tagliar la testa al toro, qui si tratta del podestà di parte imperiale, come quasi sempre a Rimini. Ancora una volta penso che si debba credere alla recisa volontà di difendere a tutti i costi l'autonomia cittadina, anche se questo lascia molte zone d'ombra.
Da questo momento in poi le notizie sugli eretici riminesi si diradano bruscamente. Rimangono, in fonti tarde, la distruzione a furor di popolo del 'vicus pataraniae' dopo il 1254 , ma l'episodio è troppo oscuro per trarne qualche informazione utile; il cenno ad un processo nel 1284 . Ritroveremo Rimini come una delle mete dei pellegrinaggi di Armanno Pungilupo, in data imprecisata attorno alla metà del secolo. Per quanto riguarda la lotta anticlericale qualche labile segno: un inquisitore fino al 1258, due nel 1259 , la costituzione di un tribunale laico in appoggio all'inquisitore nel 1299 . Poi il silenzio.
Alcune brevissime considerazioni parzialmente conclusive. In primo luogo nessuna delle fonti adopera il termine 'cataro', ma tutte esclusivamente, e fino a Pungilupo, quello di 'patarino'. Nessun segno che si tratti effettivamente di catari. Il numero delle adesioni pare modesto, e del tutto episodici gli interventi repressivi. Eppure i documenti imperiali e papali , e la letteratura specifica indistintamente parlano della città come ricettacolo di eretici. Ne viene che o bisogna ammettere che 'patarino' significa 'cataro', e macroscopica allora deve essere la perdita di documentazione, oppure che siamo di fronte ad una forte mistificazione storiografica, che è stata mascherata dall'enfatizzazione di una attività terroristica generalizzata in tema d'eresia. Confesserò apertamente la mia propensione ad accettare l'ultima possibilità. Ma una discussione a questo punto si impone.
Senza tener conto di eccessive preoccupazioni di sistematizzare filosoficamente la storia dell'eresia medievale , del tutto superate, come è stato riconosciuto da tempo unanimemente , e senza occuparci in maniera diretta dei 'precedenti' , perché non ci compete, vediamo di riconsiderare la questione del nome degli eretici negli ambiti cronologici e spaziali che ci interessano in riferimento a 'patarino'. «'Patarino' era usato non solo nel suo significato tecnico a definire coloro che negavano la validità dei sacramenti amministrati da preti indegni, ma anche come termine generico per designare tutti coloro che per la loro convinzione fanatica sulla povertà apostolica e la purezza della chiesa si avvicinano all'eresia». Così il Larner in riferimento ai fatti di Faenza del 1206 . 'Patarino' significa senza dubbio 'cataro', per il Dupré . È certo che gli esempi riportati da quest'ultimo, tratti dagli atti dell'inquisizione bolognese della fine del Duecento, sono per lo più calzanti. Ma è ugualmente certo che non sono tutti quelli che si possono portare. Non ho dubbi che verso la metà del Duecento l'identificazione di 'patarino' con 'cataro' sia corrente. Ma è così anche prima? Vediamo innanzi tutto una scelta di testimonianze di provenienza papale od imperiale:

1179 - Concilio Lateranense III
«... quia in Gasconia Albigesio et partibus Tolosanis et aliis locis, ita haereticorum, quos alii Catharos, alii Patrinos, alii Publicanos, alii aliis nominibus vocant...»
1184 - Decretale Ad abolendam di Lucio III:
« ... omnem haeresim, quocunque nomine censeatur, per huius constitutionis seriem auctoritate apostolica condemnamus. Imprimis ergo Catharos et Patarinos et eos, qui se Humiliatos vel Pauperes de Lugduno falso nomine mentiuntur, Passaginos, Iosephinos, Arnaldistas...»
1206 - Lettera di Innocenzo III ai Faentini:

«... haereticos qui vocantur pauperes de Lugduno, vel etiam Patareni, vel alios cuiuscumque sectae, schismaticos, qui vobis fuerunt nominati...»

1210 - Costituzione di Ottone IV contro gli eretici ferraresi:

«... omnes ereticos...: patarenos sive Caçaros, vel quocumque alio nomine censentur... »

1232 - Costituzione di Federico II:

«... Catharos, Patarenos, Speronistas, Leonistas, Arnaldistas, Circumcisos et omnes hereticos utriusque sexus, quocumque nomine censeantur...»

Soprattutto quest'ultima, diretta genericamente - si noti - contra Patarenos, mostra che 'patarino' è una delle tante denominazioni di eretico, probabilmente la più usuale. È evidente ad ogni modo, a quel livello, il disinteresse per l'identificazione delle correnti eterodosse, comunque riassunte nel quocumque nomine conseantur.
Se ci rivolgiamo, sempre trascegliendo naturalmente, ai polemisti antiereticali, a coloro cioè che più di ogni altro si sforzano di comprendere gli ambiti delle sette:

1163 ca. Ecberto di Schönau : dice esclusivamente: catari
1190 ca. Bonaccorso : dice esclusivamente: catari
1214 ca. De heresi catarorum : dice esclusivamente: catari
1240-45 Pietro Martire (?) : dice indifferentemente: catari o patarini
1250 ca. Raniero Sacconi : dice indifferentemente: catari o patarini
1250 ca. Disputatio : dice esplicitamente: manicheos qui pathareni vocantur.

Non nasconderemo che si potrebbero replicare i rimandi quasi ad infinitum, e che non v'è dubbio che molti di quei rimandi non consentirebbero di intendere il significato con sicurezza. Son convinto comunque che l'uso generalizzato di 'patarino' rimandasse fin verso la metà del secolo al disobbediente ai mandata ecclesie, senza che fossero decisamente chiari, per nessuno, i termini specifici di quella disobbedienza. In seguito 'patarino', che già significava latamente 'eretico', indicò l'eretico più noto, vale a dire il cataro. Estremamente significativo il fatto che l'ultimo dei polemisti, Anselmo d'Alessandria , parli esclusivamente, di nuovo, di 'catari', e che il De officio inquisitionis , agli inizi del secolo successivo, adoperi solamente il termine 'eretico'. Il cerchio si è richiuso, e l'uso di 'patarino', che ormai poteva solo ingenerare confusione, è abbandonato per designare il cataro, l'eretico per eccellenza.
Se le cose stanno così, Rimini risulta molto meno 'catara' di quanto non si sia fino ad oggi inteso .

Ravenna

Nulla ci risulta circa l'eresia. Sappiamo solamente dell'inserimento negli statuti, alla metà del Duecento, del giuramento che deve prestare il podestà di osservare e far osservare le costituzioni di Federico II riguardo agli eretici .

Argenta

È forse questa la terra que dicitur Argentea dove Marco, il primo vescovo cataro 'italiano', venne catturato ed incarcerato . Niente di più.

Ferrara

Scrive Giraldo Cambrense attorno al 1197:

Apud Ferarium in Italia hiis nostris diebus hostia in die pasche in portiunculam carnis conversa fuit; ad quod episcopo loci illius vocato et sermone ab ipso facto, cives urbis illius, qui fere omnes Paterini fuerant et male de corpore Christi sentiebant, ad veritatem sunt riversi .

L'allusione è al miracolo eucaristico verificatosi in Santa Maria in Vado, che la tradizione locale data con estrema precisione al 28 marzo 1171 . Se è un'evidente iperbole che quasi tutti i Ferraresi fossero allora eretici, deve rispondere a verità che le dispute eucaristiche fossero nella città particolarmente vivaci. È chiaro qui che 'patarino' non significa affatto 'cataro' , ma è ugualmente certo che il male de corpore Christi sentire ritornerà poi frequentemente, attribuito ai catari, sia negli statuti cittadini sia negli atti inquisitoriali , e fino ai primi anni del Trecento; costituisce quindi un precedente di importanza tutta particolare.
Pure nel periodo del vescovato di Uguccione da Pisa (1190-1210) particolarmente dibattuti furono i problemi relativi a questioni eucaristiche ed alla validità delle ordinazioni sacerdotali di coloro che, da maritati, si erano scoperti in unione con coniugi eretici, che si intrecciarono con il tema dell'eresia. Tanto che il vescovo sollecitò ed ottenne un chiarimento da parte di Innocenzo III; ne sortì un interessantissimo scambio epistolare . In questo quadro l'uso di 'patarino' appare quindi più che giustificato e comprensibile.
Nulla ci autorizza a pensare che qualche cosa fosse mutata nel marzo 1210, quando Ottone IV a Ferrara promulga il suo editto contro gli eretici della città, prescrivendo la confisca e la vendita dei loro beni, la distruzione delle case di loro proprietà od in cui erano stati accolti o si erano comunque radunati. L'osservanza delle disposizioni imperiali spettava soprattutto al podestà ed ai consoli . Va osservato tuttavia che l'atto di Ottone - si ricordi ancora 'aspirante all'Impero' e minacciato di scomunica - si comprende meglio se si tien conto del suo estremo bisogno in quel preciso momento di godere e dimostrare capacità di instaurare una generale pacificazione, .
argomento per lui particolarmente delicato. Del giorno successivo, infatti, è anche la riconciliazione a Ferrara tra le due fazioni, Estensi e Torelli, da lui voluta e patrocinata .
Manca in seguito per quasi mezzo secolo ogni notizia su eretici a Ferrara. Fino allo scoppio della vicenda più clamorosa, documentata, ricca di informazioni, citata del catarismo italiano: il 'caso' Pungilupo, su cui nuova luce viene da documenti fino ad oggi sconosciuti.
Il 13 dicembre 1247 si festeggiava a Roncodigà, a poca distanza da Ferrara, la festa della titolare della chiesa, santa Lucia . Venne come devoto pellegrino anche un certo Armanno, soprannominato Pungilupo, che in quella occasione volle riverentemente fare la sua confessione generale al sacerdote Giovanni, dal quale ebbe l'assoluzione e la penitenza relativa ai suoi peccati . Armanno si confessava regolarmente a Ferrara presso Rainaldo, priore di San Nicolò fin dal 1244 , Ma quel pio credente di lì a qualche anno entra a far parte della schiera degli eretici , viene quasi subito identificato come tale, citato dagli inquisitori in Lombardia e Marca Genovese Aldobrandino, priore dei Predicatori di Ferrara, ed Egidio, ferrarese, dello stesso ordine . Armanno, abitante nella contrada di San Paolo, si presenta, ammette la sua colpa ed abiura , Confessa all'inquisitore di aver adorato e fatta riverenza all'eretico consolato Martino di Campitello, come erano soliti fare i credenti eretici, ed a qualche altro, di cui non ricorda il nome, nella casa che un tempo fu di Claribaldino . Ammette anche di aver detto qualche volta: «Come sono stupidi questi sacerdoti che credono di poter chiudere Dio nella pisside», ma si schernisce di averlo detto per scherzo . Frate Aldobrandino doveva aver usato la tortura, ed Armanno confidò a Tancredi, altro credente eretico, che lo odiava per questo fatto e perché era un 'lupo rapace' .
Ma l'abiura non era stata sincera : nel 1258 a Mantova il vescovo eretico della setta di Bagnolo, Giovanni, di Casaloldo, chiede notizia di Armanno, che dice suo intimo amico, all'eretico Alberto Graziani . Il Dondaine, seguito dal Borst, identifica, pur con qualche lieve dubbio, questo vescovo con l'Hamundus citato da Anselmo d'Alessandria . In quello stesso anno a Ferrara Armanno è assiduo alla bottega dell'eretico padre di Manfredino notaio, egli pure credens, e sono con lui talvolta Gerardino di Alfero, Clemente di Voghenza, Maniapane de Scaiolis. L'eretico tiene in mano i Vangeli e li spiega e cita autorità eretiche, mentre accusa i ministri della chiesa che perseguitano i 'veri cristiani'. Annuisce Armanno quando sente chiamare oves gli eretici e lupi rapaces i ministri della chiesa ; ma si confessa e comunica più volte, soprattutto per Natale e Pasqua, da Bonaventura, cappellano vescovile, tra quello stesso 1258 ed il 1261 . Un simile comportamento sembra poter esser inteso solamente come simulazione, oppure come dimostrazione di straordinaria ingenuità.
Armanno frequenta sempre di più gli eretici, che ormai veniamo a conoscere in maggior numero. Nel 1259 circa Gabriele de Tabula, eretico e figlio d'eretica, vede Pungilupo portare un pane benedetto a sua madre, Trevisina, che era credens, così come facevano altri eretici, soprattutto per Natale e per Pasqua . Nel 1260 chiede ad Alberto Graziani, che sa eretico, di salutargli il bagnolese Martino di Campitello , al quale nel 1254 aveva confessato di aver fatto riverenza. Nel 1261 fa un viaggio a Vicenza, in compagnia dell'incolpevole Bonaventura di San Giorgio di Verona, e là visita più volte la casa dell'eretico Francesco, nella contrada di San Pietro. A lui Pungilupo fa una gran riverenza, gli si genuflette di fronte e gli rivolge questo saluto: «Benedicite, bene, bene, bone christiane». Francesco lo solleva amorevolmente e gli dimostra grande affetto. Armanno istruisce Bonavenura a far lo stesso, e quello lo fa senza capirci gran ché. Sono presenti la moglie di Francesco, che nel 1285 è già morta, ed il figlio, che poi sarà catturato come eretico e che ugualmente risulta già morto nel 1285, Spetia e Bonaventura vedova di Aldregheto, della stessa contrada, Michele fu Pulzato, di contrada Pusterla, Albertino e sua moglie Leonarda, della contrada di San Pietro, ed una tal Vincenza, che nel 1285 risulta defunta. Visitano insieme molte case di eretici ed ogni volta ripetono quel rituale della riverenza, della genuflessione, del saluto. Una volta mangiano tutti insieme in casa di Francesco e poi digiunano .
L'anno successivo Armanno è di nuovo a confessarsi a San Nicolò, multum devote et reverenter, almeno sembrava . Tra il 1265 e 1267 va a Verona per visitare da eretico l'eretica Garienda, madre di Rengarda di Verona, che era solita accogliere gli eretici, e vi si trattiene . Là mangia e beve per due giorni e due notti e conversa con Garienda della fede e dei fatti degli eretici, nomina i poveri di Lione ed altre sette. Una volta tutti e tre insieme vanno a far visita ad altri eretici nella casa che un tempo fu di Beliarda, e vi trovano molti eretici di entrambi i sessi, e parlano familiarmente ed a lungo. In quei giorni viene a casa di Garienda il vescovo eretico Bonaventura Belasmanza, e Pungilupo e Garienda gli parlano a lungo in privato. Stranamente, Armanno non fece riverenza al vescovo .

A questo punto dobbiamo interrompere. Ci imbattiamo in un importante personaggio, che richiede ora qualche precisazione. Belasmanza di Verona, della chiesa eretica di Desenzano o albanese, fu vescovo per circa quarant'anni, ci dice Anselmo d'Alessandria . Poiché il suo episcopato iniziò attorno al 1210, stando a Raniero Sacconi , Si arriva al massimo al 1250, o giù di lì. Tra 1260 e 1270 Dondaine e Borst pongono il vescovato di Bonaventura della Torre di Verona. Fra Belasmanza e Bonaventura (1250-1260 circa) entrambi pongono Giovanni, de Lugio (Luglio, Luyo) Dondaine e Manselli , de Luzano Borst . Nell'edizione muratoriana degli atti pungilupiani si legge, a col. 130, nella testimonianza di Rengarda di Verona, che abbiamo appena sunteggiato, Bonaventura Belasmagra. Commentava il Dondaine .

Rengarda de Vérone déposa devant le tribunal de l'inquisition de Ferrare, au cours du procès posthume d'Armanno Punzilupo, le 25 avril 1285, que dix-huit ans auparavant, donc en 1267, elle avait vu dans sa propre maison Armanno s'entretenir avec l'évêque des hérétiques Bonaventura Belasmagra. Il semble bien que ce Bonaventure doive-t-être identifié à Bonaventure della Torre; les dates sont là pour le suggérer, mais le nom de Belasmagra embrouille les cartes. Serait-ce un surnom de Bonaventure della Torre? Ou bien une confusion avec Belesmanza? Mais à cette date ce dernier devait être défunt depuis dix ou quinze ans! Et il ne porte pas ce nom de Bonaventure dans les quatre sources citées plus haut à son propos. Comme nous ne possédons plus les originaux du procès d'Armanno nous ne somme même pas assurés de la forme authentique de la déposition de Rengarda.

Ora tutto il discorso è inficiato dalla constatazione che il Muratori lesse male. Nell'autografo del Prisciano è scritto infatti: Belãsmaça. Muratori lesse g al posto di ç, ed integrò con una r dopo la ç, dove evidentemente si tratta di una comunissima n prima della ç. Ma allora la cronologia, diversamente da quel che credeva il Dondaine, si complica ulteriormente.
La testimonianza di Rengarda (1285), riportata due volte nel libello d'accusa a Pungilupo, data l'incontro di Verona una prima volta modo sunt X et octo anni vel XX anni vel id circa, l'altra modo sunt XVIII anni vel circa. È evidente per me che la seconda riassume la prima, e la forma più succinta diviene erronea. Il Dondaine prendeva per buona solo la seconda, e datava quindi l'incontro al 1267, ma invece è da intendere elasticamente il periodo 1265-1267. Ora se questo Bonaventura Belasmanza è lo stesso Bonaventura della Torre, il suo vescovato si estenderebbe, nel migliore dei casi, per circa sessant'anni: 1210-1270! Ma Anselmo d'Alessandria, che scriveva appunto intorno al 1270, dice che il vescovato di Belasmanza durò circa quarant'anni, e, soprattutto, che dopo lui vennero Giovanni e Bonaventura, il qual ultimo nunc habent. D'altra parte il nome Bonaventura non è mai legato nelle fonti a Belasmanza,
come osserva giustamente il Dondaine, ma neppure il nome Belasmanza è mai legato a quello di Bonaventura della Torre. Che abbia fatto confusione la teste? - si chiede ancora Dondaine. È ben difficile, perché Belasmanza «devait être défunt depuis dix ou quinte ans!». Che questo Belasmagra potesse essere non diverso da Bonaventura della Torre pensò anche il Cipolla , ma tendeva ad escluderlo il Borst, perché l'uno era bagnolese, l'altro albanese . Ma il nome Belasmanza risalta fuori addirittura nel 1290, nella condanna di Uberto a Tabula Maiori, colpevole di aver frequentato, appunto, Belasmanza. Quando? Stando all'interpretazione che Dondaine e Borst diedero dei relativi passi di Raniero Sacconi e di Anselmo d'Alessandria al più tardi nel 1250, «locché è poco probabile» . Concludo per mio conto adattando un giudizio del Cipolla : Belasmanza è uno dei tanti soprannomi in uso fra gli eretici, e mettendo in guardia una prima volta nei riguardi delle 'gerarchie' catare del Dondaine e del Borst, su cui dovrò tornare.

Riprendiamo a seguire Pungilupo. Nel 1265 vien visto dall'eretico Bonmercato fare riverenza ad un altro eretico . Altra volta Bonmercato con Oldeberto, Bertramino ed Alberto, tutti credentes, sono in una casa con due eretici e Pungilupo passa da quelle parti. Lo chiamano; entra e mostra grande amicizia a tutti i presenti, ad uno fa riverenza, e quando gli altri se ne vanno rimane con i due a consolare uno degli eretici che è ammalato . Spesso a Bonmercato, nel 1266 circa, loda gli eretici, che dice esser i soli boni hamines, unici a mostrare con il loro esempio di vita la via della salvezza . Castellano lo vede conversare familiarmente con l'eretico Giovanni bergamasco e con Bonsavere sotto il portico della casa della donna, e quando entrano Pungilupo e la donna adorano e fanno riverenza a Giovanni . Eppure, nel 1266/67 si confessa più volte dal cappellano vescovile Zambono, anzi egli avrebbe voluto confessarsi dal vescovo medesimo, ma quello era impedito. Allora, devote ac reverenter, si genuflette di fronte al cappellano e dimostra tanta contrizione, si scopre il capo, e si accusa dei propri peccati, a partire da quando era fanciullo, e lo fa più volte, quindi chiede la penitenza, ed il sacerdote, che lo vede tristis e vere contritus, lo assolve e gli assegna la giusta penitenza .
Nel maggio 1266 Armanno riceve il consolamentum a Verona, in casa di Spata di Verona, dove stava Bergongio, dalle mani di Guglielmo di Borgogna e di Martino Darinda di Verona, e con lui sono consolati Mezagonella di Verona e sua suocera Azolina. Questo stando alla testimonianza, estremamente precisa, di Costanza da Bergamo . Invece Albertino, che era stato filius maior nella setta, ricordava che era stato press'a poco nel 1267, quando Armanno era venuto per visitare uno fuggito dal carcere. Il consolamento fu dato in domo catharorum, che Bergongio, ancora nel 1273, teneva a disposizione degli eretici, e ad imporre le mani furono Alberto, vescovo della setta, Michele, filius maior, e lo stesso Albertino, che era anche visitator della setta in Lombardia. In quella occasione gli chiesero se aveva accettato qualche penitenza dai lupi rapaci che perseguitano la bonam gentem, vale a dire da qualche frate predicatore o minore, o da qualsiasi altro sacerdote della chiesa romana, ed egli negò; allora lo assolsero dal giuramento di obbedienza fatto a frate Aldobrandino .

Qui dobbiamo interromperci di nuovo. Torniamo a leggere Dondaine, il quale, nella successione vescovile bagnolese, all'Hamundus/lohannes di Casaloldo, di cui abbiamo detto, fa seguire, sulla base della nostra stessa fonte, ed esclusivamente su quella, Alberto (1267), Albertino (Michele, Ferrarese?) (1267-1273), Michele (1273) . Di nuovo la lettura diretta della fonte chiarisce e complica insieme. Primo: Costanza da Bergamo data il consolamento con assoluta precisione: maggio 1266; Albertino dice invece: 1267 o circa allora. Sarà da credere alla prima. Secondo: Albertino e Michele sono sicuramente la stessa persona, come indica esplicitamente il rinvio a Michele tredicesimo teste , numero che è segnato nel manoscritto accanto alla testimonianza di Albertino, che una volta è detto anche chiaramente Albertinus Michael. Ma nel 1273 Albertino è detto qui fuit hereticus, e Michele qui est filius maior. Pensa il Dondaine che nel 1267 il primo fosse filius maior ed il secondo filius minor del vescovo Alberto, e che nel 1273 il primo si fosse convertito ed il secondo al suo posto divenuto filius maior, sempre di Alberto. Però Michele (non Albertino Michele) è detto invece in un altro punto della nostra fonte: «qui erat fiulius maior in ipsa secta », anzi si osserva: «verisimile enim est quod ambo fuerint de eadem secta » . Il passaggio repentino dal tempo passato al presente è sempre frequentissimo nel libello, vedi ad esempio Bonmercato che ricorda Pungilupo dire: «quod erat malus homo et quod boni homines sunt solum heretici», riferendosi sempre a contemporanei. Allora c'erano due filii maiores! Ma questo non è ammissibile nella 'gerarchia'! Ci vuole cautela... ci vuole cautela...

Torniamo ad Armanno. Parlando con Bonmercato presso l'episcopio dice di essere in pessimi rapporti con frate Stefanino dei Predicatori, che è malus homo, e che boni homines sono solo gli eretici, e chi segue la loro via, che è l'unica per la salvezza. Spesso gli fa discorsi del genere e lo esorta a star saldo nella fede . Un giorno Castellano vede Pietro de Romaninis chiedere a Pungilupo se vuole vedere un patarino. Quello accetta con entusiasmo, ma l'eretico non era in casa e se ne devono andare senza averlo visto . Si reca perciò a visitare in carcere Martino di Campitello, vecchio eretico, e dice a Ferrarino che è un bonus homo, e che se avesse a sua disposizione qualche altro bonus homo non consentirebbe che lo si bruciasse, né lui né altri; poi lo accompagna piangendo al rogo sulla riva del fiume , e mentre arde commenta che bruciano un santo padre .
Passa per Ferrara Lanfranco di Monte Clero, eretico consolato, e conduce Pungilupo a casa di Venaria, credens, e lo presenta come un vero amico nostre gentis, che gli eretici di Verona tengono in considerazione, e dice che Armanno lo ospita in casa sua, lo mantiene e lo accompagna per la città. Poi è Armanno che porta a casa di Venaria altri eretici, fra cui Elica, che presenta come bona mulier, ed alla quale fa riverenza. Elica dice a Venaria che Pungilupo è un buon amico, indicatole dagli eretici come buono e leale, che l'accompagna per la città nelle sue necessità e che l'accoglie nella sua casa . Eppure, Armanno si confessa più volte e sempre devote et reverenter da Raniero, cappellano vescovile .
Nel 1268 Lanfranco di Monte Clero e Pungilupo visitano in contrada di San Silvestro la casa delle eretiche Maria e Gisla, che vorrebbero fosse dato il consolamentum ad una loro serva, di nome Maria. Mandano a chiamare Venaria, ed i due uomini insieme impongono le mani, reggendo il libro, alla maniera degli eretici. Venaria si sorprende, perché credeva che Armanno fosse soltanto credens, e le vien detto che invece fu consolato a Verona, alla presenza di molti eretici .
Poco prima che Pungilupo muoia, viene catturato un eretico di nome Giovanni, che si fa chiamare Cristiano, e Manfredino, mandato da suo padre, va a visitarlo frequentemente nel carcere dell'episcopio, e lo prega di non accusare il proprio padre e di stare saldo nella fede. Spesso viene anche Pungilupo. Anche quando l'eretico è dato in mano al podestà e passa nel carcere del comune, spesso Armanno lo va a visitare . Manfredino lo sente di frequente parlare di argomenti sospetti , e Iacoba, che accoglie eretici in casa e va da Manfredino a prendere cibo per gli eretici, dice che è amico loro e quando si reca a casa sua Armanno le dà un bianco pane per quei bonis viris, e qualche volta anche dei fichi .
Per la quaresima del 1269 Pungilupo si confessa più di dodici volte da Alberto, cappellano del vescovo, che porta anche a casa sua perché confessi sua moglie quando è malata . Nell'ottobre/novembre si confessa da Gandolfo, altro cappellano del vescovo ed il 13 dicembre - ancora santa Lucia, di cui Armanno doveva essere devoto - da Benvenuto a San Nicolò . Muore il 16. Subito la notizia si sparge per tutta la città, ed accorre una gran folla . Vengono a vedere la salma, che è stata portata in cattedrale, anche gli eretici Castellano, Oldeberto e Bonomo. Quando il primo mormora con disprezzo che era peggio di una bestia, Oldoberto lo mette in guardia, perché, gli rivela, era stato consolato con sua moglie . Vengono da Bergamo molti, e fra loro anche gli eretici e sono ospitati in casa di Grazio da Bergamo che abita a Ferrara. Uno degli eretici si finge muto e poi miracolato per intercessione di Armanno . Perché infatti sono cominciati i miracoli.
Il 20 dicembre Nova è miracolata da un tumore all'occhio . Il 21 depone Gisla, che è stata guarita di un braccio anchilosato , Marchesina, che era zoppa ; il 28 Adelasia, che ci vedeva male ; il 29 Marinello, che si dice miracolato il 24 dalla gotta ; il 4 gennaio Tomasina, liberata il giorno di Natale da una fistola , ed Angelo, dalla gotta ; il 5 Daniela, zoppa, e Giovanna, paralizzata ; il 18 Benvenuto, miracolato di un'ulcerazione pochi giorni dopo la morte di Armanno . La fama di questi prodigi arriva fino a Verona, e Spera, che era stata al servizio della marchesa d'Este e che è tenuta prigioniera in quella città dall'inquisitore, si lamenta perché per troppo breve periodo è stata in quella penitenza, perché fatta bona christiana da quel Pungilupo che da morto fa miracoli, e sale intrepida al rogo. Sempre a Verona, Garienda confida a Filosofia che Armanno era stato povero di Lione, ed alla fine era stato consolato . A Ferrara Corradino, che lavora in fornace, rivela a Iacobino di esser patarino, e racconta che una volta i Predicatori volevano prenderlo, ma era riuscito a fuggire a nuoto oltre il Po, e che anche Pungilupo era patarino . Continuano i miracoli: il 15 Bona depone di esser stata liberata di due tumori ; il 18 è la volta di Dolce, contratta , e di Bartolo, paralizzato al braccio destro ; il 25 Pietro, impedito al braccio sinistro ; il 30 Bona, zoppa; il 31 Nicola, feritosi alla mano sinistra ; e poi Zardina, impedita alla mano destra ed il 4 febbraio Persenda, paralitica ; il 21 Domenico, liberato dal carcere in Istria . Il 9 maggio Sofia, offesa negli occhi ; il 17 Bonaventura, liberata da nove demoni , Alisia da due , Rolandino, da una mezza paralisi , Si costruisce una cappella ed il corpo viene riposto in un lussuoso antico sarcofago, che si diceva provenire da Ravenna, nel quale aveva riposato l'imperatore Teodosio. Gli ex-voto si fanno numerosissimi .

 

SECONDA PARTE

A questo punto si muove l'inquisitore. Interroga prima di tutto i due confratelli Predicatori; il primo, frate Albizo, racconta che una volta, insieme ad un altro frate, accompagnava un cataro al rogo, e Pungilupo li seguiva, ed ora si accostava all'uno ora all'altro dicendo: «Questi sono demoni, sono lupi rapaci che fanno bruciare i boni homines». Spesso poi lo vedeva inginocchiarsi in piazza ed altrove al passaggio dei frati e maledire: «Che Dio non mi perdoni se io gli perdonerò frate Aldobrandino, lupo rapace e figlio del demonio che uccide i boni homines» . Il secondo, frate Arasino bergamasco, dice il 7 giugno che quando era nel convento ferrarese aveva visto molti credentes, che non andavano mai in chiesa, recarsi a visitare il corpo di Pungilupo, portando ex-voto e gloriandosi che uno dei loro fosse stato fatto santo . Quando fu a Bergamo, chiese ad un mercante che veniva da Venezia le novità, e quello gli raccontò che un santo si era manifestato a Ferrara, ma che la cosa non era gradita ai Predicatori ed ai Minori, perché era sospetto di eresia . Il 5 luglio Beatrice testimonia di aver sentito dire da una sua vicina che Pungilupo le aveva chiesto più volte di accompagnarlo alla predicazione dei patarini . Duragia, che depone il 27, aveva sentito da molti che Pungilupo era stato credens ; poco dopo la morte di Armanno udì da un suo vicino che il giorno di Pasqua era solito prendere un grosso pane ed un fiascone di vino, darlo a molti da mangiare e bere, e quando erano finiti commentava: «Che cosa dicono questi lupi rapaci che il corpo di Cristo non può essere consumato: ecco che noi abbiamo divorato un pane tanto grosso ed un fiascone di vino» , Il magister Aprile lo confermò , L'8 agosto Ferrarino parlò dei rapporti di Pungilupo con Martino di Campitello ; l'11 Trevisina ammise di aver avuto uno zio cataro, con il quale aveva abitato per cinque anni, e che anche Bonese, vedova di Bonincontro, allora frequentava i catari, ma non credeva che lo facesse ancora. Disse che Pungilupo portava allo zio il pane benedetto dei catari ed era presente alle predicazioni , Il 31 ottobre Iacobino di Cesso dice che Pungilupo era patarino . Il 4 novembre Tebaldino, frate di penitenza, riferisce che molti sostenevano che Pungilupo era credens e che diceva cose contrarie alla fede cattolica , Il 25 Zunta, ex-eretico, sostiene che l'eretico Arrivabene, quando era tenuto in carcere a Ferrara, mandò Pungilupo a chiedere la restituzione di denaro che gli apparteneva . Il 28 Enrico, officiale dell'inquisizione, testimonia che correntemente si pensava che Pungilupo fosse credens. Aveva sentito dire che credeva cose erronee a proposito del corpo di Cristo. Quando lo incontrò in piazza minacciò di imprigionarlo, ma Pungilupo gli chiese qual'era la sua fede al riguardo, e udita la sua risposta promise di voler credere nello stesso modo . Bonfadino, dei Predicatori, testimonia che prima di entrare nell'ordine conobbe Armanno, e che lo si credeva credens , e dopo che fu nell'ordine spesso lo udì dire che anche se il corpo di Cristo fosse stato tanto grande come una montagna lo si sarebbe già consumato . Non voleva poi adorare verso Oriente, cioè nella direzione verso cui adoravano i chierici, ma verso Occidente , e quando vedeva qualche frate predicatore o minore si inginocchiava e diceva: «Ecco i demoni, ecco i lupi rapaci» . Dopo i Predicatori, anche un Minore venne interrogato. Il primo dicembre il francescano Riccobaldo riferisce che quando era nel secolo era vicino di Pungilupo e che lo si pensava credens . Il 9 dello stesso mese Menabò Parvo, che era stato credens e ricettatore di eretici, dice che Pungilupo fu credens, e che aveva sentito dire tra gli eretici che era stato dei loro per vent'anni . Il giorno successivo Albertino Sogarius testimonia che Martino di Campitello gli aveva detto di esser venuto a Ferrara per Pungilupo, che considerava il miglior cristiano della città . L'11 Giovanni, ministro di penitenza, dice che una volta incontrò Pungilupo in contrada di San Paolo, che gli disse di venire da Rimini, dove erano molte case di patarini che sapeva riconoscere per certi segni, ma non volle aggiungere altro . Parlava male degli ecclesiastici e sosteneva che quando uno è dedito ai credentes non lo si può più distogliere . Era opinione comune tra gli eretici che fosse credens ed amico loro . Il 12 depone Grazio da Bergamo . Il medesimo giorno Tancredi, ex-credens, testimonia che quando fu preso da frate Aldobrandino Armanno diceva che lo odiava .
Frate Aldobrandino probabilmente ritiene di averne abbastanza: ingiunge di esumare il corpo di Armanno e di gettarlo fuori dalla chiesa; ma il capitolo non obbedisce e l'inquisitore scomunica i canonici ed interdice la cattedrale . I sacerdoti del capitolo reagiscono preparando una deposizione di sacerdoti ferraresi attestanti l'ortodossia di Armanno, stesa il 28 aprile 1272 e si appellano a Gregorio X, il quale affida la cosa al cardinal Giovanni, futuro Niccolò III . La protesta del capitolo ebbe un primo, parziale successo: Giovanni scrive ad Aldobrandino di sospendere la scomunica e l'interdetto, e l'inquisitore obbedisce con atto del 4 giugno .
Aldobrandino allora si deve render conto di non aver raccolto prove a sufficienza, ed intensifica le sue indagini. I1 primo dicembre interroga Modenese, altro frate di penitenza, il quale dice che Maniapane de Scaiolis, Gerardino di Alfero, Tancredi di San Vitale e Pungilupo erano amici e frequentavano la casa di Marchesina, dove si incontravano gli eretici, ed erano tutti credentes, ma non sa se lo siano ancora . Il 5 luglio 1273 il giudice Iacobino sostiene che Pungilupo era stato credens, perché andava in chiesa di rado, non si consigliava con qualche sapiente ecclesiastico, parlava male dei chierici; aveva sentito dire che accoglieva in casa sua dei malfattori e si preparava a ricevere eretici consolati, dai quali aveva molti regali . Aveva anche sentito dire da molti che Pungilupo visitava spesso gli eretici della Romagna e soprattutto di Rimini, e che poco prima della morte aveva avuto contatti anche con un vescovo eretico . Fin'ora, però, l'inquisitore dispone di testimonianze troppo generiche. Un mese più tardi, il 3 agosto, la deposizione dell'ex-eretico Albertino Michele, che riferisce del consolamentum veronese, rivela che padre e madre di Armanno erano stati catari ugualmente, e che spesso Pungilupo e sua moglie l'avevano accolto in casa loro, come accoglievano per loro stessa ammissione altri eretici , inchioda Pungilupo. Il 22 marzo del 1274 Costanza da Bergamo fornisce precisa conferma della deposizione di Albertino . Il 5 aprile Bengepare, che fu credens, dice di aver udito i catari burlarsi di quelli della chiesa romana perché avevano fatto santo uno di loro ; il 6 Gavino di Satta, altro ex-eretico, dice che gli eretici erano soliti dire che Pungilupo era uno dei loro . Il 24 giugno Daniele riferisce che a Ferrara si diceva che Armanno era credens, ed aveva sentito perfino suo nipote, Bonaventura Papardo , e da molti altri, dire che non era nella fede .
Frate Aldobrandino ritiene di aver raccolto ormai materiale a sufficienza e smette d'indagare. Nel 1276 muore papa Gregorio, ma il successore Nicolò non è convinto, e lascia irrisolta la questione. Quando c'è la cattura degli eretici di Sirmione (1276), Aldobrandino scrive all'inquisitore veronese per sapere se è venuto fuori qualche cosa sul conto di Pungilupo, ma non riesce ad avere notizie precise . Nel 1284 frate Florio, succeduto ad Aldobrandino , riprende con energia e puntiglio ad investigare. Il 4 ottobre ottiene la deposizione di Filosofia , ed il 29 novembre quella di Venarla , che diviene la testimonianza più rilevante nelle sue mani, ed il 30 gennaio 1285 quella di Manfredino , il 7 febbraio di Gabriele , Aimolino e Modenese , il 25 aprile di Rengarda , il 26 di Nicolò , il 27 di Simone , il 12 ottobre di Bonaventura . Quello è l'anno in cui il frate ripropone il dossier Pungilupo ad Onorio IV.
Rispondono i canonici della cattedrale facendo riscrivere il 4 ottobre 1286 le deposizioni dei miracolati del 1269 e 1270, e quella dei sacerdoti ferraresi del 1272 . La morte di papa Onorio nel 1287 aggiorna la discussione sul caso.
Frate Florio continua a darsi da fare: raccoglie il 6 maggio 1288 la deposizione di Castellano , il 28 quella di Iacoba , il 16 luglio di Alberto Graziani , il 28 di Iacobino .
Con Bonifacio VIII la questione viene affrontata con maggiore sollecitudine. Agli inizi del 1300 il pontefice ingiunge, per mezzo del vescovo ferrarese Federico, ai canonici di presentarsi alla curia romana. Il 6 aprile Bonfamilio, procuratore del capitolo, chiede udienza, ma non è ammesso alla presenza del papa. Fa allora redigere una protesta scritta, e lascia il giorno 15 un suo procuratore, ed un eventuale sostituto, con un memoriale . L'esame della questione è affidato al cardinal Giovanni di San Nicola. Il 13 gennaio 1301 viene inviata a frate Guido inquisitore una lettera perché si consigli anche con Giovanni, vescovo di Bologna, e frate Ramberto. Avuto il consiglio di sapienti, frate Guido emana il 22 marzo la sentenza di condanna, ed il 23 ingiunge l'obbedienza della medesima al podestà ferrarese . Di notte si procede alla riesumazione dei resti di Pungilupo, alla loro cremazione e dispersione delle ceneri nel fiume . Il popolo che apprende la cosa il giorno seguente tumultua. Ma la faccenda è definitivamente chiusa. Il nome di Armanno Pungilupo ritornerà fuori a Ferrara solo un'altra volta, quando, il 29 luglio 1301, frate Guido vende ai frati di penitenza una casa in contrada di San Romano, che era appartenuta ad Armanno ed a Ugobono, padre di Bonaventura Papardo; la vendita è per un prezzo basso, in considerazione del fatto che già i penitenti ne detenevano l'uso e per la destinazione dei redditi, vale a dire per opere pie . In seguito non si parla più di Armanno, detto Pungilupo.

Questa lunghissima vicenda è estremamente significativa, non certamente solo per l'ambiente ferrarese, ma per tutta la Valle Padana. Rivelatrice di molti aspetti dell'eresia, è molto maggiormente indicativa delle ragioni che guidano il modo di procedere al riguardo.
L'eresia di Armanno appare alle prime indagini estremamente labile. Accuse generiche, quando non risibili, permettono niente più di un sospetto. Ma il battage sui miracoli del sant'uomo impone all'inquisitore un'attenzione puntigliosa e continua. Si trattava oltre tutto di persona conosciutissima in città, tanto è vero che la notizia della sua morte si era diffusa in un lampo. I canonici ferraresi che esibiscono la santità di Armanno fanno il tentativo di appropriarsi della tutela sul comune sentimento e manifestazione religiosa, che è monopolio sotto l'aspetto della ortodossia - ma non solo per quello: riguarda la tutela tout court – dell'inquisitore, e ne mettono in discussione la stessa legittimazione, che l'inquisitore dà per scontata. Addirittura i buoni sacerdoti finiscono col proporre con Pungilupo un modello di vita cristiana indipendente da una qualsiasi collocazione gerarchica, tutto fondato sull'esercizio delle buone opere, sull'assistenza a malati e carcerati, e su di una lettura ingenua del sacro testo, che se non fa riferimento ad alcun versetto - manca totalmente un solo rimando testuale - tenta di coglierne solo lo spirito più immediato ed emozionale, e proprio in base a questi paradigmi piuttosto che rifiutare alcuni dogmi si dimostra sospettoso nei confronti di certi principi di difficile comprensione, quale quello della transustanziazione. Ed è un modello che si diffonde in maniera impressionante: i miracolati provengono di lontano, dalla Romagna all'Istria, da Brescello a Bergamo. Ma l'inquisitore a questo non è preparato. Sa solamente che l'eretico si comporta come gli dicono che si comporta i manuali: appartiene ad una setta ereticale, sostiene certi errori dottrinali. Così la sua preoccupazione è quella di esemplificare il manuale : trova i principi dottrinali, non importa se pochi ed a ben vedere alquanto confusi, trova soprattutto la testimonianza che l'eretico faceva parte di una setta, e poi sceglie egli stesso la setta, ma a caricare la dose mostra l'eretico in contatto o addirittura credente di altre sette, che pure i polemisti dicevano in contrasto vivace fra loro, ma ciò di nuovo importa poco. Quel che vivamente interessa non è esibire un modello di coerenza, ma anzi un modello di eretico, che per essere tale deve essere incoerente, e deve essere in contrapposizione alla chiesa cattolica. Allora l'accusa più ricorrente dovrà essere quella di parlare male degli uomini di chiesa. A tale scopo, frate Florio procede in questo modo: raduna per schede le deposizioni raccolte da lui e dal predecessore, le numera progressivamente, quindi delinea uno schema di tesi d'accusa e lo svolge per capitoli. Procede quindi alla dimostrazione delle singole preposizioni estrapolando dalle schede parte o tutt'intera la singola deposizione, ed articola il discorso inquadrando con un breve riassunto finale di raccordo ogni capitoletto . Ne risulta un quadro organico e consequenziale della vicenda ereticale di Pungilupo, almeno ad una lettura superficiale. L'esemplificazione del manuale è perfetta, e l'eresia di Pungilupo esemplare ed incontrovertibile . I canonici ferraresi, ingenuamente, non si rendono conto dell'entità della partita, affatto. Al modo di procedere scaltrito di frate Florio e di frate Guido non sanno opporre che l'autentica notarile, ripresentata semplicemente più volte, dei miracoli, che nella loro somma, unita alle attestazioni di ortodossia di Armanno del clero ferrarese, anch'esse ripresentate, paiono loro sufficienti. In fondo vogliono solo approfittare dei proventi dei prodigi all'altare di quell'uomo, commenta Salimbene . La questione è ben altra: quell'uomo parlava di boni homines e di bona opera e di boni christiani , non proclama la bontà dell'ordinamento gerarchico della chiesa, anzi soprattutto i frati mendicanti - che propongono proprio una gerarchia centralizzata - lo trovano astioso nei loro confronti. Il clero locale si mostra disposto ad ammettere una certa pluralità di manifestazioni di religiosità e di pietà, come dimostra il suo favore per l'ordo penitentium e per il culto 'spontaneo' di certi santi , L'inquisitore invece non prevede alternative, perché è il 'sistema' che non lo prevede , Quello che egli vede messo in forse, in definitiva, è in realtà l'autorità stessa del magistero, e questa va riaffermata. Il pericolo ereticale è il pericolo che sia incrinata la razionalizzazione del potere decisionale. Di qui l'invenzione del processo come strumento terribile e rassicurante ad un tempo . Lo stesso ricorso all'autorità del pontefice lo dice con tutta evidenza. Siamo quindi ad un livello ben diverso dai semplici contrasti fra clero locale e ordini mendicanti , così come ben diversamente vanno intesi i moti popolari contro le decisioni degli inquisitori, che non sono solamente l'insofferenza emozionale per le prepotenze altrui, ma, consciamente o no non importa, la registrazione della non ammissibilità di comportamento alternativi . Riflettiamo attentamente. È sicuramente vero quanto dice, sulla scorta del Legendre, Paolini : «Nel sistema totalizzante il ribelle, l'eretico, non trova spazio; e la scomunica è l'arma per mettere chiaramente in mostra e isolare i nemici del sistema. Lo scomunicato non è un perseguitato, ma piuttosto un ribelle, un folle, un vitandus, pericoloso per la collettività». Siamo assolutamente d'accordo. Ma prima bisogna classificare l'eretico . L'inquisitore sostiene che Pungilupo è un dissenziente, il clero ferrarese che è un ortodosso. Il pontefice è chiamato a decidere. Per circa trent'anni la questione rimane impregiudicata, poi finalmente la documentazione raccolta contro Armanno viene ritenuta sufficiente per la condanna. Tutto quindi è funzione della capacità dell'inquisitore di raccogliere materiale per l'accusa. Il caso di Pungilupo è evidentemente singolare, ma non assolutamente anomalo; di condanne a largo spazio di tempo ne conosciamo moltissime, senza contare le frequentissime sentenze post mortem . Ora io non credo affatto ad una reazione di tutta la società all'eresia, come vorrebbe, fra gli altri, il Russel| , perché altrimenti vicende come questa risulterebbero del tutto incomprensibili. È sicuro però che l'eresia venga presentata come elemento di disgregazione del vivere civile nel suo complesso: «Multo enim gravius est corrumpere fidem, per quam est animae vita, quam falsare pecuniam, per quam temporali vitae subvenitur», scrive Tommaso . Ma qual'è in definitiva la molla che spinge l'inquisitore a prendere posizione? Il comportamento? «Anche dagli atti processuali dell'Inquisizione traspare come ai giudici della fede non interessi cogliere negli interrogatori la natura dell'eresia, come non ci sia minimamente in loro nessuno sforzo di comprensione al di fuori di modelli teologici cristallizzati, come i contenuti non siano - nella quasi totalità - in relazione all'alternativa fra ortodossia ed eterodossia, ma si cerchi di portare alla luce i fatti e i collegamenti con altri eretici riconosciuti, di ricomporre cioè quelle tracce su cui si possa riconoscere e giudicare, complessivamente, un comportamento ereticale». Così ancora Paolini . Ma quanti si comportavano così anche in ambito ortodosso! «Infatti la protesta e la critica al clero, in ogni ordine e grado, avviene diffusamente anche in ambito cattolico» . Il comportamento è semmai una spia per un sospetto, non è l'eresia . Che è invece irrationabiliter vivere , dove ratio significa ordinamento, collocazione gerarchica. Ed Armanno - anzi: tutta la vicenda ruotante attorno ad Armanno - sfugge a questa ratio . La prova ne è che Pungilupo, dopo essere stato inquisito nel 1254, ed aver fatto l'abiura, aveva mantenuto i contatti con gente sospetta in materia di fede: proclamare santo costui, come vorrebbero i ferraresi, significa anche proclamare che quanto diceva - fra l'altro - a proposito dei frati rispondeva a verità. «La cosa non va a genio ai Minori ed ai Predicatori, perché era sospetto d'eresia», dice un anonimo viaggiatore . Questo è solo il punto di partenza dell'inquisitore Aldobrandino/Florio/Guido, ma il punto di arrivo è l'identificazione della sua eresia, identificazione che rende legittima e doverosa la condanna; l'eresia infatti non esiste senza specificazioni, ed allora: qualificazione: cataro; setta: bagnolese; grado raggiunto nella setta: consolato. Siamo in un primo stadio di un'azione metodica ed inarrestabile che porterà i due ordini mendicanti titolari dell'officio inquisitoriale ad «una continua e sempre maggiore integrazione con il mondo cittadino italiano» . ma non su di un piano pacificamente integralistico, ma anzi fortemente dialettico, campo d'azione di una volontà decisamente egemonica, e perché tale non necessariamente esclusiva, ma necessariamente tesa ad inglobare qualsiasi forma di attività umana in una ratio etico-sociale 'prevista'. L'Ordine si pone sempre più «quale catalizzatore non soltanto della storia salvifica, ma soprattutto e quotidianamente della storia dei rapporti sociali cittadini, come momento di mediazione istituzionale tra forme del potere e loro modo di manifestazione politico-culturale» . Le reazioni contro l'operato degli inquisitori non sono allora più solo dovute alla «loro intransigenza, che appariva agli occhi della gente intolleranza non giustificata e 'corrotta'» , ma invece «non stupirà che, all'interno di tale 'machina', si combattano a volte aspre battaglie; sarebbe fuorviante tuttavia pensare che il senso di una fonte possa derivare dal suo esplicito formalizzarsi, piuttosto che dall'appartenere ad un sistema stratificante e che vede la propria ragione nell'evoluzione di un metodo di regolamentazione del mondo sociale: dal suo significato, dunque, sovente implicito e sempre scaturente dal rapporto verticale con le fonti analoghe a disposizione» .

Questa è la mia valutazione complessiva dell'eresia di Armanno, che altrove ho definito eretico quotidiano, a sottolineare il carattere prevalentemente esistenziale del suo comportamento eterodosso . Questa scelta esistenziale 'non prevista', e la reazione che sollecita propriamente in quanto 'non prevista', mi sembra ancora, e più, la migliore chiave per penetrarne la vicenda.

Armanno non è il solo eretico ferrarese come si è visto. Oltre a quelli resisi noti attraverso il processo intentato alla sua memoria, se ne manifestano altri negli interrogatori che l'inquisitore fa a Bologna sul finire del secolo ; altri risultano dagli atti superstiti dell'offlcio inquisitoriale di Ferrara ; altri ancora dai conti degli inquisitori . Si tratta, tra il 1247 e 1318, di un centinaio di nominati; di altri sette/otto non ci è pervenuto neppure il nome. La loro presenza in città non raggiunge mai il tetto di venticinque individui, ed il periodo del loro massimo addensamento coincide con la morte di Armanno . Appaiono intere famiglie eretiche: Armanno, suo padre, sua madre, sua moglie ; Menabò Parvo, sua moglie e suo figlio ; Manfredino notaio e suo padre ; Trevisina, suo zio Cazator e suo figlio Gabriele ; Oldeberto e sua moglie ; Bonmercato e suo fratello ; Giovanni, la moglie e i due figli ; Costantino e la figlia Contessa, andata sposa a Bompietro, figlio di Giovanni ; Primeria Aldighieri, i tre figli e la serva ; Giovanni Paterius, la moglie e tre figli ; Alberto di Castel Tedaldo ed i suoi fratelli ; Tomasina e suo figlio . Tutti gli eretici scoperti fino al 1299 gravitano nell'orbita catara. Ma poi non se ne trovano più. Anzi: non ci sono più eretici.


Tra 1284 e 1318 ci sono quattordici confische di beni, e probabili condanne, per tredici Ebrei , Fanno eccezione Liza, che sale al rogo i primi di luglio 1313 , Paceto di Francolino, Iacobo de Odogeriis ed il notaio Gustardino, nominati nel 1316 , un certo Coppo, citato a Bologna nel settembre 1318 , per i quali non sappiamo nulla circa le ragioni di colpa loro imputate. Molti sono gli ex-eretici che denunciano altri. Le contrade nominate sono San Paolo (Armanno); San Romano (il circolo di eretici che si trova nella case di Menabò e Marchesina); San Silvestro (le due eretiche di nome Maria e Gisla, e Maria loro serva); Castel Tedaldo (Alberto calzolaio ed i suoi due fratelli, il giudice Guido di Ficarolo). Nessuno di loro appare sprovvisto di beni, al contrario. Armanno, Menabò, Marchesina, Granello ed altri posseggono case e terreni in città e fuori . Menabò, Primeria ed i loro parenti appartengono a nobili famiglie cittadine di antica tradizione, ma che sembrano attraversare un periodo di decadenza . Diversi sono gli artigiani del ferro e dei pellami, e non mancano notai e giudici. Le multe e confische degli Ebrei, poi, sono considerevolissime. Come altrove, sono pochi gli eretici di passaggio; Lanfranco di Monte Clero, Pietro da Rimini, Maria da Vicenza, Bellotto e Manfredino da Bergamo, il toscano Benvenuto . Caratteristiche, queste, tutte già rilevate altrove, ed ormai comunemente accettate come segni accompagnatori del catarismo italiano , che a Ferrara trovano una loro esemplificazione precisa ed indubitabile.
Man mano che cala la presenza ereticale, aumenta di importanza l'attività inquisitoriale . Fino al 1297 l'offlcio non ha neppure una sede sua propria in città. Il 22 giugno di quell'anno frate Guido inquisitore, fra Iacobo da Ferrara priore ed i frati del convento di San Domenico cedono all'officio uno spazio tra il muro delle scuole e l'orto del convento medesimo . Nel 1310 l'offlcio possiede una casa a Ferrara, da cui ricava un certo reddito ; in quell'anno o poco dopo ne può vendere addirittura due ; nel 1312 l'inquisitore fa riparare la sede dell'officio , nel 1313 acquista una casa da adibire a carcere e nel 1314 ne fa riparare un muro ; nel 1316 è registrato il reddito di tre case . Le spese degli inquisitori sono fortissime, ma non certo dirette prevalentemente al buon funzionamento dell'offlcio: si tratta per la massima parte di spese per il vitto ed il vestiario, e di donazioni, al più diverso titolo, a confratelli, ferraresi e non . La cosa com'è noto, divenne talmente scandalosa che fra 1302 e 1318 si susseguirono revisioni dei conti e processi agli inquisitori .

Fino alla metà del secolo non è lecito parlare di presenza catara a Ferrara, accertata invece per gli anni tra 1250 e 1301. Prima si parla solo di 'patarini' e dopo solo di Ebrei. Ma la parabola catara, pur ristretta cronologicamente, è quantitativamente di una certa rilevanza. La sua caratteristica cittadina è indiscutibile; la sua incidenza a livello politico e culturale del tutto irriscontrabile.

Verona

Nessuna attestazione di presenza ereticale fino al 1233, quando, su testimonianza di Parisio, furono bruciati settanta eretici, per condanna di frate Giovanni . L'episodio non è molto chiaro, come risulta dal commento del Cipolla, che segnalò per primo il passo: «Il fatto di sessanta dei migliori cittadini che muoiono sul rogo pubblicamente, e proprio nel momento in cui si pattuisce la pace delle fazioni politiche, indica che il patarenismo - giacché questa doveva essere l'eresia di cui essi furono ritenuti rei - era diffuso molto in Verona, senza dubbio nelle famiglie degli imperialisti»
Poi più nulla fino al 1266, quando Armanno Pungilupo è consolato nella casa di Spata. Sono presenti il vescovo Alberto, il filius maior Albertino Michele e Michele. In quell'occasione furono consolati anche la moglie di Oldeberto, Mezagonella e sua suocera Azolina . Secondo Costanza da Bergamo ad imporre le mani erano Martino Darinda e Guglielmo di Borgogna . Le due testimonianze non sono del tutto concordi, ma non si escludono vicendevolmente. Le cose si complicano con la deposizione di Rengarda, con la madre della quale Pungilupo parla dei poveri di Lione, che ricorda l'incontro con il vescovo Bonaventura Belasmanza, avvenuto attorno a quello stesso 1266 . I vescovi catari divengono anche troppi quando si ricordi che Costanza da Bergamo nel 1273 incontra il vescovo Lorenzo a Sirmione , In sei anni ce ne sono addirittura tre: Alberto, Bonaventura Belasmanza e Lorenzo. Ma le sette erano due, si osserva, ed ognuna aveva un proprio vescovo, Alberto ed il successore Lorenzo una, Belasmanza l'altra . Ma come distinguere le due sette? Perché due vescovi sono a Verona e uno a Sirmione? Non sembra proprio un buon criterio, visto lo stretto contatto fra le due località, e poi Alberto e Belasmanza allora dovrebbero essere nella stessa setta. Non ce ne sono però altri, e la spiegazione non convince; a meno che non si ricorra ai trattatisti, che ci dicono i confini dottrinari. Accantoniamo per il momento la questione e procediamo oltre.
Nello stesso 1273 abbiamo notizia di un 'patarino' a Lazise ..
Nel 1276 vengono catturati a Sirmione centossessantasei eretici, i quali, condotti a Verona, sono poi bruciati nel 1278. Anche di questo avvenimento abbiamo scheletriche notizie cronistiche, con non lievi discordanze . Si noti tuttavia che Giovanni XXI sollecitò frate Filippo inquisitore a riconciliare la chiesa con gli abitanti di Sirmione e con i Veronesi che avevano parteggiato per Corradino, e Nicolò III lodò Alberto della Scala ed i suoi congiunti che avevano guidato la spedizione militare : ho più che un sospetto che l'accusa di eresia sia molto 'particolare'.
Nel 1280 un'altra condanna singolare: l'inquisizione confisca e vende i beni di Altafina, la quale, però, partecipa alla contrattazione e riceve anche una parte del prezzo di vendita. Per quanto Cipolla non avessi dubbi che di eresia si tratti, noto che la parola eresia, o sinonimi, non compare neppure, se non accanto al nome dell'inquisitore, appunto, dell'eretica gravità .
Il 28 gennaio 1288 fra Filippo inquisitore condanna per eresia il defunto Bonaventura de Zovenonis, il quale aveva frequentato Bonaventura della Torre, vescovo, Enrico da Valgatara e Giovanni da Minerbe, tutti abitanti in Verona, in contrada di San Nicolò , Il 30 ottobre fra Filippo pronuncia un'altra condanna postuma, alla memoria del fornaio Aldigero, colpevole di aver frequentato gli eretici Mezagonella Aichi, Ciullo della Torre, suo cognato Iacobino, Iacobo di Pona e Mucio da Cerreta, ed altri, non si sa quando, forse negli anni sessanta. Vende poi i beni di Artosina, già condannata per eresia .
Il 5 ottobre 1290 si condanna Uberto a Tabula Maiori, colpevole di aver ricettato il vescovo Belasmanza, Giovanni da Minerbe, Enrico ed Alberto da Valgatara, Vigoroso ed Arnaldo .
Il 23 dicembre 1293 vengono condannati i quattro fratelli Zerli, tutti defunti, che abitavano in contrada di San Nicolò, e che avevano ospitato nella loro casa il vescovo Bonaventura della Torre, Enrico da Valgatara, Martino Darinda, Giovanni da Minerbe, ed altri .
L'8 aprile 1305 un'altra condanna di eretico defunto, Giovanni de Matro, che aveva frequentato il vescovo Bonaventura della Torre, il vescovo Bartolomeo de Mitifogo e Guglielmo della Torre .

È tempo di fare un po' d'ordine. I vescovi eretici nominati nelle nostre fonti sono dunque sei:

Alberto 1266 (Atti Pungilupo 51)
Bonaventura Belasmanza 1265/67 (probabilmente 1266) (Atti Pungilupo 60)
Lorenzo 1273 (Atti Pungilupo 52, 57)
Bonaventura della Torre (prima del 1288) (267-68, 274-77)
Belasmanza (prima del 1290) (282)
Bartolomeo de Mitifogo (prima del 1305) (Cipolla Patarenismo 274-77)

Borst divide così:

Diocesi di Desenzano o albanese Diocesi di Bagnolo

1210-50 Belesmanza di Verona
1250-60 Iohannes de Luzano 1258-67 ca. Amon di Casaloldo
1260-70 Bonaventura della Torre 1267 Alberto
1270-75 Enrico di Arusio 1273 Lorenzo da Brescia

Poiché le fonti sono le stesse che abbiamo adoperato fin qui, aggiuntivi Raniero Sacconi ed Anselmo d'Alessandria, stupisce di vedere una simile gerarchia, come stupisce constatare che è sparito Bartolomeo de Mitifogo. I1 quale è accolto dubitativamente, tra Bonaventura della Torre ed Enrico, dal Dondaine: «si Bartholomeus-Bertholus succéda à Bonaventure ce fut pour un temps très bref: il était converti avant qu'Anselme ne mit la dernière main au Tractatus » .
Le 'gerarchie' sono il tentativo di far quadrare i due trattati, di Raniero Sacconi e di Anselmo d'Alessandria, con gli atti inquisitoriali, e con l'altro trattato conosciuto come De heresi catharorum. Per ottenere un qualche risultato che non sia frutto d'invenzione si deve scontare quanto scontato non è: che cioè i due tipi di fonti siano oggettivamente 'sicuri' ed omogenei. Le finalità sono invece proprio 'oggettivamente' diverse, e non vale la pena di insistervi. Osserviamo solamente che le incongruenze fra le deposizioni dei testimoni non preoccupano affatto l'inquisitore, che desidera solamente conoscere luoghi e nomi di persone. I due trattatisti domenicani forniscono con le loro opere un quadro del mondo ereticale il più possibile coerente, organizzato, gerarchizzato ed articolato per sette in aperto contrasto vicendevole, cioè per credenze dottrinali contrapposte, perché non sarebbero riusciti a considerare altrimenti il movimento ereticale. Se non era così, come lo si sarebbe potuto conoscere?
Non sostengo che la verità fosse diversa. La verità è anche quella dei due domenicani. Ma quanto sappiamo per certo è qualche cosa d'altro. Intanto la divisione in sette (nel numero di sei secondo il De heresi catharorum, di cinque secondo Anselmo d'Alessandria) non ha alcun riscontro. Gli inquisitori non fanno nessuna differenza nei loro interrogatori tra l'una e l'altra, e neppure con i poveri di Lione. Gli eretici non ne parlano mai, ma soprattutto frequentano membri dell'alta 'gerarchia' di entrambe le sette, bagnolese ed albanese, che invece i trattati ci dicono in fortissimo contrasto. Se proprio vogliamo dire che qualcuno mente, questi non sono né Armanno Pungilupo che incontra nello stesso anno e nella stessa città i vescovi 'nemici' Alberto e Belasmanza, né Costanza da Bergamo, inviata come spia dall'inquisitore - si noti -, che conosce il vescovo Lorenzo 'bagnolese' a Sirmione, al cui seguito è quello stesso Martino Darinda che poi troviamo citato insieme all''albanese' Bonaventura della Torre.
Se questa divisione non è tale, non è neppure rigida come vorrebbero i due trattatisti domenicani la successione gerarchica, come appare evidente dalla difficoltà ad elaborare - e ad accogliere - gli elenchi di Dondaine e Borst, che sono stati tuttavia, bisogna dirlo, seguiti in questo da tutta la letteratura eresiologica successiva, eccetto, forse, il Dupré ,
Né quel poco di dottrina che si svela dagli interrogatori si accorda poi tanto con i trattati. Giovanni de Matro, ad esempio, considera lecita l'usura e non crede nella resurrezione dei morti, né nell'inferno o paradiso; ma i catari credevano nell'immortalità dell'anima .

La presenza catara a Verona sembra a prima vista massiccia. Se però consideriamo i sessanta arsi nel 1233 ed i duecento (o cento? o solo settanta?) nel 1278, che sembrano più sacrificati alla 'politica' che alla fede, il numero degli eretici fra 1265 circa e 1305 si aggira intorno ai venticinque individui, e mai più di dieci attivi contemporaneamente. Per il resto vale qui quanto già osservato per Ferrara.

Conclusioni

Avvertito che mi limito all'area qui presa in esame:

1. Non credo più alle gerarchie di Dondaine e di Borst; non credo all'autonomia istituzionale del catarismo italiano, che mi appare sempre più frutto di un malessere diffuso nel mondo comunale italiano che, se non temessi di essere frainteso, direi psicologico-sociale. Non posso per questo che rimandare a quanto ho già scritto altrove .

2. Credo sempre di più all'assoluto bisogno degli uomini di chiesa preposti a combattere l'eresia di vedere il fatto ereticale in termini istituzionali , L'assenza di dialogo tra le due parti contrapposte è la fonte di tutte le nostre insicurezze. L'eresia è un mostro dalle cento facce - alcune delle quali sono anche il turpiloquio, la sodomia, l'usura e l'appartenenza alla razza ebraica - che solo nei trattati può acquistare un aspetto credibile, ma soprattutto 'conoscibile'.

3. Almeno nell'ambito geografico qui affrontato, la periodizzazione tradizionale (forte crescita fra 1167/68 - concilio di Saint-Félix-de-Caraman - e 1250, decadenza e scomparsa fra 1250 e 1310) va decisamente rivista. Durante il nostro viaggio non abbiamo incontrato catari certi prima del 1250, ed il loro massimo numero è tra 1267 e 1300. La morte del catarismo è dovuta alla sua completa aleatorietà di rapporti reciproci. Il ruolo dell'inquisizione, più che efficace nella repressione (che repressione è, se per lo più si condannano eretici defunti?), lo è nel togliere ogni spazio o qualsiasi pratica di pietà religiosa, che è regolamentata e monopolizzata dalle confraternite parainquisitoriali . Su questo piano (e certo non su quello dottrinale, dove non era necessario impegnarsi a fondo - stante, come ha scritto Ovidio Capitani, il «modesto e ovvio patrimonio dottrinale del catarismo» ) l'istituzione cattolica ha il sopravvento, per la sua capacità di 'prevedere' ogni comportamento in merito.

4. Il bagaglio dottrinale del catarismo è nelle nostre fonti modestissimo. Il rituale ridotto e poco significativo: riverenze, offerta del pane benedetto (ma anche dei fichi!?), imposizione delle mani. Le uniche due volte che si parla di testi scritti si tratta dei Vangeli. Nessun ricordo di libri segreti.

5. La dimensione complessiva del movimento - se è lecito adoperare quel termine - è scarsa. L'incidenza politica e culturale, nulla .